PISTIS

Sull’identità potremmo dire tutto e il contrario di tutto, eppure è un concetto che ci riguarda, come persone, come parte di una famiglia, come complessità discendente da un’infinità di famiglie, come parte di una società, ma anche di una storia più o meno semplice, più o meno complessa, specie in tempi di globalizzazione sociale, non solo commerciale, tutti concetti che possono avere valore positivo, ma anche nettamente negativo e sono prevalentemente tali nella società in cui viviamo oggi, ma anche ieri e avantieri, giacché, salvo casi isolati e temporanei, non mi risulta che il mondo abbia mai avuto un’organizzazione di giusta ed equa solidarietà sociale, mentre sicuramente l’ha sempre avuta di sfruttamento dell’uomo sull’uomo, in un sistema di ingiustizia e disuguaglianza, che si chiamava e in molti casi si chiama ancora, monarchia, oligarchia, dittatura, colonialismo, imperialismo, capitalismo.

Le poche rivoluzioni avvenute in questi sistemi in pochi anni si sono ritrasformate negli apparati illiberali e illibertari per cui si erano verificate, lasciando solo la loro testimonianza storica primitiva, utile solamente per nuove rivoluzioni, per nuove utopie tuttavia da perseguire.

Capitalismo e regimi coercitivi hanno bisogno per esistere di un nemico, per cui sbandierano lo spauracchio di comunismi, socialismi, perfino democrazie reali, che non sono mai esistite, se non per lo spazio di pochi attimi, cioè fino a che i fautori della coercizione e dello sfruttamento non si infiltravano in esse, rendendole nuovamente dittature capitaliste oligarchiche sfruttatrici dei popoli e delle masse proletarie. Perché se esse compiendo una rivoluzione smettono di essere tali, pur innalzando il loro stato e benessere, si torna inevitabilmente all’antico regime dei privilegi e delle ingiustizie.

Seguendo questo filo non si finirebbe mai di ragionare e citare esempi storici, molti ancora attuali. La conclusione, per un breve saggio, è che tra i regimi più disuguali, quelli che negano addirittura l’esistenza della povertà e dei poveri e vanno avanti con la classe operaia asservita e la borghesia compiacente, esiste il più e meno peggio. Non è un problema di etichette, sono spariti quasi totalmente i comunismi e i socialismi; chi usa ancora tali definizioni ne è distante anni luce, ma lo stesso accade per chi abusa del nome di democrazia, non ne esiste alcuna, che non sia solo nominale e soggetta all’ingiustizia del capitale. Ci si deve accontentare delle poche democrazie più coerenti al loro nome, quelle che valorizzano o cercano di valorizzare (poiché il capitalismo attacca l’indipendenza degli stati) il consueto nome di Repubblica.

Discorrere di identità porta lontano, il passo è breve dalla famiglia allo stato, dalla piccola unità sociale a quella generale. Ma è possibile anche il percorso inverso, tornare alla famiglia, specie quando il sistema generale è ingiusto, o anche relativamente tale. La famiglia se non è degenere, è o dovrebbe essere, il nostro piccolo stato libertario, il nostro comunismo, la nostra democrazia, il nostro sistema solidale, per questo siamo orgogliosi del nostro nome, o per capirci, del nostro cognome, dei nostri cognomi che si moltiplicano di generazione in generazione: 2, 4, 8, 16, 32, 64…

Ha senso in questo contesto apprezzare e amare i nostri avi sconosciuti, lasciare andare la nostra immaginazione verso il verosimile, aggrappandoci a brandelli di conoscenza e di significati.

Vedo allora barche a vela provenienti dall’oriente del Mediterraneo, forse genti fenicie, elleniche, preferibilmente bizantine (la storia dà una mano) che sbarcano in un piccolo approdo del mar di Sardegna e lo denominano Pistis (fede), portu Pistis; una cala riparata dal vento, già frequentata, coperta dalla punta s’Aschivoni, che forma l’insenatura s’Enna de s’Arca. Poca gente che raggiunge l’interno e si stanzia nella Sardegna centro meridionale, forse navigatori poco pazienti, che hanno preferito la vita di collina, almeno i padri di Pepi Pistis di Forru.

Spesso un cognome proviene da un toponimo e dietro ogni toponimo c’è una storia, ci sono uomini e donne che si muovono in un passato remoto e altri che ai nostri giorni hanno mutuato quel nome.

