PO AIÀIA BATTISTINA

Per nonna Battistina

Trascende certo le mie convinzioni sulla lingua sarda – che considero, come tanti altri compagni e compagne che portano avanti la battaglia per il bilinguismo in Sardegna, una lingua dell’identità, tuttavia lingua del mondo intero, lingua per tutto e per tutti, esattamente come ogni altra – il fatto che mi sia cimentato nella mia antologia “sovVERSIvi” a trattare in limba sarda soprattutto il tema dei nonni, degli avi; dunque lungi da me l’idea che la mia lingua madre si possa ridurre a trattare solo argomenti atavici e infatti ho scritto in sardo anche di altri temi. Eppure scrivere in sardo di questo importante argomento è un plusvalore, lo valorizza come esso merita, perché il mondo ancestrale è poesia per eccellenza, e la ricchezza del sardo sia sotto il profilo semantico e, aggiungerei, semiotico, è l’ideale per esprimere certi concetti.

L’uso di altre lingue, come in questo caso, ha un’altra ragione: la necessità di rivolgersi a una platea più ampia, come accade in altri casi con l’uso dell’inglese, ma è anche vero che leggere uno scritto nella sua lingua originale ne arricchisce il senso e la godibilità: potessimo leggere Dostoevskij e Tolstoj in russo!

Ognuno di noi fa parte della storia dell’umanità secondo la Nouvelle Histoire espressa dalla École des Annales, gruppo di storici francesi del XX secolo; la storia, come ama definirla Francesco Casula, “dalla cantina al solaio”.

La mia trisavola Battistina Garau è pertanto un personaggio storico, come tutti. Nacque ad Ales nel 1836 da Michele, sarto, anche lui alerese, come la propria moglie Nicolina Minai. Visse l’infanzia in loc. Funtanedda (Is Floris). Sposò Giovanni Melis, barbiere e guaritore (majgu, come riportano anche gli atti dello stato civile), all’età di 29 anni ebbe il figlio Raimondo (mio bisnonno), visse l’età adulta in via Santa Maria, il quartiere antico limitrofo, rimase vedova all’età di 46 anni e morì il 12 settembre 1891 a soli 55 anni.

Lo stesso anno, il 22 gennaio, era nato ad Ales Antonio Gramsci. Non aveva compiuto ancora l’ottavo mese quando scomparve la nonna.

Raimondo aveva 26 anni, nella casa di làdiri (terra cruda) piangeva la madre e il suo lamento non ne era attutito, invece l’erba di Turatzu – la località che prende il nome dal menhir a forma di pannocchia di granoturco – alleviava la fame delle pecore e delle capre di Raffaele Pistis, abitante dello stesso quartiere di Santa Maria.

Mentre si consumava questo dramma familiare, il piccolo Antonio Gramsci dormiva, inconsapevole di queste pene, ma anche di eventuali piaceri, che si consumavano accanto a lui.

Peraltro anche Raimondo e Raffaele – destinati a una discendenza comune – non avrebbero certo potuto immaginare che quel piccolo bimbo avrebbe potuto avere un destino così importante e drammatico, benché avesse in qualche modo inizio dai misteri della vita che in qualche modo si consumavano anche in quelle ore.

Nonna Grazia mi parlò alcune volte dei suoi nonni, di nonna Battistina e di questo nonno particolare, “mago”, suo consorte, ma anche di suo padre Raimondo, cunfradi o cunfrara (appartenente alla confraternita del Rosario), del quale in quelle vesti conservo un’immagine.

Egli sopravvisse a Gramsci sette anni, ma di questo importante concittadino antifascista probabilmente non si sapeva ancora niente, il regime sapeva come oscurare quanto non gli era gradito.

Lo stesso vale per il mio bisnonno Raffaele, contadino e pastore, che tuttavia morì cinque anni dopo che Gramsci contribuì da protagonista a fondare il Partito Comunista a Livorno, lo stesso anno che Antonio fu arrestato e chiuso nel famigerato carcere di Turi in Puglia.

