ADOLESCENZA

Tema delicato questo. Finché si pensa a noi stessi bambini, lo sguardo può essere relativamente distaccato, non come si trattasse di un’altra persona, ma in parte; non è così per un adolescente, che è autore della costruzione del proprio io.

Devo però passare immediatamente alla prima persona singolare, in quanto è bene non dimenticare che il discorso è intimo, personale.

Trattare della propria adolescenza, quando per diversi aspetti ci si sente o si vorrebbe essere ancora adolescenti, non è molto condivisibile, tuttavia è un periodo della vita che ha una propria costante resistenziale, ergo, ogni tanto mi capita di incontrare persone, donne perfino, che sul tema la pensano come me.

Sarà perché la mia adolescenza – almeno ne ho questa percezione – è stata normale, non il guazzabuglio di problemi e sofferenze di cui parlano centinaia di pubblicazioni, anche se mi rendo conto che non è così per tutti e se il mio ricordo è tale, devo ammettere di essere stato relativamente fortunato; relativamente, perché certamente pur non essendo stato un periodo regale e di massima felicità, in qualche modo non è stato traumatico, posso ricordare episodi negativi o felici, come in ogni altro momento della vita.

Certo molto dipende da come una persona si approccia all’età, se si vive aspettando le difficoltà e addirittura coltivandole o se anche in mezzo ad esse si è talmente positivi dal volerle superare il giorno dopo.

Detto questo ricordo benissimo che in quegli anni mi ponevo il problema delle opportunità non attuabili per ragioni di età, ma è un discorso che si ripete costantemente in qualsiasi epoca della propria vita, per cui da adulti si può rimpiangere il periodo adolescenziale, specie quello più avanzato, quando si cominciava a combinare qualcosa con le ragazze, tanto lì si casca! Sarà per questo che da un po’, il periodo dell’adolescenza viene spinto sempre più in là, anche intorno ai venti anni? Vi è certamente in questo anche un aspetto psicologico, nel senso che più è avanti il tempo adolescenziale e più si spinge avanti anche quello giovanile, mandando l’età del senio alle calende greche…

Una delle maggiori seccature per me adolescente era quando mi sentivo trattato come un bambino… “Eh, il bambino…” e peggio, quando palesemente la mia presenza era considerata sconveniente da ragazze di appena tre anni in più, anch’esse adolescenti… sapete, le prendevano in giro perché frequentavano bambini. Che poi io ero cotto delle varie amiche di mia zia, assolutamente out age, minimo dieci anni più di me.

Non solo però, le mie prime arrischiate avances di neo adolescente furono per una ragazza di appena un anno in più e anche per qualche coetanea o quasi, e la mia smania di farmi avanti veniva puntualmente messa alla berlina dal loro modo di fare più smaliziato e ostentato sfacciatamente, a cui corrispondevano i miei rossori e la volontà di sparire…

Ma l’adolescenza è un’era geologica vera e propria, un semestre equivale a un decennio, per cui in poco tempo ci si emancipa e ci si vendica delle brutte figure esibendo le proprie conquiste, i propri amori finalmente realizzati.

Si tratta di un periodo meraviglioso anche per l’assoluta novità delle esperienze, la scuola superiore, i primi viaggi da soli in città lontane, non tutto rose e fiori quando comunque si deve sottostare alle regole ferree degli adulti, ma nel ricordo questi inconvenienti spariscono e resta solo il bello, il positivo; e l’incontro con la politica, le prime penfriend, la poesia, la filosofia, la scrittura, la lettura, la formazione delle proprie idee, la militanza, l’emancipazione, la scoperta del libertarismo, del valore della disobbedienza.

