ITA AS A FAI FRANCU MABONI?

Ita as a fai Francu Maboñi?
immoi ses beniu a paragoñi…
In nòmini de su pòpulu sardu
ti ses setziu in cuddu parlamentu,
no pentzist d’essi sou a su traguardu,
chi s’idea no potzat teñi fundamentu;
lassa perdi chi no tenit riguardu
e circat de insertai scoramentu.
Ti ndi iat a depi parri bregungia
chi su pòpulu sardu colonizau,
chena riscatu, non movat uña frungia,
finzas su padanu est prus abizau.
Immoi ca ses inguñi fuedda e murrungia,
boleus biri su chi as manizau.
Ti ndi pesas dintedì de su scannu
cun sa pandela de is bator moros?
Arregoda a is itàlicus su dannu
chi ant fatu, sa fura, is disdoros;
pista is peis, iscaratza s’ingannu,
poniddi infatu ai cussus matamoros.
Poñi chistioñis e sémpri ammentaddas,
in limba nosta allega, scrii e batalla,
soberania e atras causas cheriddas,
su traballu po is sardus atanalla,
is afrentas cun sa rifata luiriddas
e goi s’identidadi nosta talla.
Ita as a fai Francu Maboñi?
immoi ses beniu a paragoñi…

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Alle elezioni politiche del 1996, vinte dal centro-sinistra di Prodi, venne eletto l’ultimo (almeno fino ad ora) parlamentare sardista, il sen. Franco Costantino Meloni, avvocato di Nulvi scomparso nel 2002, già sindaco di Sassari per il PSI, poi consigliere regionale e presidente del PSd’Az.
Salutai il fatto con particolare entusiasmo, giacchè da anni nessun sardista aveva più messo piede in parlamento, anche a causa di una politica autolesionista dei partiti autonomisti/indipendentisti e di una eccessiva frammentazione, la cui analisi in questa sede vi risparmio.
Era il periodo in cui avevo ripreso gli studi universitari e da anni era intenso il mio impegno nel sindacato sardo, scrissi dunque questi versi sulle ali di una certa esaltazione, ma prudenti, giacchè da anni i psdazzini avevano dimostrato di non saper o voler volare; una volta raggiunta la carica, occupata la sedia, vivacchiavano nell’anonimato più indolente e di tutte le battaglie e gli ideali di cui si discuteva in assemblee e congressi non se ne faceva nulla.
In questo senso dice tutto il verso “finzas su padanu est prus abizau”… Ergo, è vero che ciò che ho in comune con Bossi è sostanzialmente pari a zero, ma se qualche sardista avesse avuto un minimo della sua ostinazione, non sarebbe stato male.
La struttura, semplificata, e la natura dei versi, sono vagamente ispirate alla lauda/ballata “Que farai, Pier da Morrone?” di Jacopone da Todi, con i dovuti distinguo a questo punto: le perplessità di Jacopone non riguardavano la persona dell’eremita di Isernia, ma la carica di papa che assumeva nel contesto corrotto della chiesa del duecento e infatti dovette abbandonare.
Tuttavia spendo una buona parola per Meloni, pur non avendo verificato cosa fece concretamente in merito: durante il suo mandato, dopo anni di attesa, di sgambetti e ritrosie, finalmente fu approvata legge 482/99 che riconosce e tutela le minoranze linguistiche, tra cui il sardo.
(XVI.XXVIII-23.10 A)

Traduzione:
CHE FARAI FRANCO MELONI?
Che farai Franco Meloni?/ ora sei venuto alla prova dei fatti…/
In nome del popolo sardo / hai preso posto in quel parlamento,/ non pensare di essere solo in questo nuovo impegno,/ che i nostri ideali non abbiano fondatezza;/ non curarti di chi non ha alcun riguardo/ e fa di tutto per provocare scoraggiamento./
Dovresti provare vergogna per il fatto/ che il popolo sardo, colonizzato, / irredento, non faccia una piega,/ perfino i padani son più accorti./ Ora che sei lì parla e protesta,/ vogliamo vedere quanto hai programmato./
Ti alzi ogni giorno dal tuo seggio/ con la bandiera dei quattro mori?/ Ricorda agli italiani i danni/ che hanno fatto, le ruberie, i disonori;/ impuntati, smaschera l’inganno,/ stai alle calcagna di quegli sbruffoni./ Solleva problemi e ricordali sempre,/ parla, scrivi e combatti nella nostra lingua,/ pretendi la nostra sovranità e altre cause,/ ottieni il lavoro per i sardi,/ riscatta le offese con il risarcimento/ e così la nostra identità progetta./
Che farai Franco Meloni?/ ora sei venuto alla prova dei fatti…/