TRA SOGNO E REALTÀ

Dubbia quaestio del sogno ricorrente,
nient’affatto di quello dittatore,
si fa attendere ma torna sovente
alla stessa maniera ispiratore.
Mi passano veloci per la mente
le perdute, di cui sono cultore,
occasioni, e tu badi all’ideazione 
del trentennale la celebrazione.

Girovagavo inquieto per il paese
per un’istrina, tra bazar miraggio,
fino al vecchio mulino tende tese;
ti scorsi che eri china su un panneggio
dalla drogheria, ultimate le spese,
levasti gli occhi su me nell’armeggio:
il tuo corpo e l’anima levitanti
trasfigurati in Nausicaa e festanti.

Se avessi fretta, fu la tua domanda,
ma le mie urgenze sono le priorità,
tu tra queste, un breve elenco tramanda;
con te a spasso avverto sia un’amenità.
Nostra lunga passeggiata circonda
le vie verso sprazzi di modernità,
con passi che sventravano i palazzi
in cerca di attuare precisi abbozzi.

Taciturni, si esprimeva il pensiero
che avvolgeva con la sua limpidezza,
storia, rimpianti e indicava il sentiero;
dal tuo ardore percepivo dolcezza,
ricompensa di un amore ’sì fiero,
non manifesto, ma esclusa durezza:
mistero femminile irrivelato,
pur latente e da tua alter emulato.

La complicità da tanto agognata,
dichiarata dal ritmato contatto,
voglia di appartarci confermata;
il selciato agreste, antico tragitto,
in un soffio si fa città animata
siamo su erte scale di un palazzetto.
Gang di monelli non ci fa filare,
due testi giulive stanno a spiare.

Lieto che non ti turbi esser scoperti,
nel cortile cantierato ci uniamo,
stringi libera senza trattenerti;
su tremule labbra ci abbandoniamo,
in più assaporo per appartenerti,
per spezzare eventi da cui veniamo:
pomeriggio che infatti non fu tale
e il sollievo non è trascendentale.

Un bel dare di messaggi e intensità
di teneri attimi tra le tue braccia,
stupore penetra la felicità,
calore che mai troppo si compiaccia,
noto e gramo rispetto a sua immensità.
La visio arretra, altre imago procaccia
testimonianti il nostro tempo insieme,
radiosi e astratti dal cingente assieme.

Replay su iter di gradini ripidi
ove ti inerpichi con agilità,
seguo e languo nei miei slanci torpidi.
Di lasciarci soli ha sensibilità
l’accorta replica, in atti cupidi,
fuori i discoli e pronube utilità.
Viuzze del villaggio deserte e ignote
ci celano, improbabili, devote.

Su ‘xanu ‘e baxu mudau in su de susu
sul congedo delle vaghe promesse
sospese, e fintzas s’est zenerau un’usu.
Vago pel borgo con altro interesse
e una certa sensazione de pausu
di chi è pago delle cose successe,
rammaricato perché è ancora poco,
e che il sogno si faccia realtà invoco.

don

Ottave di endecasillabi
(XXVIII.XLIV – 12.2 A)