Trattiamo di un decennio in cui gli avvenimenti, la crescita individuale, sono talmente intensi e produttivi, che forse non basteranno altri cinquanta anni a realizzare qualcosa di simile, peraltro da adulto, i miei riferimenti partono tutti ancora da lì, la vita è un continuo sviluppo di quanto si è creato nell’adolescenza, almeno per me che allora mi sono creato una visione del mondo che è tuttora base delle mie idee e del mio percorso sociale e culturale.

adolescenza

5 – adolescenza (40 – V – 28.8 a) – a 21.02.2020

ILLUSIONE, DUBBIO, VERITÀ

Riflettere sulla scrittura proprio mentre ci si accinge a scrivere. Non sto a fare casistiche visto che non devo scrivere un testo di critica o di metodologia. Capita ora, per tutta una serie di considerazioni che si concatenano, ultima quella che un testo si può iniziare in svariati modi, ma poi si inizia in un modo.

La riflessione originaria verteva sul fatto che possono esserci autori a due estremi: quelli che scrivono testi imbarazzanti e non se ne curano, quelli che invece se ne preoccupano. In mezzo ci sono una miriade di variabili, tra le quali possiamo citare, chi si inquieta al punto di non pubblicare un testo, chi lo pubblica con tutta una serie di remore, chi non si tormenta, ma fino a un certo punto.

Può anche accadere che si scriva un testo, si pubblichi, ma si faccia di tutto affinché i cenni veritieri che contiene, più o meno espliciti, siano nascosti alle persone interessate; dato che ormai nessuno beve più che “il libro è frutto della fantasia dell’autore e ogni riferimento a fatti reali è da considerarsi puramente casuale”. Non basta, può succedere che un testo ritenuto un tempo imbarazzante, si consideri successivamente spendibile e, se lo si era rimaneggiato per renderlo il più possibile ermetico, si torni poi a una versione vicina all’originale ritenendola migliore.

Questo non significa che gli scrittori siano una banda di psicopatici, ma certo non si ha sempre a che fare con il mero flusso di coscienza; la scrittura pone problematiche durante la creazione e pure nella rilettura, e non solo questioni linguistiche.

É evidente che ho in mente un caso del genere, in realtà più di uno, non solo mio, ma posso occuparmi fino a un certo punto dell’altrui scrittura, specie se mi si contrappone l’aut aut che, prevalentemente chi scrive inventa, fantastica, prescinde dalla realtà.

Eppure non sono un assolutista, uno che crede di avere sempre ragione a scapito delle altrui tesi; è vero, penso che una poesia, un racconto o un romanzo, per parlare delle forme di scrittura meno complesse, non possano mai trascurare la realtà vissuta, perfino le favole e diffido dell’eventuale mera invenzione, in quanto non avrà solide basi, neanche se fosse fantascienza… Basta confrontare la “fantascienza” di cinquanta anni fa con quella contemporanea per comprendere il concetto. Tuttavia, per portare avanti un’analisi, sono disposto a rinunciare alle mie profonde convinzioni per rispetto di chi non la pensa allo stesso modo, ma non basta affermare un concetto, occorre discuterlo, sviscerarlo, e in ogni caso e per fortuna, la felicità non dipende dall’esito di questi ragionamenti.

Quali strumenti hai tu, adolescente “di periferia” (come sono stato apostrofato recentemente; ne rido, ma non troppo, perché se il rapporto città-campagna è mutato rispetto a quando era sociologicamente in auge, ammetto che i gap persistono su molti aspetti – non tutto si può fare con i media e con i telefonini) per elaborare sull’amore, fosse anche solo sull’infatuazione o sulle tempeste ormonali?

Hai un sacco di strumenti, che se sei capace puoi rendere adeguati, efficaci. Due occhi con cui vedere la bellezza e intercettare la sensualità, la femminilità, quel qualcosa di misterioso, delicato e sconvolgente che non appartiene all’universo maschile. Gli occhi dominano gli altri sensi, la percezione del profumo della pelle, lo struggimento che causa un contatto anche casuale, la delizia di udire una voce aggraziata, la voglia di assaggiare…

E tu che leggi, scrivi, pensi, sogni, che contieni gli istinti bestiali, se non hai l’agorà, elabori nel giardino, nel frutteto, nel cortile, in compagnia del sole, respirando l’aria pura della campagna. Non hai potuto scegliere dove nascere, hai anche tardato a realizzare la relazione svantaggi-benefici tra città e campagna, nel senso che poteva pure andare il salto, ma crescendo crescono le esigenze, si conosce la città con i suoi pregi e difetti, insomma non è tutto bene bene o male male.

