UNA PAGINA DI STORIA

Tornare a trattare di scritti adolescenziali quando ormai l’adolescenza è passata da un pezzo e non lo si vorrebbe neppure ammettere, è un esercizio piuttosto contrastante, soprattutto le sensazioni lo sono e non sono assolute, comprendo che dipendano prevalentemente dai momenti che si stanno vivendo, a tratti appaiono illazioni… Peraltro non essendovi la controprova sull’interpretazione fedele di un testo, ci si improvvisa tuttologi; direbbe allora il narratore: “il giovinetto…”, in un misto di malinconia, curiosità, poco piacere, forse riflesso nel tempo, in una sorta di associazione/dissociazione alternata. La cosa certa è che le sensazioni sono diverse, mutate, per certi versi sorprendenti, più che le attuali, quelle di allora.

Osservo subito, che al di là di quella che conosciamo, l’importanza della scrittura comprende certamente la negazione dell’oblio privato, in parole più povere, di ciò di cui si è scritto si conserva memoria, mentre di molto che non si è scritto è più problematico tenere memoria, almeno quella spicciola, immediata.

Con L. si conobbero da bambini, diciamo pure da pre-adolescenti, poi si frequentatrono e si scrissero per anni fino alla maturità, non si può dire troppo perché si è vincolati da una certa privacy d’opportunità e le postille in voga ai tempi: i fatti narrati sono frutto della fantasia, eccetera eccetera, sono ormai anacronistici, almeno per alcuni indirizzi stilistici.

Dei loro primi incontri, accompagnati da rispettive zie, ricordo poco, forse stettero taciturni e imbarazzati, condizionati dai discorsi dei grandi, ma in uno di questi erano invitati a un matrimonio, trascorsero tutto il tempo insieme e goderono di una certa libertà, acquisendo una certa confidenza; lei era piuttosto disinvolta ed estroversa, ci si stava bene, e il timido, si sa, una volta in fiducia si scatena. Così al di là dei momenti collettivi, si ritagliarono una certa intimità obbedendo alle prime pulsioni ancora embrionali, insomma si appartarono e assaporarono i primi bacetti, abbracci, qualcosa del tutto improvvisato e di cui non conoscevano nulla di più del naturale impulso… I dialoghi farebbero sorridere… Ne uscirono un po’ “fidanzatini”…

Gli altri ricordi vanno agli anni della prima adolescenza, quando già si scrivevano e passavano del tempo insieme, anzi erano talmente sempre insieme che la cosa non solo fu osservata, ma anche scoraggiata, con disappunto di entrambi e soprattutto del nostro “giovinetto”.

Crebbero, le loro lettere ne sono testimoni, insieme organizzavano feste, si allargò il gruppo di amici… le storie cambiano velocemente, specie in quegli anni.

Le dedicò dei versi in alcune occasioni, aveva iniziato a farlo a quattordici anni, come fanno molti ragazzi e ragazze; nulla di interessante se non per il fatto che ricordano momenti della loro storia personale ed è questo che li riempie di importanza.

Sto esaminando i versi celebrativi per il quindicesimo compleanno di lei, resi asciutti da parecchie modifiche tese a smorzare la retorica un po’ banale. L’originale risulta molto enfatico, il titolo anacronistico “Nasce una donna”. La metrica richiamava la canzone “Anna” di Battisti. Dopo le varie revisioni i versi sono diventati liberi e definiscono la sua nascita “Una pagina di storia”. L’enfasi persiste ma meno, diciamo che le variazioni hanno permesso un recupero alla meno peggio.

A suo tempo, sostiene sinteticamente, i tuoi genitori si sono amati e sei nata tu, fu un evento importante e la famiglia ne gioì. Il “caso” ci fece incontrare, non il destino e nel farti gli auguri ti incito ad agire come desideri, secondo la conoscenza soprattutto di te stessa.

Un semplice omaggio, coronato da suggestioni musicali nuove; con il passaggio dall’infanzia all’adolescenza, declinava Battisti e si imponeva il soft rock, poi definito progressive; uno dei maggiori gruppi erano i Procol Harum, dalla musica molto suggestiva, intrisa di contaminazioni classiche e testi poetici surreali, pertanto per stare in linea chiosava in un appunto: salteremo il facile fandango e gireremo per le strade allacciati, ma non voglio che il tuo bel viso diventi nella notte un’ombra bianca di pallido. Ma davvero il fandango è così facile?

10 una pagina di storia

Una pagina di storia (10 – II – 23.11 s) a 22-23.10.2023

SINTESI

Il dibattito sulla poesia è affare da iniziati, intendo dire che non si tratta di una discussione che coinvolge le masse; forse un tempo si diceva qualcosa del genere, ma anche allora era una forzatura. Tuttavia, seppure in ambiti ristretti, si ragiona sull’argomento, sulle tematiche più varie. Mi viene in mente ad esempio la questione dell’ispirazione, di quanto possa essere ridicolo che qualcuno si sieda a tavolino a scrivere versi, d’emblé, così, senza che ci sia stato un preventivo impulso… E peggio sarebbe se un poeta già affermato scrivesse per contratto. Penso la stessa cosa per la prosa, figuriamoci per i versi.

Dato per scontato che un poeta o un versificatore (si tratta di una dizione più schiva) compongano solo in preda al sacro estro, talvolta la tenzone verte sui periodi più o meno lunghi di non scrittura. Perché accade?

Non ho intenzione di esercitarmi in una lunga tesi sull’argomento tutt’al più mi produrrò, appunto, in una sintesi non distante dalla mia esperienza.

