CONOSCENZA (versi per chi non ne voleva – 1)

In un passato che sembra vicino ma in realtà non lo è tanto, pensando a questa storia la definii “una drammatica quanto sarcastica e amara trilogia”, perché divisa in tre parti, e “la cui intelligibilità necessiterebbe almeno di un trattatello di psicologia”.

Mi riferisco a un amore intenso ma controverso fin dai primi momenti e soprattutto non equilibrato, ma, forse inspiegabilmente, il rapporto si mantiene ancora sebbene molto ridimensionato, un fatto rarissimo per il protagonista, unico ai livelli mantenuti.

In realtà, se penso alle “storie” riferitemi, anche le principali, A. raramente ha conservato una frequentazione anche sporadica, in molti casi per volontà delle partner o per fisiologica perdita di contatto, ma diverse altre situazioni fanno tutte caso a se.

Ma dedichiamoci a questa storia, almeno alla parte più intensa, e in questo frangente ai primi momenti, quelli della conoscenza.

Stranezza per stranezza, anche se anticipo l’epilogo momentaneo della vicenda, il nostro provò a utilizzare la scrittura per recuperare il rapporto, nonostante la ragazza avesse chiesto che non scrivesse di lei.

Intendeva provocare una qualche reazione, una scossa, forse addirittura la sua era una supplica, un’ultima spiaggia da percorrere, benché avesse già la consapevolezza che si trattava di due personalità piuttosto agli antipodi, con una buona dose di inesplicabilità di alcune situazioni.

Si conobbero a un “congresso” a Firenze, la notò subito, e in qualche modo avendo fatto combriccola con alcune sue frequentazioni, cercò di ruotarle intorno, finché anche lei lo notò e cominciarono a parlarsi. Lo colpì il suo viso, il solito flash, e capì che gli piaceva, ma ciò che lo fece innamorare, alla lunga, fu la sua personalità, il suo modo di fare di milanese, studentessa del Berchet.

Era novembre, la sera dovettero recarsi all’Ostello per recuperare indumenti congrui, si fecero una scarpinata dal Palazzo dei congressi, in zona stazione, a oltre Arno (zona Boboli). Parlarono fitto e al ritorno, come per un tacito accordo, distanziarono a sufficienza il resto della compagnia, abbastanza complici, abbracciati… Quasi a destinazione, in via Valfonda, si infilarono nel primo porticato sulla sinistra e lì scattò il bacio, il primo di una serie…

Il commento di lei fu “Fai sempre così con tutte?”, poi “Non faccio di queste cose…”.

Momenti di dèfaillance di lei un po’ sconvolta; paura di un ripensamento per lui già molto preso. Lei appariva più razionale, eppure il feeling fu mantenuto nonostante il turbamento, l’emozione intensa del momento. Si trattava pur sempre di una ragazza di non ancora 16 anni, con uno che ne aveva appena compiuto 21.

Il giorno dopo L. fu molto più tranquilla, trascorsero insieme tutta la giornata e in particolare il pomeriggio sulla terrazza del Palazzo a limonare, non trascurando i lavori congressuali che peraltro arricchirono la loro conoscenza e stabilirono delle identità di pensiero.

Si rividero qualche giorno dopo a Milano per saldare il rapporto e da lì iniziò la fitta corrispondenza fino al nuovo incontro in occasione di Umbria Jazz dell’estate successiva.

Nel suo scritto di cui ho fatto cenno all’inizio, egli non è metodico, non segue un ordine temporale degli eventi, ma spazia nel tempo; dalla conoscenza salta ai tempi meno sereni, quando lei comincia a mostrare insofferenza, l’esigenza di stare da sola, che a lui risulta un po’ incomprensibile, una sorta di rifiuto, mentre lei vive il momento con freddezza e severità, il suo chiedersi “perché” rappresenta una pressione indesiderata. Si alternato attimi di dolcezza a “cadute nel baratro”.

Un periodo piuttosto stressante di bastone e carota, percepito a tratti come sadomasochismo, comportamento doloso, il piacere di far soffrire.

Verosimilmente non era così, ma solo necessità differenti che non combaciavano, anzi erano opposte, pertanto li allontanavano; la continua ricerca di stare insieme di lui, otteneva il suo irrigidimento e un esacerbarsi della incomprensione, portava alla fine un rapporto tra “vittima e carnefice”, anche se più semplicemente si trattava di incompatibilità caratteriale.

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39 Conoscenza (versi per chi non ne voleva-1) (52 – VIIIa – 13.9 mi) a 30.12.2022

IL GIOCO ASSURDO

Dopo averlo discretamente citato “il gioco assurdo” sale alla ribalta direttamente, si prende la sua rivincita, il suo spazio, basta citazioni estemporanee. Potremmo scrivere giocassurdo tanto è univoca e chiara questa situazione, riconoscibile e definibile tale ogni volta che ritorna; come è vero che ognuno di noi ha un proprio linguaggio, propri campi semantici, che estende e restringe in base a tante variabili esclusive proprie di una sola persona.

