DOPO IL TRAMONTO­

Credo sarebbe meglio essere
fuori di qua…..
Sono in un ufficio,
dietro la scrivania;
guardo oltre la porta,
si è fatto buio;
le luci pubbliche
fanno scorgere qualcosa…
ma che dico? infinite cose!
Ciò che vedo più vicino è l’asfalto,
ciò che non mi fa vedere oltre è un palazzo…
ma vedo una fetta di cielo… buio…!
Vedo delle automobili,
un semaforo,
dei passanti
e tante altre cose,
dopo il tramonto.

dopo il tramonto.jpg

Dall’ufficio del mio primo lavoretto in assoluto, vent’anni, speranzoso studente di sociologia, estremista, solo, in una piccola stanza anonima illuminata dal neon, ove anche il telefono taceva da ore, la macchina per scrivere davanti, osservavo fuori dalla porta a vetri il banale traffico dell’Acqua Bullicante a Tor Pignattara, pieno di noia… Così mi risolsi a scrivere qualche verso, ma anche l’ispirazione era bassissima.
(VI – 5.12 Roma)

IL MIO TORTO (versi per chi non ne voleva -3)

Felicità! Abbraccio nella piazza…
nei miei pensieri ruotiamo
ignari della gente.
I tuoi atti osceni in luogo pubblico…! 
Hai voglia di vedermi.
Ti piacciono i bambini?
Non sai amare, hai paura…
Sono una metà del mio io.
Lui è impotente e gli è rimasta poca musica,
lei è proprio il tuo non io?
La tua casa… l’impero:
fascino discreto della borghesia!
Riduci le stelle in polvere
e amala sulla moquette!!!
Quando ho fame mangio svelto,
l’eccitazione causa nausea per il cibo.
Ma dove mi hai trovato? Buffone di corte!
Qual è la mia imputazione…
assolto per tua clemenza.
Saresti stata con Gesù Cristo a Gerusalemme?
Ti ho scocciato abbastanza.
Ancora pochi attimi d’affetto.
Ti affascina VIA DELLE ORE
e non devo aspettarmi niente da te.
Io non entro nel cerchio!
Evviva, ti stai liberando… di me.
Hai mai sofferto?
Io la sera ho pianto di rabbia,
per acuire il dolore
mi sono detto di essere felice.
Non dimentico le sventure facilmente
e tutto ciò che potevo era ridere dentro:
la mia anima divisa in due,
una parte in grave riflessione
visibile esteriormente.
Al Partito l’ambiente è desolato.
Vivo risveglio del senso di libertà.
Accusami, umiliami, distruggimi,
non credere che possa ragionare,
giudicami: condannami al dolore.
Tiri le somme del nostro rapporto,
ne decreti la fine.
Devi stare sola…
ma al lago è stato molto bello.
Non farmi soffrire come sai,
mi contento di molto poco.
Qual è il tuo vero io?
Quello che reprimi in te.
Ogni sprone esterno spersonalizza,
non rendere conto a nessuno delle tue azioni.
Devo tacere, la mia voce dà fastidio.
Mi trovo bene in questa situazione?
…Dipendono da chi le crea.
Mi amo più di quanto tu pensi:
non hai scoperto il narcisismo in me!
Ma non vivo solo per me stesso,
odio l’individualismo come le masse amorfe.
Non c’è una scuola per essere se stessi,
non c’è una regola per realizzarsi.
Il mio torto è essere vero.

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Sconcerto, certo… Forse un modo per capire questo rapporto è sapere che non è finito con la fine della trilogia… Il verso è l’emozione di un momento, anche lungo, ma non la storia.
La filosofia può essere poesia. Capiterà a tutti di ragionare con se stessi sui massimi sistemi, sulla complessità della vita, delle persone, della mente, dei caratteri, senza potersi dare risposte razionali, al di là delle quali vi è la Causa Prima, tuttavia continuate a stupirvi e interrogarvi. E mentre riflettete sulle stranezze altrui, può accadere che diano dello “strano” a voi, che vi siete sentiti sempre la persona più comune, normale e naturale sulla faccia della terra. La vita è paradossale!
(VIIIc – 13.9 Milano)

GIOIE E PARANOIE (versi per chi non ne voleva – 2)