Non voglio farla troppo lunga, anche perché l’argomento è elementare. La società è più complessa del nostro piacere, dei nostri sogni, delle nostre esigenze, solo per tenerci ristretti all’ambito in cui siamo nati e vissuti, senza bisogno di arrivare a tematiche capitalistiche, un tempo inimmaginabili, come la globalizzazione.

Arriva il momento in cui il mondo ideale dove ha cominciato a crescere il fanciullo e l’adolescente, comincia a sfaldarsi: qualcuno studia in città, qualcuno inizia a lavorare, emigra addirittura… e quando si torna si trova la rivoluzione, la necessità di farsi nuove amicizie, che non saranno generalmente mai salde come le prime… Insomma, fine della vita facile, la dicotomia non è più solo città e campagna, ma maschio e femmina e via dicendo… Le coetanee non ti si filano più e quelle più piccole hanno un mondo che ancora non puoi capire, talvolta ci prendi, ma il più delle volte ti freghi da solo, per dirla semplicemente con un concetto sviluppabile ed evitare di finire nel labirinto.

41 illusione

4 – illusione, dubbio, verità (23 – IV – 3.1 a) – a 24.01.2020

FANCIULLEZZA

I periodi in cui siamo stati bambini non hanno dei confini ben definiti, vi sono vari step non uguali per tutti: cominciare a camminare (scapai a pei, in sardo), iniziare a parlare, frequentare la prima scuola ed entrare in contatto con gli altri bambini… poi c’è un salto maggiore, quello della Scuola elementare (oggi primaria), dove incomincia un modo diverso di rapportarsi con i compagni e con gli adulti, un primo ingresso in società, le prime responsabilità.

In questo tempo che io ho voluto definire fanciullezza, denominando infanzia quello precedente, la coscienza di se si fa più nitida e anche i ricordi diventano più saldi. Non vi sono confini precisi, ma in linea di massima sono cinque anni per ciascun periodo, una vita per un bambino e anche per un adulto che ripensa a se bambino, almeno per me è così… La percezione di uno scorrere lento del tempo e un’intensità degli avvenimenti cospicua. Essi ritornano secondo la nostra volontà e le nostre scelte mnemoniche.

E’ chiaro che non si può esaurire l’argomento sulla propria infanzia e fanciullezza in poche righe; a esservi interessati sopra altri argomenti si potrebbero scrivere volumi, ma ognuno di noi si crea delle priorità, pure sulla scrittura, anch’esse non hanno limiti ben definiti e mutano con il tempo.

Come impressione, devo dire che dedico parecchio tempo dei miei pensieri a quell’età, non di meno ad altre fasi della mia vita, ma intendo dire che non escludo quel periodo e ci torno spesso con i ricordi, con le immagini, con considerazioni particolari e a volte con un confronto tra i riflessioni espresse in altri momenti, una sorta di ricerca non scritta.

Queste riflessioni hanno l’unica ragione di tornare su un argomento già trattato, appunto, senza pretendere di esaurire l’argomento, che altrimenti non avrebbe mai fine.

Non avendo la pretesa di un approccio di carattere scientifico alla materia, basandomi prevalentemente sulla mia sola esperienza, devo osservare che chi riflette su quel bambino (me stesso), non è un bimbo, ma un adulto, lo dico perché a volte può avvenire una sorta di sdoppiamento come se a pensare fosse l’io di allora.

In altri tempi forse sono stato anche troppo “severo” sul me piccino, non parlo di comportamenti, ma di consapevolezze o che so io. Inutile peraltro cercare nel bambino che sono stato germi dell’adulto formatosi e che sono, avendo la pretesa, una volta giunto in età matura (dopo l’adolescenza) di aver mantenuto, pur maturando, le stesse idee.

Come premessa è anche troppo lunga, sì, perché le idee fanno ressa e non possono essere considerare tutte.

Opterei per esaminare due aspetti: qualche fatto essenziale e dirimente rispetto alla formazione e strane elucubrazioni pseudo filosofiche, tipo “mondo di Sofia”.