Difficile ora, hic et nunc, ricostruire se e cosa si potesse sapere di Antonio Gramsci ad Ales, da dove peraltro si trasferì intorno al primo anno di età. Qualcuno che ebbe frequentazione con la sua famiglia sicuramente ne aveva memoria, ma fino alla Liberazione si sarà guardato bene dal parlarne in giro per paura di finire sotto la poco premurosa repressione del regime fascista.

72 iaia battistina

17 Po aiàia Battistina (71 – 13s – XIII.XXIV – 8.12 a) a 26.02.2021

DISTERRU A SU TRAVESSU

Emigrazione al contrario

Fin da bambino ho appreso, nella frequentazione della casa del nonno materno, che le sue origini paterne erano continentali (espressione che viene imputata con meraviglia a noi sardi, ma che viene regolarmente usata anche dagli inglesi per riferirsi all’Europa non insulare). Per l’esattezza fu suo nonno che emigrò in Sardegna per ragioni di lavoro e qui sposò, intorno ai quarant’anni, la mia trisnonna Mariangela, trentenne di Bòttidda, in provincia di Sassari, ma al confine con la provincia di Nuoro.

Mio nonno Tomaso, cui il padre pose il nome del nonno, non amava parlare della famiglia paterna. Mio bisnonno Paolo, quando ancora nonno era bambino, presumibilmente dopo la grande guerra, partì per l’Argentina, peraltro in compagnia di un fratello della moglie, ma dopo qualche anno non si seppe più niente di lui. Anch’io ho raccolto solo ipotesi contrastanti: che si fosse creato una nuova famiglia (anche il cognato, che si sposò in Argentina, non seppe più niente di lui), che fosse tornato in Italia presso la famiglia di origine, addirittura che fosse stato ucciso a Genova…

Nella famiglia prevalse la tesi che avesse abbandonato mia bisnonna e i figli.

Tuttavia gli zii (quali fossero le loro fonti non so: nonno, mia bisnonna, i parenti di Nuoro – ove i bisnonni erano nati entrambi) riferivano notizie sommarie, si parlava di una vaga origine “toscana”…

Nonno ci lasciò che ero ancora adolescente e non ebbi mai modo di approfondire direttamente con lui la questione, tuttavia mi ero ripromesso di fare delle ricerche, visto che le notizie dirette erano piuttosto nebulose.

Iniziai allo stato civile di Nuoro, diversi anni fa. Non trovai molto anche perché alcuni registri erano di complicata lettura e altri erano andati distrutti in un incendio. Non sto a ricostruire l’intera ricerca, ma scoprii che la discendenza riguardava la provincia di Como, allora austriaca, mentre per il Comune potevo solo fare ipotesi, mi ero scritto lo scarabocchio così com’era e poteva essere Asso, Azzio, Azzate… non so che altro. Ma insieme agli scarabocchi, un registro in bella scrittura diceva inequivocabilmente Azzio e questo comunicai ai parenti.

Mi recai ad Azzio ben due volte, ma non trovai nulla; il sindaco e il parroco mi assicurarono che quel cognome non apparteneva a quel paese, era per questo non trovai nulla neppure nell’archivio della pieve. La cosa mi sbalordiva parecchio e feci le mie supposizioni…

La seconda ricerca a Nuoro la feci presso l’archivio diocesano, non ebbi molto spazio là, ma il direttore (o semplicemente la mia guida) mi diede un’informazione fondamentale, che in un primo momento presi con scetticismo: un sito dei “mormoni” pubblicava antichi atti di stato civile (pare che il sito sia stato ora rimosso, non ho verificato). Con calma un giorno feci la ricerca su internet, trovai il sito e, cosa allora per me stupefacente, trovai l’atto di matrimonio, leggibilissimo, dei miei trisnonni: la località era Arcisate, una valle più a est, ma sempre nella “nuova” provincia di Varese.

Ad Arcisate trovai tutte le conferme del caso, grazie all’aiutante dell’archivio parrocchiale.