Diciamo questo perché chissà se nell’introdurre il concetto sarà resa esattamente l’idea, anche perché il fenomeno è abbastanza ricorrente e stupisce sempre, come davanti a un dejà vu.

Il giocassurdo è come un romanzo, lo puoi vivere in prima persona, o esserne osservatore esterno; può anche essere piacevole, intrigante, allora si può coltivare, prendere a piccole dosi, senza fretta. Ma come negare che spesso è stressante e deludente, evanescente, snervante… soprattutto se non evolve positivamente e resta assurdo. Esso è peraltro complice del sogno, di ispirazioni oniriche mattutine.

Quando lo vivi il sogno è realtà, diventa sogno quando lo descrivi, lo racconti, ci ripensi… e allora – come se di esso si potesse fare la cernita, passare al setaccio – separi gli elementi reali dalle mere fantasie oniriche.

Il narratore, confessa, non ama raccontare qualsiasi sogno, predilige quasi esclusivamente quelli che evocano amori, dai più piccoli ai grandi, perché il sogno è come un film, dunque deve piacergli, il dramma è che non si può scegliere, non si ha un telecomando e occorre sorbirsi ciò che passa il convento.

Occorrerà dire che la scrittura è terribile, circuisce che manco il carisma più potente… Ebbene, quando piace una donna, insomma quando si è proprio persi, se anche lei ha un nome molto corto, lo si pronuncia sillabando quasi fosse una riserva di piacere, lentamente, in modo che duri a lungo, almeno come un nome di quattro sillabe; tale è la frenesia e la passione, che si è subito smascherati e si prova pure imbarazzo: ma cosa non si farebbe per una seppur minima estasi.

Così inizia il giocassurdo. Le reazioni sono diverse: chi semplicemente sorride e permette che il gioco continui, chi (te ne accorgi dall’espressione) pensa “questo è matto”, o ancora chi chiede esplicitamente se ci stai provando, e tante altre variabili.

Ma a noi ora interessa la prima reazione, quella che innesca il gioco, che si chiama assurdo proprio perchè è un lungo tiremmolla che non si sa mai dove vada a parare.

Un altro step sono gli sguardi, lumate sostenute e ripetute, apparentemente casuali, la cui intensità è quasi esplicita, dunque si è acquisita una certa sicurezza o ci si prende un forte rischio al limite dell’audacia e dell’impertinenza, perchè se lei lo costringe a distogliere lo sguardo, quello si perde fintamente desolato su punti ben precisi del suo corpo, quelli che i più impudenti chiamano “burrosi”.

Nel sogno lei, come se penasse per tanta spudoratezza, mostra qualche grinza e mollezza giovanili – ma neanche più tanto – per le quali lui freme ancora di più, in quella sorta di passione per le imperfezioni femminili che in certi contesti accrescono l’ardore ben più di un corpo perfetto, plastico, scolpito… quello che non ha capito chi ricorre a ritocchi vari…

Il gioco è ormai avanzato, il re è nudo, è lei che ora può giocare con più disinvoltura e da lontano manda baci più o meno celati, più o meno equivoci, fa gli occhi dolci; la situazione si rovescia, ora è lui in forte imbarazzo, perchè in questo gioco nulla è leggibile con certezza, neppure i gesti apparentemente più espliciti, che anzi sono quelli più ambigui e invitano semplicemente a proseguire la commedia.

Il sogno non dà conclusioni, spesso si interrompe sul più bello, pertanto la scrittura deve fare un po’ di acrobazie, ricorrere a molte delle sue prerogative per coprire le lacune oniriche… Avendo peraltro il sogno dato luogo a versi – e oggi è risuonata di nuovo la frase “i versi non si spiegano” – qui infatti si “narra” il sogno, non si spiegano versi.

Di essi potremmo raccontare alcuni aneddoti assolutamente esterni, che non li riguardano, in quanto hanno prodotto, come altri, fraintendimenti: il mondo quando scrivi ti interpreta, ti studia e studiare una sorta di ermetismo non è mai semplice. Diremo solo che in quel brano c’è un verso, anzi una parola variabile: per il nome di quattro sillabe di cui sopra è stato usato un omoteleuto, uno stratagemma retorico per confondere ancora di più le acque.

89 il gioco assurdo

35 Il gioco assurdo (85 – XIX.XXXII – 31.10 a) a 23.08.2022

SENZA MACULA

Freni l’ardore con le labbra
nel caso tu tema esuberi 
e trascenda oltre la bocca,
un caldo modo di fermarmi
con baci per te immacolati.
Eppur tal candore mi accende.
Presto fuggirò per il seno
a saziarmi delle mammelle
percependo appena un palpito
e un grido acuto imploso dentro,
gemito strozzato che infiamma.
Per mitigare la passione
mi umetti con saliva il collo
alternando piccoli morsi
in cerca di piacere casto.
L’impeto condurrà al pio ventre
che vorrei esplorare in ogni via
aggiungendo sostanza a umore
esondante tra le tue cosce;
pertanto placherai il mio slancio
offrendo la candida rosa.
Perdendomi ancora sul viso
tra sospiri fiochi, sommessi,
proferendo un ultimo soffio,
vinto crollerò al tuo cospetto.