Nomi di luogo, talvolta enigmi irrisolvibili che si velano di mistero come una sfinge, brevi termini che nascondono tomi di vicende infinite e individuano genti e famiglie.

 67 pistis

15 Pistis (67 – 9 s – XIII.XXIVe – 31.07 a) a 29.12.2020

DITTATO DEL MARE DI MEZZO

I cavalloni che ho aggredito
tra i Capi, nel mare mediano,
della Frasca e dei Corsari, turrito,
evocan primo ardore meridiano.

Nel letto, supina, t’alzo il vestito,
ti osservo, stimo, quale ape sultano;
del cibo che inforno traiam mito,
la pala incalza a ritmo pacchiano.

Ora Anfitrite, ora Afrodite, me
rapiscono e te Cupido sfianca,
ti rende docile al caldo seme;

più fervore t’infonde e non più stanca
ti abbandoni al piacere che preme,
alla piena fusione poco manca.

pisor2Serie del mare. Sonetto dedicato, ispirato dal pensiero permanente di quei tempi e non solo.
Il titolo individua il punto in cui avviene la scrittura: il mare di mezzo tra i due capi, che ditta; mare già ampiamente cantato.
(XXVI.XLII – 15.9 Arbu/Pis)

ARROLLIÀDA IN TERRAMANNA

A trass’ ‘e Smyth e Jünger
apu passau su mari
po difarentis portus
de terramanna agudìa.
Civitavetua, Genoa,
Neàpolis, Libùrnius,
apròbius ‘e continenti:
s’assimbillant po ferrus
fius e budrellami…
No apu mai cumprendiu
a ita potzant serbiri…
resuzus ‘e cantieri 
de atrus tempus nodius.
Pigu istradas mannas
po Roma e po Milanu,
Paris,o cara, e London,
Colonia et Zurigu
e fintzas a Palermu.
No ia a podi xoberai
is mellus cosas bidas,
intregu tot’a s’incapu:
arutas ‘e Pertosa
in fragu de Lucania,
is cussòrgias de Siena,
su padenti reatinu
e is àndalas de Umbria
simbilanti a Brabaxa;
i satus ‘e Silone,
emutzioni a L’Àquila,
rughixeddas de Jesi,
dominariu asuta ‘e lua.
Pustis Venetia, e citu.
Passu Alpis in Vadde
e seu in satu ‘e Gallia.
Mi praxit arremonài
Calais ‘e bardaneris,
logus imperis asuta
de ua Frantza selena,
cada mesudie Coudoux.
Celu ingresu ‘e Dover
intru in u’ atru mundu.
Fridu tarrèu de Diutisc,
Konstanz sperrada in tres
de su lacu e Kreuzlingen.
Seu lòmpiu in ‘iddas bàscias,
Liege, Heerlen, de Aachen;
in Elvetzia, Luganu.
Torrend’a su cambale,
unu tzinnu a Léntula
in s’atu pistoiesu
e a’s villas varesotas
terr’ ‘e is àvius mius.

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Dalla suggestione del “Grand Tour” a “On the road”, questo brano è un collage di viaggi fuori dal continente Sardegna (Marcello Serra, Sardegna quasi un continente, Editrice sarda Fossataro, Cagliari, 1958).
Una conta casuale, quanto parziale, di movimenti controcorrente, immagini disordinate di spostamenti adolescenziali e di frontiera che evidenziano delle visioni fulminee della memoria e sviluppate rappresentano un fondamentale bagaglio di esperienza formativa da non dimenticare.
I settenari vorrebbero rappresentare la velocità del movimento nello spazio, lo scorrere inesorabile del tempo.
(XIII.XXIVg-31.07 A)