I misteri non sarebbero finiti, la via più semplice è quella più impossibile: far risuscitare i trisnonni; altre vie, potrebbero essere cercate tra i discendenti ancora presenti nel paese, o ancora, complicate ricerche storiche dai tempi delle 5 giornate di Milano…

Fermo restando che pare il mio trisnonno fosse giunto in Sardegna per lavorare alla ferrovia (ma anche questa è un’ipotesi) – è certo che era capomastro, maestro di muro, per dirla con Francesco Masala, ed era istruito – resta il succo della questione: cosa gli sarà passato per la testa di trasferirsi in Sardegna… Si era verosimilmente innamorato di Mariangela durante il suo soggiorno per lavoro. In fondo lui aveva superato i 40 e lei aveva 29 anni, si sposarono nel 1868 e vissero a Nuoro in Perda de s’oru (chissà se quella o è aperta o chiusa. Òru è l’oro; óru è l’orlo).

Quando scrissi i versi omonimi e altri in seguito, tutto verteva ancora su Azzio in Valcuvia, una bella zona immersa nella natura, ai margini del parco Campo dei fiori. Arcisate però non è da meno, si trova a poca distanza da Varese nella Valceresio. Ciò che non si spiega è cosa c’entri Azzio; sì, perché nell’atto di morte del trisnonno a Nuoro (1882) è indicato chiaramente come Comune di nascita Azzio “del fu Tomaso di Azzio”. E’ vero che gli atti in quei tempi riferivano quanto dichiarato dai testimoni e infatti lo stesso atto riporta altre imprecisioni, ma non credo ci fossero in quel momento in ufficio conoscitori delle valli varesotte per incorrere in un simile equivoco… Tra le altre cose ho pensato a un domicilio o residenza ad Azzio, i due comuni sono vicini (20 km. attraversando il Parco)… A meno che non si siano messi seduta stante a frugare sulla carta geografica nomi verosimili. Non so come potessero essere i documenti di allora, certo alcuni scrivevano in modo poco leggibile.

Il trisnonno comunque nacque sotto l’impero austriaco (com’era la calligrafia austriaca?), poi divenne sardo (suddito del Regno di Sardegna) a 33 anni, chissà che faceva nel 1848 a 22 anni, avrà partecipato alla rivolta?

Entrata la Lombardia nel regno sardo (che per inciso della Sardegna ha solo il nome, ripagato con sfruttamento e tasse) venne a lavorare in Sardegna, come altri lombardi – una sorta di emigrazione al contrario -, qui si stabilisce lasciando la famiglia nel varesotto e iniziando una nuova generazione in Sardegna.

 66 disterru

14 Disterru a su travessu (66 – 8s – XIII.XXIVd – 31.07 a) a 30.11.2020

CUMPARIT FÉMINA A SU NOBIL CORU

Cumparit fémina a su nobil coru,
narat sa manera ‘e unu movimentu
cun raxinas de Marmilla a Gennargentu,
de Casteddu fintzas a Logudoru.
Cun issa ia bolli fai s’edad’ ‘e s’oru;
fillus e cumpangius sigant su bentu,
ca est tempu de sardu resorgimentu:
no prus preitza, ken’ ‘e tzapu est su moru.
Ohi! Torrai a inghitzai de Giommaria.
Ma atrus cent’annus no depint passai
chena de ci bogai sa genti stràngia.
Nous fidelis a Marta e no a Maria,
po sa causa a totu tundu traballai
de natzione Sarda nosta cumpàngia.

femmina,cuore,logudoro,oro,dante,sardu,mori,fedeli,amore

Composta lo stesso giorno della precedente, frutto della stessa esaltante ispirazione, ma quanto è intima quella, tanto è politica questa; quella si ispira all’amore stilnovista, questa a quanto di ipoteticamente sovversivo ci fosse nei Fedeli d’amore.
Un flash che viene letto in due modi diversi: il piacere dell’amore intimo, ma anche la celebrazione dello stesso in un impeto libertario e rivoluzionario in cui la donna amata è ispiratrice e guida, come Beatrice con Dante.
(XVI.XXVIII-6.4b A)