Nel momento in cui dovetti iniziare la Scuola Elementare, mio padre fu trasferito dal paese di origine della famiglia, in un altro a una ventina di km., così lasciammo casa nostra per andare a vivere in un altro luogo, e là iniziai e conclusi le elementari. Penso sempre a cosa poteva cambiare se avessi continuato a stare nel mio paese natale. Non penso sia una riflessione banale, visto che tornato a casa, in sostanza avevo per due volte cambiato le mie conoscenze, gli amici, gli incontri…

Il mio primo giorno di scuola non fu ordinario, piazzai un casino, perché ritenevo di potermi scegliere io il maestro; non fu un atteggiamento arrogante, ma disperato, perché mi separavano dagli amici fino ad allora conosciuti.

Se devo essere sommario, passavo il tempo tra giochi con gli amici (calcio, bici, battaglie…), lettura di fumetti, compiti (immagino, non è il ricordo più presente), tv e a un certo punto, in un primo iniziale interesse per la scrittura e le canzoni.

Anche il cinema divenne un appuntamento settimanale… Mi sono rimasti impressi i film più sconvolgenti, dove accadevano cose tristi e in particolare, film “storici” con riti funerari degli antichi egizi (durante quelle scene chinavo il capo per tutto il tempo).

Fin da allora iniziò un’occupazione che non mi ha mai abbandonato, la fantasia. Mi creavo delle avventure e pretendevo di sognarle, in una sorta di mistura tra onirico e reale: un treno (forse mio?), battaglie campestri o altri avvenimenti, anche scolastici, risceneggiati a mio piacimento, immedesimazione con gli eroi dei fumetti, fino a immaginare di essere un alieno o che tutti fossero alieni tranne me…

La radio, più della TV, era una fucina di espressioni suggestive che si imprimevano in mente, nomi di stati, di capi di stato, africani o dell’America latina, ma anche Europei, dell’URSS e dell’estremo oriente…

Fatti che poi inevitabilmente davano luogo a riflessioni, riprese in età adulta, ma meno criticamente, anzi è curioso come si possano formare delle catene apparentemente senza logica, come ad esempio dalla paura degli antichi egizi a un interesse particolare per l’argomento, intercalato da vari episodi.

La fanciullezza non più miraggio ma sorgente di nuove consapevolezze.

33 fanciullezza

3 – fanciullezza (33 – IV – 30.12 a) – a 30.12.2019

INFANZIA

Pensare all’infanzia, almeno per me, è come pensare a un’eternità fa. La mente si perde nei ricordi, ingarbuglia i tempi e se vogliamo gli spazi… Mi viene in mente quella volta che all’età di sei anni andai a Nuoro con mia madre, viaggio epocale, avventuroso, da solo già un romanzo, molti i ricordi e le immagini tenuti a mente, tanti anche i flash per i quali si è resa e si rende necessaria una ricostruzione.

Allora vivevo in un paese in cui c’era il treno, il cui fischio accompagnava le giornate e soprattutto le notti, già questa era una grande novità. Una piccola stazione lungo la linea Cagliari-Sassari.

Forse fu anche uno dei miei primi viaggi in treno, qualcosa di fantastico. Il piccolo mondo relativo tra casa e Nuoro, dopo qualche giro di rotaia, magicamente si espandeva, diventava qualcosa di epico. Allora era necessario raggiungere Macomer con le Ferrovie dello stato, poi lì c’era un’altra linea ferroviaria, non pubblica, che portava a Nuoro (lo chiamavano “il trenino”).

L’immagine più vivida (a parte quando infilai le dita nella presa di corrente in casa di tzia Gratziedda) che mi è sempre rimasta di questo viaggio, è un campanile, una forma orientaleggiante che neppure a metà del viaggio mi induceva a riflettere sullo spazio percorso, su quale paese sconosciuto e sorprendente stessimo viaggiando.

Per anni ho pensato a questo paesaggio da mille e una notte, per concludere, già in gioventù, che si trattava del campanile della Cattedrale di Oristano, con il suo cupolino a cipolla rivestito in maiolica multicolore, di epoca bizantina, il quale visto e rivisto da adolescente e successivamente, non mi fece mai l’effetto di quella prima volta.