…Sono il tuo servo!
Non mi aspettavo tanto allora,
perciò fu una nuova emozione.
Nel viaggio anarchico della liberazione
non importa l’arrivo, non si hanno membra.
Eri falsa? Non riesco a crederci!
Osteria della salvezza estrema,
della morte inavvertita:
appresa con la rivelazione del vero;
paranoia curata alla meglio.
Hai visto aleggiare l’odio?
Mutamento di situazioni e sentimenti.
Non capisco!
Sul pullman sembrava che mi amassi
e io ti amavo senza dubbio…
Ma sfuggimi, fammi soffrire,
poi non più, ma senza convinzione.
Bisogni non appagati, non capiti.
Perduto! La pioggia mi annienterà.
Uomo di poca fede… E’ passata.
Ho conosciuto la strega.
Il concerto non ha trapassato
la mia anima corazzata dai pensieri.
Incomunicabilità voluta,
alibi per i tuoi prossimi capricci.
Mimami le tue pretese di conoscermi,
le mie assurde trovate,
ciò che non capisco e non penso;
recitami il linciaggio morale:
sono il tuo acido lisergico andato male.
Cosa hai provato la sera
del dialogo dolcissimo?
Vera canapa indiana,
in giro con te tra i fuochi…
Lei è il tuo non io o il tuo modello?
Sono stupendo… ne ho preso atto!
Come avrei potuto non amarti,
rapirti alla solitudine in agguato;
mi hai dato tanto, l’ho sentito
ma quale sentimento hai provato?
Immortalatemi senza discutere!
Avresti condiviso la mia Messa?
Per stare un po’ col Nazareno
posso rinunciare anche a te.
Atmosfera di pace…
Qual è il tuo male sorella?
Quella sera mi hai odiato?
Il tuo pianto da bambina…
Ricordi il ritorno al nord?
…Il fischio che mi fece trasalire?

gioie e paranoie.jpg

Seconda parte più ariosa, anche se disseminata di paranoie, tese a comprendere e fronteggiare caratteri complessi, ondivaghi.
La cornice è Umbria Jazz (come per la prima Firenze), ricordo gioioso e felice, ma condizionato anche dal momento della scrittura, di tutt’altro sentire.
Da questo contesto sono colti baci, trasformati in sassi, per la disperata causa.
(VIIIb – 13.9 Milano)

(prima dell’uragano Virgilio questo post aveva raccolto 32 commenti, + 25 = 57)

CONOSCENZA (versi per chi non ne voleva – 1)

In principio fu uno sguardo profetico,
poi la ricerca del momento opportuno.
Ci trovammo là a mangiare:
lo ricordo come un fenomeno già visto.
In seguito nella mente un pensiero fisso,
realizzato con la fuga dagli altri:
l’abbraccio… La certezza di poter rubare.
Faccio sempre così con tutte?
Parlarti! Nell’abbandono…Ti amo!
Non facevi di quelle cose!
Amore, dialogo, sensazioni bellissime
Tua decisione improvvisa, grottesca, castrante.
La voglia di stare da sola, il bisogno:
altro attuale “deja vu”,
incomprensibile allora.
Abile nei compromessi,
prendo sempre il più che posso.
Dicesti che non avrei mai dovuto
scrivere niente su di te,
e questo già lo scrissi nella mia mente.
Ricerca disperata, freddezza, sofferenza:
crearsi l’appiglio nella caduta dal baratro;
speranza ritrovata, severità, asservimento,
sadomasochismo degli esseri umani.
Dammi una possibilità!
Sono il tuo servo!
Non ti avrei mai pensata così!
Strani a capire voi di questo mondo:
pazzi, conformisti, semplici… un casino!
Smascheratevi ipocriti! Confondete l’ingenuo.

versi per chi non... 1.jpg

Primo atto di una drammatica quanto sarcastica e amara trilogia, la cui intelligibilità necessiterebbe almeno di un trattatello di psicologia.
Racconto di un amore intenso, ma controverso fin dai suoi primi momenti, descritto di getto in uno dei periodi più dolorosi.
I versi liberi rappresentavano l’illusoria supplica, la scossa, l’ultima spiaggia per recuperare il rapporto tra due personalità sotto certi aspetti agli antipodi, seppur inesplicabili.
(VIIIa – 13.9 Milano)
  
(questo post ebbe 42 commenti prima che passasse l’uragano Virgilio a cancellarli, + 2 = 44)