EHI GIO!

Ehi Gio, che posso farci a Modena?
più scazzo, più angoscia che a Roma?
Mi rasserenava solo il pensiero,
malgrado la situazione kafkiana, 
m’ha restituito il fervore, davvero.   
Combattuto tra cautela e riguardo,
conscio delle variabili antropiche,
primo geminiano cui parlo, sardo;
eppure la provincia è composita,
stranieri, sordi, gentili, silenti…
L’insegna dell’ostello trinitario
non compare quale scena da bardo,
ma scampo, giacché ho preso in pieno,
rovente canto del cigno d’Estate.
S’impone il relax di una doccia fredda. 
Sollievo a girar libero e leggero 
pregustando momenti piacevoli.
Ci fossi stata at diciannove e trenta,
Ghirlandin sarebbe stata più bella…
Mi rassegno acché sfiga non trascenda.
Già! Disdetta da plus serata vacua,
doccia fredda meno ristoratrice;
tu gentile, consolante e dovrei io.
Incombe ancora un’irrealtà insicura;
lenisco lo stordimento al Papillon.
Mi esaltano i trascorsi partigiani
di questa meno caotica Bologna.
Placato, spalle al duomo in penombra,
non ho mai avuto uno scrittoio
più magico di questa Piazza Grande.

(Frescura in sentore di Danubio)
ehi gio.jpg

Siamo alla rappresentazione di un periodo personale piuttosto drammatico (lo dico giovandomi dell’indisponibilità di un misuratore di dolore e dunque impossibilitato a fare scomodi confronti anche con il presente).
Per la prima volta affrontavo un viaggio in assoluta solitudine morale e materiale, alla disperata ricerca di una svolta e senza una meta precisa.
Assistevo al formarsi dell’itinerario quasi fossi due persone che lottavano tra loro, una tenace, un’altra rinunciataria.
Le prime tappe, sotto certi aspetti, non furono incoraggianti e fortunatamente prevalse, la mia risolutezza.
Il viaggio ha prodotto quattro brani, questo si riferisce al passaggio a Modena.
Nonostante la situazione surreale e qualche disagio, conservo di questa città un ricordo gradevolissimo, specie per il momento suggestivo sui gradini del duomo in Piazza Grande, ove ho scritto questi versi.
(XXII.XXXVIII – 6.9 Modena)