L’infanzia non è solo questo, ma anche questo. I ricordi si spingono anche a tempi precedenti, fino a perdersi in sensazioni nebulose che neppure la visione di foto dell’epoca rende nitide. Eppure la mente ha catturato visioni e storie non fotografate, che semplicemente appartenevano alla vita comune di tutti i giorni e per un bambino potevano avere caratteristiche singolari, come la scoperta dei servi pastore che dormivano nelle stuoie sui tavoli o per terra, nella casa/locanda sui generis in cui i miei genitori avevano in affitto una stanza, lavorando mio padre in un paese che non era il nostro.

Ero allora molto piccolo, intorno ai tre anni e la padrona di casa era “diventata” la mia terza “nonna”, così la chiamavo.

Né mi è possibile dimenticare nello stesso periodo, l’immagine è molto nitida, quando con mio padre scivolammo con la vespa (o la moto), su un mucchio di ghiaia sistemato lungo la strada fangosa che ci riportava a casa, in pieno temporale.

Il nostro era un pendolarismo quasi quasi quotidiano, la nostra casa, quella ove nacqui, stava a soli sei chilometri da dove mio padre doveva dimorare per il controllo delle linee elettriche.

A questo proposito un’altra delle immagini che mi sono rimaste impresse in età inferiore ai sei anni, è la teoria di pali elettrici che accompagnava me e mio padre quando andavamo al mare in moto… Per non parlare dell’equivoco sulla Resistenza alle elementari o il significato dell’oscura frase “ispezionare la linea”…

Nel nostro paese, oltre alla casa, stavano i nonni e i tanti zii. Dunque i flash si incrociano prescindendo da una precisa cronologia.

Che non fossero tempi di “globalizzazione” (riguardo agli aspetti più sconvenienti e alle attenzioni al limite dell’ossessione) si capisce dal fatto che mia madre – quando avevo circa quattro anni, forse non in età d’asilo o in qualche giorno di assenza -, mi lasciava inginocchiato su una sedia con gli scuri della porta di ingresso aperti per andare a fare la spesa; io stavo là fermo, con lo sguardo fisso al cancello del medico, il cui lungo viale conduceva direttamente al centro – evitando più lunghi percorsi – e mia madre mi trovava esattamente come mi aveva lasciato. Non so quante volte possa essere accaduto, ma di una ho il preciso ricordo, del momento preparatorio e della sistemazione per la “visione”.

Più drammatico è il ricordo di uno dei miei primi ingressi in Cattedrale, o almeno il primo che io ricordi, forse era il periodo di Natale, ero molto piccolo perché qualcuno/a mi prese in braccio… Sentii che le donne dicevano (forse in riferimento alle apparizioni di Fàtima, ma io intesi che era accaduto lì e allora) di una prossima fine del mondo; la suggestione di quel luogo, tra leoni di marmo, presepe e tutto il contesto, mi mise una paura tale che iniziai a piangere disperato, senza pausa … Così ai tempi della Madonna pellegrina, avevo una gran paura e chiesi a mia madre di non portarla a casa…

A rifletterci, specie tra i 5 e i 10 anni si potrebbero ricordare delle cose bellissime, in realtà ci sono e numerose, ma fanno da contorno perché considerate normalità; purtroppo, anche se in numero minore, ci segnano i ricordi negativi, le paure, che poi ci terranno compagnia inconsciamente o meno per tutta la vita.

infanzia

2 – infanzia (32 – IV – 28.12 a) – a 27.11.2019

UNA NASCITA

Cosa potrà pensare un adolescente della propria nascita, un momento di cui saremo sempre inconsapevoli, ma nello stesso tempo il momento fondamentale della nostra vita?

Potrà ricostruire qualche immagine in base al racconto fortuito dei genitori o di qualcun altro che ha assistito all’evento, poi gratificare del racconto l’amore del momento.