Traduzione:
VAGABONDAGGIO IN CONTINENTE
Al modo di Smyth e Jünger/ ho attraversato il mare/ per porti diversi/ dell’ambito continente./
Civitavecchia, Genova,/ Napoli, Livorno,/ approdi continentali/ somigliantisi per ferraglie,/ fili e casini vari…/ Non ho mai capito/ a cosa possano servire…/ avanzi di cantiere/ di altri tempi noti./
Percorro l’autostrada/ per Roma e per Milano,/ Parigi, o cara, e Londra,/ Colonia e Zurigo/ e fino a Palermo./
Non potrei scegliere/ le cose migliori viste,/ affido tutto al caso:/ le grotte di Pertosa/ in odor di Lucania,/ le contrade di Siena,/ la foresta reatina/ e le strade d’Umbria/ somiglianti alla Barbagia;/ la campagna siloniana,/ emozioni a L’Aquila,/ le stradine di Jesi,/ fattoria sotto la luna./
Poi Venezia, e taccio./
Attraverso le Alpi in Valle/ e sono nei campi di Gallia./ Mi piace citare/ Calais e la pirateria,/ le località appena sotto/ di una Francia tranquilla;/ verso sud Coudoux./
Cielo inglese di Dover,/ entro in un altro mondo./
Fredda terra tedesca,/ Costanza divisa in tre/ dal lago e Kreuzlingen./
Sono giunto ai Paesi Bassi,/ Liegi, Heerlen, da Aachen;/ in Svizzera, Lugano./
Tornando allo “stivale”,/ un cenno a Lentula/ nell’alto pistoiese/ e ai paesi varesotti,/ terra di miei avi./
 
note:
1) William Henry Smyth, inglese, ed Ernst Jünger, tedesco: due dei viaggiatori europei in Sardegna – uno nell’ottocento, l’altro nel novecento – che stesero importanti relazioni sulle loro visite.
4a) terramanna – letteralmente “terra grande” – è insieme a “continenti”, il modo con cui i sardi, in quanto isolani, denominano l’Europa e in particolare l’Italia.
4b) agudìa è un neologismo formato con le voci agudentzia e agudissia (ambizione).
16) “Paris, o cara”, citazione ormai leggendaria tratta dal libretto del veneziano Francesco Maria Piave de “La traviata” di Verdi.
29) “emotzione” nel sardo del settecento/ottocento aveva anche il significato di rivoluzione
36) bardaneris è riferito al “sa bardana” sarda (non alla pianta officinale omonima), una pratica arcaica di brigantaggio.
“Leade sos fusiles lestramente
E andemus a fagher sa bardana!”
(da “Andende a bardanare” di Antioco Casula – Montanaru)
48) cambale è più propriamente gambale, qui per similitudine identifica la gamba dello stivale italiano.

PISTIS

Bisus de barcas a velu ‘e fenìcius,
lìdius, frìgius, sàrdicus, gregus, gitzius
o feti bizantinus, chi imbatint
cun pagu marineris pustis de ai
masedau sa coster‘e portu Pistis.
Ainci tzérriant cussa cala secura
anca de tempus issus aprobiant
surchendi lébius su mar’‘e Sardigna.
In gunis oprigada ‘e su ‘entu estu
s’idda càstiat sa punta s’Aschivoni
chi fromat sa pentuma s’Enna ‘e s’Arca
e donat nomi a sa gent’e su logu.
Pagus fiant e pagus funtis galu
e tenint airi afaca ‘e mesudie.
De cuss’oprigu, fessit preistoria,
edàdi pùnica, antiga o de mesu,
no potzu nai comenti funti lòmpius
a Forru is babbus de Antoi de Pepi.
Navigadoris pagu passientziosus
chi anti xoberau sa vida ‘e cùcuru.

 

Dietro ogni toponimo c’è una storia, ci sono uomini e donne che si muovono in un passato remoto e altri che ai nostri giorni hanno mutuato quel nome.
Nomi di luogo, talvolta enigmi irrisolvibili che si velano di mistero come una sfinge, brevi termini che nascondono tomi di vicende infinite e individuano genti e famiglie.
Il brano in endecasillabi, con uso diffuso della dittongazione, dell’elisione, alcuni enjambement e altre figure, segue una struttura che si adegua al recondito.
(XIII.XXIVe-31.07 A)

Traduzione:
PISTIS
Visioni di barche a vela di Fenici,/ Lidi, Frigi, Sardici, Greci, Egizi/ o solo Bizantini, che giungono/ con pochi marinai dopo aver/ domato la costa di porto Pistis./ Così è denominata quella baia sicura/ dove da tempo loro approdano/ solcando leggeri il Mar di Sardegna./
Lì riparato dal maestrale/ il villaggio guarda la Punta S’Aschivoni/ che forma l’insenatura rocciosa S’Enna e s’Arca (letteralmente: porta dell’arcata, ndr)/ e dà il nome alle gente del posto./
Erano pochi e sono ancora pochi/ e hanno respiro verso meridione./
Da quel riparo, fosse preistoria,/ periodo punico, antico o di mezzo (medio evo, ndr),/ non so come siano giunti/ a Forru gli avi di Antonio di Pepi./ Navigatori poco pazienti/ che hanno scelto la vita di collina./