Traduzione:
Una donna si presenta al cuore nobile (1),/ gli dice il modo di fondare un movimento/ con radici dalla Marmilla al Gennargentu,/ da Cagliari fino al Logudoro./
Con lei vorrei realizzare l’età dell’oro;/ figli e compagni seguano il vento,/ perché è il tempo del risorgimento sardo:/ non più accidia, il moro è senza benda (2)./
Ahi! Dover ricominciare dai tempi di Giommaria (3)./ Ma altri cento anni non devono passare/ senza che lo straniero sia cacciato./
Nuovi fedeli (d’amore) (4) a Marta, non a Maria (5) ,/ lavorate a tutto tondo per la causa/ della nostra compagna nazione sarda.

    Note:
1) Diretta ispirazione ai versi del dolce stil novo.
2) Riferimento alla bandiera sarda dei quattro mori, introdotta in Sardegna dai catalano-aragonesi, che rappresenta le teste dei re saraceni quali trofei di guerra. Questi re per tantissimo tempo venivano rappresentati con la benda sugli occhi, la ricerca storica ha dimostrato che la benda, simbolo di regalità, stava invece sulla fronte.
La bandiera dei quattro mori è ormai entrata nella tradizione sarda e i mori hanno perso il senso originario di nemici.
Avrebbe più dignità ad essere la nostra bandiera, la quercia sradicata degli Arborea, che diedero alla Sardegna (quasi unificata da loro) gli unici secoli (quasi sette) di governo indipendente dallo straniero.
3) Giovanni Maria Angioy, il più eccellente dei patrioti sardi. Tra settecento e ottocento combattè per la liberazione della Sardegna dal giogo dei Savoia.
4) Nuovi fedeli d’amore era il movimento che legava i poeti del dolce stil novo, e pare avesse anche fini politici, velati anche nei loro versi.
5) Marta e Maria, in Dante (Comedia) rappresentano l’una la vita attiva e l’altra la vita contemplativa, con riferimento al Vangelo (Lc. 10,38-42).

PO IAIA BATTISTINA

(1891, doxi de Cabudannu)

 

Domu de làdiri

su lamentu de Mundicu

po sa morti de sa màma

no poderat.

Pasturas de Turatzu

de is brebeis e cabras

de Arrafieli, su fami

ndi bogant.

Antoni est dromendi,

e no scit penas e prejus,

spaciaus acanta ‘e issu,

noi mesis tenit.

Mundicu e Arrafieli

ca cussu pipieddu tenit

preneta manna e grai

no scint…

De is arcanos insoru

inghitzat.

manna,arcano,settembre,gramsci,trisnonna,onirico,slow motion,oro,ladiri,terra cruda

Con questo si conclude la serie di dodici brani in sardo, iniziata con ‘Tendi ita t’atzoroddu e interrotta solo da About promenade. La lingua sarda tornerà, ma non, almeno per ora, con serie così lunghe.

Questo brano, leggermente trasposto nel tempo rispetto al nucleo centrale composto nell’arco di due giorni, evoca in qualche modo la nascita di Gramsci, legandola alla scomparsa di mia trisnonna Battistina e di tutto un mondo onirico, dove anche i vivi, si spostano come in slow-motion nei Campi Elisi, in paesaggi color oro.
Il brano, il cui titolo era “Po mamma Battistina”, è stato riveduto rispetto alla metrica originale, nel tentativo di dargli un tono più arcaico.
(XIII.XXIV – 8.12 A)

 

Traduzione:

PER NONNA BATTISTINA (+12.9.1891)

La casa in terra cruda/ il lamento di Raimondo/ per la morte della madre/ non trattiene/.

Pascoli di Turatzu/ delle pecore e capre/ di Raffaele, la fame/ placano/.

Antonio sta dormendo,/ e non conosce dolori e gioie,/ consumati vicino a lui,/ ha nove mesi/.