Lo ho sempre considerato un momento intimo, su cui avrei voluto forse speculare, ma non ho mai osato chiedere più di tanto, se non chi era presente in casa, le nonne, qualche vicina…

Un tempo, almeno nelle località in cui non c’era un ospedale, si nasceva in casa, nella propria casa, con l’assistenza di un’ostetrica, era certamente un evento più tradizionale, che coinvolgeva l’intera famiglia, con tutte le conseguenze che poteva comportare, dal punto di vista di rilevare o meno dei problemi anche lievi, ma risolvibili, che so, una displasia, un ittero… Non intendo certo fare l’apologia della nascita a domicilio, almeno se non si ha la possibilità di essere assistiti a dovere. Eppure c’è stato per qualche tempo il rimpianto per la nascita in casa, se non per il parto in se, per il fatto di dover nascere fuori dal proprio comune di origine, motivo d’orgoglio che in passato ha causato anche delle prese di posizione…

Qui in Sardegna lo scrittore Gavino Ledda contestò per lungo tempo la norma dello Stato civile che impediva di dichiarare nato nel comune di residenza dei genitori, il bambino che nasceva di fatto in un ospedale. La norma è stata leggermente modificata, ma solo in senso burocratico, di fatto non cambia la sostanza (l’atto si registra nel comune di residenza, ma si indica il comune del parto).

Potrebbe aprirsi qui il lungo discorso del concepimento, che nel medioevo a Firenze contava l’età di una persona da quel momento (a conceptione) piuttosto che dalla nascita, ai fini del luogo da indicare nell’atto… Certo si aprirebbero scenari anche comici. Eppure, c’è qualcosa di un po’ assurdo nel sapere che, ad esempio, nella nostra provincia, i bambini sono tutti nati in soli tre comuni, è un obbrobrio dal punto di vista culturale.

Senza tornare agli usi fiorentini, certamente si potrebbe considerare la residenza dei genitori, tenuto conto che al nono mese sei comunque compiuta/o anche dentro il grembo materno. Un’altra soluzione potrebbe essere quella di accompagnare il luogo di nascita a quello di origine.

Oggi i bambini nascono quasi tutti negli ospedali, ma questa scelta è stata graduale, forse per oltre un decennio presumibilmente cessato negli anni Ottanta, qualche madre ha scelto il parto a domicilio, così molto raro oggi.

Ci si fa prendere la mano con questi discorsi, ma esiste anche l’etica e la cultura, oggi si parla solo di soldi…

E’ bene che una persona trovi momenti per riflettere anche sull’esistenza – si spera sempre in senso positivo e sereno -, che si preoccupi di questo suo “mistero”: che se sei stato concepito a gennaio, hai probabilità di nascere a ottobre, magari alle tre di notte e di sabato. Riflettere magari sulla situazione intorno a se mentre si veniva al mondo, che poi è una delle cose più “facilmente” ricostruibili.

7 una nascita

1 – Una nascita (7 – II – 23.10 s) – a 31.10.2019

IN LAUREA DI E.

Il fato ha scelto proprio tale giorno
che di nonna Emilia il ricordo adorno,
forse in onore al suo assiduo interesse
volontà d’azione pure a noi impresse.

Leoni nati tra quattro dì attorno,
lei ti assista concedendo ristorno;
viandante per svago, di tutto lesse,
con Livettina la qualità ardesse.

Imperversa l’estate, luglio è un forno,
cede il Maestrale, a Cagliari ritorno
e quale sapore il frangente intesse!
da tempo son schiarite le premesse.

Questo mare ch’è limpido contorno
ha vissuto anni del nostro soggiorno,
scorrono in mente avventure successe,
complesso insieme acché st’alba sorgesse.

Città della vita universitaria
per gli studiosi scandente la storia,
di loro dimore depositaria;

nel borgo Stampace destinataria
l’aula d’ateneo disposta auditoria
e sette sagge in struttura plenaria.

Tra economiste, colleghe, oratoria,
promozione a dottore statutaria:
nella proclamazione ottieni la gloria.

Gran momento da serbare a memoria,
un traguardo d’importanza primaria
è raggiunto e si può fare baldoria.

