THE WARNING DREAM

In principio un nome, indirizzo di posta,
vaga idea nello scuro, fading of wonderful world.
In sembianze errabonde, svianti, mi sei apparsa,
sfuggente la tua essenza che non potei cogliere.
Profondità in the room d’esordio collegiale,
carrellata sui volti, smania di bello, di te.
Delizia sconosciuta, presagio di già visto,
rapino il tuo sguardo, frenesia d’intimità.
Quella sera, distinti, l’inebriante epifania;
volli starti vicino per poter valutare
i tratti del tuo viso, il tuo corpo sinuoso,
il seno, le cul sacré, avvolti nella seta;
stringente nei tuoi occhi, sulle labbra e tutta te,
ogni poro ammiccava stupendamente stunned. 
Clamori d’agnizione, fluire di parole;
parlavi, ti prendevo, davi, perdevo il filo.             
Il seguito, chimere, in fuga le occasioni
per paura di fallire, remote esitazioni.
Dagli incontri fugaci, i messaggi non colti,
occhiate reciproche di non facile chiosa.
Ermeneuta dei sogni perché ricompare lei?
Precettrice dei sensi, grazia double recognized,
esulto e mi sorprendo, un poco ti ho avuto.
Vaga realtà, riunione, vicinanza, dialogo,
diventi tangibile avvolta dalla foschia.
Intuire l’epilogo del magico monito:
non ti pensavo adesso, mi inquieta l’evento;
il mio desiderio è condividerlo con te.

wonderful world, mail, collegiale, frenesia, epifania, cul sacré, stunned, agnizione, ermeneuta, precettrice

Questi versi mi sono forse ingrati perché non riescono ad esprimere le sensazioni che ad essi sono affidate. Ho già espresso il limite delle convenzioni linguistiche rispetto ai sentimenti.
Difficile esprimere il concetto anche in prosa, è da vivere; a me è capitato tante volte, perché è evidentemente qualcosa che cerco: la meraviglia, il fantastico, il sorprendente, lo stupendo, che, si badi bene, sono emozioni che provengono da fatti semplici, fino a qualche piccola scarica adrenalinica, che per me sarebbe sufficiente, ben sapendo che senza volerlo si va spesso ben oltre e allora la meraviglia può rasentare lo sconcerto e la paura, di cui si può sorridere solo quando si è in grado di raccontare il vissuto. Ma non è il caso di questo brano, benché il panico, l’angoscia, non debbano necessariamente comparire in situazioni di pericolo fisico; la questione allora è dominarsi o lasciarsi andare, essere talvolta coraggiosi, altre irresponsabili.
Anche una semplice conoscenza può avere un po’ di tutti questi ingredienti. Io che mi guardo assolutamente dall’autolesionismo propendo certamente per le cose semplici e facili, ma purtroppo la vita non è così, non si adegua del tutto alle nostre volontà. Penso sia comune il fatto che talvolta conoscere una persona possa diventare un percorso di anni, da un contatto, uno sguardo, apparentemente insignificanti e spesso rimossi da uno dei due, fino all’apoteosi che acquisisce a volte quel senso di incredibile, dello stare insieme, in un’esclalation crescente o meno, quella sensazione che ci fa scuotere la testa e ridere… ma era così semplice allora?
Il discorso sarebbe lungo, ma non devo ora scrivere un saggio, e potrebbe abbracciare i meccanismi perversi della nostra mente, dei nostri ragionamenti, paure e inibizioni.
Mi viene facile citare un esempio letterario, dalla recente lettura de “Der Zauberberg” di Thomas Mann, quindi della controversa conoscenza tra Hans Castorp e Clavdia Chauchat, e mi viene voglia di citare anche un certo intento sadico e irridente dello scrittore nei confronti del lettore, lasciato in ambasce per pagine e pagine, ma si tratta ovviamente della maestria di Mann e della forza del libro.
Anche questo brano è ispirato dal sogno mattutino che lo ha preceduto, del quale qui e là riporta vaghe immagini.
La metrica invece non è casuale o meramente sperimentale, ma è come un tema conduttore che caratterizza la personalità della protagonista, una figura un po’ d’altri tempi e un po’ neocontemporanea, a mio modo di vedere. Si tratta dunque di neoalessandrini o se preferite, semplici settenari doppi.
(XXV.XLI – 29.6 A)

Slegature:
fading of wonderful world = evanescenze di un mondo fantastico
stunned = sorpreso intensamente