Raimondo e Raffaele/ che quel bimbo ha/ destino grande e pesante/ non sanno…/

Dai loro enigmi/ ha inizio/.

DISTERRU A SU TRAVESSU

Ita d’at’ essi cuntessiu
a Giuvananton de Tumas
a nd i piobai in Sardigna
de cussu celu in Valcuvia!
Nasciu asuta ‘e s’imperu,
regnìculu a trintatres,
at’ ai gherrau po s’unidadi
chi Insubria no bolit prus?
De sicuru scideus ca issu
fiat maistu de muru
e arrutu is ingiàssus cun
su regnu, trentzit po Nùoru.
Adiosu Pauli Majori,
Vares, padentes e padrus.
Barantaduos nd i tenit
candu cojat Mariàngiula,
matessi nomi ‘e sa mamma…
nascit Paulu, bisaju miu.
Spantat custu acuntéssiu
de isterru a su travessu;
in s’otuxentus de mesu,
po crésias e ferruvias,
lumbardus traballant innoi.
Jaiu Tumas Rossi in Azzio,
mancai in Oro, Mara, Torcin,
Umbera o Dolza Molino,
logus togus de làcana,
de aqua e bidri de matas,
passat sa becesa sciendi
ca su semi suu at inghitzau
unu fedu nou in Sardigna.

vares.jpg

Valcuvia, Varesot, in modo più estensivo e arcaico Insubria… La consapevolezza che una parte di te provenga da lì fa un effetto particolare, soprattutto dopo aver calpestato lo stesso selciato di quegli avi, visto gli stessi luoghi o parte di essi.
Un mio trisavolo nacque là, dopo la Restaurazione, in territorio allora austriaco, al confine con la Svizzera e il Regno di Sardegna.
Era il periodo in cui si diffondevano, anche in Lombardia, idee indipendentiste tese a realizzare la cosiddetta “unità d’Italia”. Dal 1830 la regione diventò un centro di cospirazioni segrete tendenti a realizzare una nuova nazione, fino alle note “cinque giornate di Milano” del 1848. Nel giugno di quell’anno, durante quella che si ricorda come prima guerra di indipendenza i lombardi votarono a favore di un plebiscito per la fusione con il Regno di Sardegna, ma la guerra fu vinta dall’impero austriaco. In seguito alla seconda guerra di indipendenza la Lombardia fu ceduta al Regno di Sardegna (trattato di Villafranca del 12 luglio 1859, ratificato col trattato di Zurigo del 10 novembre 1859). Si trattò di una conquista, non di annessione per plebiscito, come per altre regioni italiane.
Far parte dello stesso stato, evidentemente, favorì spostamenti nei diversi territori, così mio trisavolo emigrò in Sardegna…
In origine il titolo del brano era “Varesot in Sardigna”.
(XIII.XXIVd-31.07 A)

Traduzione:
EMIGRAZIONE AL CONTRARIO
Cosa sarà passato per la testa/ a Giovanni Antonio di Tomaso/ per trasferirsi in Sardegna/ da quel paradiso in Valcuvia!/
Nato sotto l’impero (austriaco),/ sotto il Regno (di Sardegna) a 33 anni,/ avrà lottato per l’unità/ che l’Insubria non vuole più?/ Di certo sappiamo che lui/ era maestro di muro/ e caduti i confini con/ il Regno, si mosse per Nuoro./
Addio Lago Maggiore,/ Varese, boschi e prati./ Quarantadue ne ha/ quando sposa Mariangela,/ stesso nome di sua madre…/ nasce Paolo, mio bisnonno./
Meraviglia questo episodio/ di emigrazione al contrario;/ nell’ottocento di mezzo,/ per chiese e ferrovia,/ lombardi lavorano qui./
Nonno Tomaso Rossi ad Azzio,/ forse ad Oro, Mara, Torcino,/ Umbera o Molino Dolza,/ tutti luoghi di confine,/ d’acqua e verde di alberi,/ trascorre la vecchiaia sapendo/ che il suo seme ha iniziato/ una nuova generazione in Sardegna./