183 in laurea di e

Metrica: sonetto raddoppiato
Schema: AABB AABB AABB AABB CDC CDC DCD DCD
(XXXV.LI – 18.07 Pis/Arb)

SORGENTE CHE ZAMPILLA

Bere dell’acqua è invero grande impresa
e pure l’adesione a questo evento
nel quale ho percepito un mutamento,
forte emozione tosto si palesa.

Altra volta la fiamma s’era accesa
a San Francesco, basso basamento,
attualmente al cammino nonviolento:
avere l’acqua è conquista che pesa.

E’ stata una bellissima giornata
in un lungo percorso redimente,
più chilometri di marcia pacata.

Il sole ci ha accompagnato splendente,
anche una pioggia leggera è calata
e a santa Maria visio repente:

c’è la bandiera sarda;
disperavo non fosse apparsa ancora,
bene sia unita alla parte che onora.

182 sorgente che zampilla

Metrica: sonetto caudato
Schema: ABBA ABBA CDC DCD xEE
(XXXIV.L – 7.10 Assisi)

“…Chi beve dell’acqua che io gli darò, non avrà mai più sete, anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna.”
Giovanni 4,14

Marcia per la pace Perugia-Assisi 2018

D’UMBRE E PICENE…

Piazza, san Paolo, scalini, scrivo.
La città ha fatto incetta di mattone,
consunto dagli anni, rosso passivo.
Vorrei stendere un conto spedizione
di atti mancati, Pam, lapsus attivo.
Surplus di Paola in elaborazione,
esigenza di felicità, di sintesi adeguata,
manco sfuggita, appena immaginata.

D’altra parte son piuttosto perplesso,
indolente: sbattetemela in faccia,
maceratese tiratemi appresso
dalla vaga somiglianza che impaccia,
varietà e tempo trascorso ammesso!
Tema non più fattibile, minaccia…
multietnicità è qualità onesta,
cauta quiete dopo la tempesta.

E Loreto dovrei dirla asettica
nel neoclassico atto a valorizzarla,
in pochi aspetti la trovo ascetica,
in certa umanità per cui elevarla.
Diresti mai Recanati euforica?
Percepisci lo spirito a osservarla,
come nelle variazioni della Strap
dei primi tempi, con un maggiore gap.

Gioconda sfinge il cui sorriso implode
anzi il fortuito slancio la svelasse,
poco fraterno sui suoi glutei e sode
morbidità dei seni sublimasse.
L’avresti detto dopo tanta lode
sotto l’orage la roudja ti ospitasse?
Eppur non ha deluso per vedute,
né per fuggenti fattezze splendute.

Di Jacopone la villa più astrale
ove si può sognare ad occhi aperti,
una visione diventa reale,
tornato indietro negli anni a riaverti.
Nel giardino di Tamara ancestrale
vieni incontro sconvolgendo i tuderti:
stai nel letto con me, sono io a stupire,
accade evento ch’è arduo definire.

Del stare insieme il patto si fissava
stesi sul prato di san Fortunato
dove la baby sitter smanettava.
In piena fiaba il sogno é scompigliato,
malgrado i tentativi non tornava.
Viaggio intenso tutto c’era già stato…
salvo prender nel ventre un dissuasore
se l’arte sta su e metti troppo ardore.

181 d'umbe e picene

Metrica: ottave
Schema: ABABABCC
(XXXIV.L – 25.05 Macerata)

L’INFINITO 2.0

Per certi versi non è il mio poeta,
per certi versi, non per certe rime,
per il residuo ottimismo ch’allieta
qual doncella che vien dal salto esprime.

Del sabato, nella villa quieta,
ho reso conto a Rosalba le stime;
di tempesta cui segue l’aria cheta
ho richiamato a Marlene il sublime.

Eppure mi ha sospinto qui qualcosa,
magari un istinto da trovatore,
poiché, sul colle dell’Infinito, osa.

Dell’Infinito, al vate, è ispiratore
il lido occulto ove lo sguardo posa:
di bicchiere mezzo pieno cantore.

180 l'infinito 2.0

Metrica: sonetto
Schema: ABAB ABAB CDC DCD
(XXXIV.L – 24.05 Recanati)