CUSS’ORTA CHI SEU STETIU A MILANU

(otava)

Cuss’orta chi seu stetiu a Milanu
apu biu totu sa genti chi curriat,
no mi ndi parriat mancu unu sanu
e a mei puru de curri mi beniat.
Mi domandu, immoi ca est beranu
iat’essi mellus ki a s’achietai podiat.
Toca, ca mi nci torru in Sardigna
a fai una vida u’ pagu prus digna.

cuss'orta...jpg
L’inserimento di questa tra le mie poeesie mi fa venire in mente le parole del muratore che, terminato di intonacare il muro realizzato da me per emergenza e non certo a regola d’arte – giacchè solo nipote di diversi maestri di muro e niente più -, disse “D’iat a ai mai cretiu de essi intonacau custu muru!” (L’avrebbe mai creduto di essere intonacato questo muro!).
L’ottava ebbe origine in pochi minuti durante un’esercitazione di versificazione nell’ambito di un corso di formazione in lingua sarda e restò abbandonata tra gli appunti per poco tempo. La sera stessa nel selezionare tre brani per un premio letterario dedicato alle minoranze etniche, mi venne in mente di inserirlo per saggiare le reazioni della giuria… Ebbene proprio questo fu scelto per la pubblicazione, con un certo mio stupore, e fa bella mostra di se tra più degni brani in ladino, albanese, friulano, arberesh, sloveno, griko, romancio, occitano, croato, catalano, cimbro, sardo stesso e diverse altre lingue minoritarie.
Che dire? La giuria in qualche modo ripassò la palla al mittente, mettendolo in condizione di dover giustificare l’argomentato e di promuovere l’ottava al rango di poeesia (… e vorrei vedere, dopo essersi conquistata la pubblicazione in un autorevole volume!).
Le motivazioni per un brano di esercitazione, poco più di un mascherone (espediente dei compositori nel simulare la metrica non badando al senso delle parole), sono deboli. Ad imitazione de sos poetas che improvvisano nelle piazze della Sardegna e sono artefici della poesia estemporanea in sardo, di lunga tradizione, ci era stato assegnato un tema, probabilmente “il viaggio”, mi venne subito in mente questa immagine, in parte reale, ma soprattutto caricaturale della vita frenetica milanese.
Amo Milano per diversi motivi, oltre alle brevi visite, ci ho anche vissuto tre mesi di fila in gioventù, dunque lo sviluppo dell’ottava non rispecchia il mio pensiero, tuttavia alla maniera dei poeti estemporanei che durante le gare poetiche, con tanta ironia e sarcasmo, se le danno di santa ragione (a parole) anche per il diletto del pubblico, pur essendo grandi amici, così il luogo comune (non del tutto però) della frenesia milanese, specie la mattina quando si corre al lavoro e si rincorrono i mezzi di trasporto, dà lo spunto per stigmatizzare il logorio della vita moderna in favore di quella più agreste, magari arcadica, pastorelle comprese.
(XXII.XXXVIII – 24.5 A)

Traduzione:
QUELLA VOLTA CHE SONO STATO A MILANO
Quella volta che sono stato a Milano/ ho visto tutta la gente che correva,/ non me ne sembrò neanche uno sano/e anche a me veniva da correre./
Mi chiedo, ora che è primavera,/sarebbe meglio se potesse calmarsi (la gente, ndt)./
Suvvia, me ne torno in Sardegna/ a condurre una vita un po’ più degna./

LE NOSTRE NOTTI

I nostri corpi si muovono attenti,
si sfiorano silenti, si pressano,
irresistibilmente attratti da
un’essenziale affinità basica.
Le nostre menti già oltre il tempo
nutrono la frenesia istintiva
di un desiderio travolgente… e
su per le scale ormai ti agguanto.
“E allora?” Colpo d’occhio allusivo,
dissimulante, ed è eretto, ficcante.
Dialogando di giustizia sociale…
Il tuo respiro si fa implorante,
navigo nel buio anfratto tra cosce,
aneliti, seni, docile bocca,
avvolti nell’amplesso deflagrante,
mollezze, umori, baci, carezze…
Come!

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Scritta dopo una delle nostre notti di veglia e in questa notte e solo in questa, mi hai chiesto dei versi… e sono stati subito questi.
Endecasillabi sciolti… caudati.
(XXVII.XLIII – 11.2 A)