135 senza macula

Novenari sciolti
(XXVIII.XLIV – 20.2 A)

IL GIOCO ASSURDO

Pronuncio il tuo nome sillabando
ché duri a lungo come “serenella”,
sol basti per cadere in estasi
nel tiremmolla del gioco assurdo.

Incrociando il tuo sguardo, persisto,
intensamente esplicito che voglio,
lo chino solo per mirar il seno
i cui frutti cremosi non disdegno.

Mi struggo per la tua carne sfiorita
con qualche segno e crespa tra mollezze.
Offri baci celati, occhi dolci.gioco assurdo,estasi,tiremmolla,sguardo,seno,frutti,carne,mollezze,baci,dolci                

Potrei scrivere giocoassurdo, tanto è univoca e chiara per me questa situazione, che riconosco e definisco tale ogni volta che ritorna. Come è vero che ognuno di noi ha un proprio linguaggio, propri campi semantici che estende e restringe in base a tante variabili esclusive, proprie di una sola persona.

Dico questo perché non so se nell’introdurre il concetto renderò esattamente la mia idea, anche perché per me il fenomeno è abbastanza ricorrente e mi stupisco sempre, come davanti a un dejà vu.

Il giocoassurdo è come un romanzo, lo puoi vivere in prima persona, o essere osservatore esterno; può anche essere piacevole, intrigante, allora si può coltivare, prendere a piccole dosi, senza fretta. Ma come negare che spesso è stressante e deludente, evanescente, snervante… soprattutto se non evolve positivamente e resta assurdo.

Anche questo brano ha origine da ispirazione onirica mattutina.

(XIX.XXXII – 31.10 A)

LE NOSTRE NOTTI

I nostri corpi si muovono attenti,
si sfiorano silenti, si pressano,
irresistibilmente attratti da
un’essenziale affinità basica.
Le nostre menti già oltre il tempo
nutrono la frenesia istintiva
di un desiderio travolgente… e
su per le scale ormai ti agguanto.
“E allora?” Colpo d’occhio allusivo,
dissimulante, ed è eretto, ficcante.
Dialogando di giustizia sociale…
Il tuo respiro si fa implorante,
navigo nel buio anfratto tra cosce,
aneliti, seni, docile bocca,
avvolti nell’amplesso deflagrante,
mollezze, umori, baci, carezze…
Come!

notte,affinità,frenesia,desiderio,respiro,anelito,j,baci,carezze,basic

Scritta dopo una delle nostre notti di veglia e in questa notte e solo in questa, mi hai chiesto dei versi… e sono stati subito questi.
Endecasillabi sciolti… caudati.
(XXVII.XLIII – 11.2 A)

CONOSCENZA (versi per chi non ne voleva – 1)

In principio fu uno sguardo profetico,
poi la ricerca del momento opportuno.
Ci trovammo là a mangiare:
lo ricordo come un fenomeno già visto.
In seguito nella mente un pensiero fisso,
realizzato con la fuga dagli altri:
l’abbraccio… La certezza di poter rubare.
Faccio sempre così con tutte?
Parlarti! Nell’abbandono…Ti amo!
Non facevi di quelle cose!
Amore, dialogo, sensazioni bellissime
Tua decisione improvvisa, grottesca, castrante.
La voglia di stare da sola, il bisogno:
altro attuale “deja vu”,
incomprensibile allora.
Abile nei compromessi,
prendo sempre il più che posso.
Dicesti che non avrei mai dovuto
scrivere niente su di te,
e questo già lo scrissi nella mia mente.
Ricerca disperata, freddezza, sofferenza:
crearsi l’appiglio nella caduta dal baratro;
speranza ritrovata, severità, asservimento,
sadomasochismo degli esseri umani.
Dammi una possibilità!
Sono il tuo servo!
Non ti avrei mai pensata così!
Strani a capire voi di questo mondo:
pazzi, conformisti, semplici… un casino!
Smascheratevi ipocriti! Confondete l’ingenuo.

versi per chi non... 1.jpg

Primo atto di una drammatica quanto sarcastica e amara trilogia, la cui intelligibilità necessiterebbe almeno di un trattatello di psicologia.
Racconto di un amore intenso, ma controverso fin dai suoi primi momenti, descritto di getto in uno dei periodi più dolorosi.
I versi liberi rappresentavano l’illusoria supplica, la scossa, l’ultima spiaggia per recuperare il rapporto tra due personalità sotto certi aspetti agli antipodi, seppur inesplicabili.
(VIIIa – 13.9 Milano)
  
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