NEPTUNE

Gli amanti che porti nel tuo letto
ti abbandonano dopo qualche tempo
solo perché io fui libero
di cogliere la tua verginità.
La giovinezza illuminava i nostri visi,
sapevi che forse era un fuoco debole
e gli uomini privi di sentimenti
non accettano donne che hanno già amato.
Il tuo corpo fu eccitato
dall’ambiente creato dal mare.
Il tuo sguardo divenne sognante
scrutando il cielo dominato dal sole
e senza altre forme di vita;
il mare splendente, deserto, tranquillo,
gli scogli carezzati dall’acqua,
la pineta misteriosa abbandonata,
la spiaggia che terminava all’orizzonte,
la sabbia fresca che dava sollievo.
La natura quieta ti impaurì,
all’improvviso ti sentisti sola,
ti scansasti dal mio corpo,
ti afferrai col cuore in gola,
incosciente godendo sospirasti,
poi piangendo di gioia ti assopisti.
Ora lotti contro i miei ideali,
ma senza amore non posso sposarti.
Peccato! Capiterai a qualcuno,
imprecherai sui pregiudizi,
la fortuna di essere farabutti,
venderai la tua purezza morale.

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Il giorno del mio diciottesimo compleanno, nel mio “esilio” di studio, composi questo brano in inglese… oggi può apparire, a tratti, di una retorica disarmante, per il sottile filo ideologico ormai desueto, giusta una rivoluzione dei costumi che può rendere ridicolo certo argomentare.
Tuttavia, la lettrice attenta non potrà non notare la vis polemica (intrisa di una piccola, fisiologica, dose di ipocrisia maschile) contro il sesso per il sesso.
Ergo, i versi non sono autobiografici (mi conforta il diario: “la mia fantasia su un grave problema umano” – certo c’è di peggio!), ma prendono in esame il Caso, per la verità non completamente estraneo alla nostra società, se smettessimo l’obiettivo dai grandi numeri e mettessimo a fuoco il particulare.
La cosiddetta globalizzazione è in realtà una frottola. Il nostro è un mondo di particolarismi, di culture, di popoli, di identità, che otto o nove stati, estranei al bel pensare, vorrebbero scelleratamente scremare, ottenendo per fortuna solo l’effetto contrario, cioè il risveglio di certe comunità dimenticate.
Con questo non dobbiamo far finta che le culture deboli non abbiano le loro aberrazioni, la mia amica Nadir ne ha giusto denunciata una, in tema con il nostro discorso.
Il titolo originale era “Neptune (delight has ruined you)”, musicata a ritmo di rock ballad. L’inglese ha il pregio, con i suoi vocaboli che significano tutto e il contrario di tutto, di nascondere e affinare molte sfumature, che in italiano possono stonare.
L’unica variazione di rilievo è al verso 10, dove l’originale “by Neptune” (da Nettuno) è stato sostituito con “dal mare”.
(IV – 23.10 S)

NEPTUNE (delight has ruined you)
(versione originale)
Lovers who bring in your bed/ after sometime you leave/ only because I was free/ to take your maidenhead./
The youth lit up our faces,/ you knew it was perhaps a feeble fire/ and men without feelings/ don’t accept women who already loved./
Your body was excited/ from the background created by the sea;/ your look became dreamy/ staring at sky dominated by the sun/ and without other forms of life,/ the radiant, desert and quiet sea;/ cliffs caressed by water,/ the mysterious pine wood forsaken,/ the beach ending with space,/ the fresh sand that gave relief./
Silent nature scared you,/ suddenly you felt alone,/ stepped aside from my body;/ I grabbed you with heart in throat,/ unconscious, coming, you sighet,/ then weeping for joy fell asleep./
Now you fight against my ideals,/ but I must not marry without love./ What a pity! You will come to someone,/ will curse the prejudices,/ the fortune to be rascals,/ will sell your moral purity./

Music:
LA SOL MI
LA SOL MI
LA RE MI
LA RE MI
SOL FA LA
SOL FA LA   (then repeat…)
(IV – 4.11 A)

http://poeesie.myblog.it/files/Linkin%20Park%20-%20One%20Step%20Closer.mp3