Un troubadour scrive di più quando è felice, sereno, tranquillo o quando è triste, inquieto, agitato; o preferibilmente, in quale dei due casi esprime il meglio di se?

Forse deluderò le aspettative più pruriginose, ma non credo esistano delle leggi matematiche su una tale disputa, propenderei per il fattore soggettivo.

Per quando mi riguarda è capitato che in anni di intensa felicità non abbia scritto più versi, verosimilmente perché non avevo neanche il tempo per sedermi, peraltro in altri anni felici, relativamente, forse perché avevo il tempo per sedermi a scrivere, ho invece composto parecchio.

La stessa cosa è successa in anni bui, in un caso ho scritto tanto, adesso – perché ditemi se questi non sono anni foschi – sto scrivendo ben poco.

Di due periodi così opposti, magari, ci si rende conto in una zona neutra, in un momento in cui non vanno bene le cose, ma sono forti le speranze, ed è dunque il momento per fare una sintesi, o meglio, di elaborare la sintesi.

E questa su cosa verte? certamente l’elaborazione di un vecchio testo, scritto in un contesto differente è condizionato dal presente… Hai voglia di voler essere fedele, obiettivo, il testo sarà necessariamente tradito, in tutti i sensi. Il pensiero vagherà tra i bei momenti vissuti nel passato più o meno recente, un po’ arbitro dei diversi momenti felici, quelli più vivi si mischieranno con quelli più datati, che però saranno assimilati alla realtà che si sta vivendo, alla costruzione di una nuova felicità.

Si richiamano amori passati, li si abbina, li si paragona e si fa appena cenno alle nuove aspettative proiettate in un futuro che si immagina prossimo; si trascurano invece gli aspetti dolorosi, ormai andati.

In uno stato felice, ove l’unico residuo di versi è una sintesi, si afferma la volontà di essere sempre lo stesso, quello dello spirito avventuroso e impegnato che guarda avanti, ma tiene sempre conto dell’insegnamento del passato.

La sintesi, sperduta tra appunti e altri versi dimenticati, si palesa certo in un momento di cambiamento; la beffa può anche essere quella della scrittura in un momento felice e del ritrovamento in un altro tutt’altro che tale. Segna comunque una svolta nella versificazione, perché nel frattempo di cose ne sono successe, tutto il futuro che si ipotizzava è già avvenuto, il momento felice  è già andato… Un altro si affaccia all’orizzonte, ma non è semplice…

Mi viene in qualche modo in soccorso un libro che sto leggendo, che ho appena iniziato, e come per tutti i libri di un certo impegno sono necessarie un tot di pagine per entrare in sintonia con l’autore. Un paragone azzardato in realtà; lì si parla del ritrovamento dell’imbarcazione in cui naufragò san Paolo, a Capo Murro di Porco, nei pressi di Siracusa, nello Ionio… Qui invece si tratta semplicemente del ritrovamento di una bozza dopo miseri cinque lustri, nozze, figli, laurea… e primi tentativi di riscatto, partendo magari da ipotesi quasi impossibili, ma i migliori interpreti del sessantotto (spero non sia troppo sottile) sono quelli che erano stati troppo piccoli per farlo.

sintesi

10 – Sintesi (59 – XI.XVI – 23.10 a) – a 29.07.2020

ILLUSIONE, DUBBIO, VERITÀ

Riflettere sulla scrittura proprio mentre ci si accinge a scrivere. Non sto a fare casistiche visto che non devo scrivere un testo di critica o di metodologia. Capita ora, per tutta una serie di considerazioni che si concatenano, ultima quella che un testo si può iniziare in svariati modi, ma poi si inizia in un modo.

La riflessione originaria verteva sul fatto che possono esserci autori a due estremi: quelli che scrivono testi imbarazzanti e non se ne curano, quelli che invece se ne preoccupano. In mezzo ci sono una miriade di variabili, tra le quali possiamo citare, chi si inquieta al punto di non pubblicare un testo, chi lo pubblica con tutta una serie di remore, chi non si tormenta, ma fino a un certo punto.

Può anche accadere che si scriva un testo, si pubblichi, ma si faccia di tutto affinché i cenni veritieri che contiene, più o meno espliciti, siano nascosti alle persone interessate; dato che ormai nessuno beve più che “il libro è frutto della fantasia dell’autore e ogni riferimento a fatti reali è da considerarsi puramente casuale”. Non basta, può succedere che un testo ritenuto un tempo imbarazzante, si consideri successivamente spendibile e, se lo si era rimaneggiato per renderlo il più possibile ermetico, si torni poi a una versione vicina all’originale ritenendola migliore.

Questo non significa che gli scrittori siano una banda di psicopatici, ma certo non si ha sempre a che fare con il mero flusso di coscienza; la scrittura pone problematiche durante la creazione e pure nella rilettura, e non solo questioni linguistiche.

É evidente che ho in mente un caso del genere, in realtà più di uno, non solo mio, ma posso occuparmi fino a un certo punto dell’altrui scrittura, specie se mi si contrappone l’aut aut che, prevalentemente chi scrive inventa, fantastica, prescinde dalla realtà.

Eppure non sono un assolutista, uno che crede di avere sempre ragione a scapito delle altrui tesi; è vero, penso che una poesia, un racconto o un romanzo, per parlare delle forme di scrittura meno complesse, non possano mai trascurare la realtà vissuta, perfino le favole e diffido dell’eventuale mera invenzione, in quanto non avrà solide basi, neanche se fosse fantascienza… Basta confrontare la “fantascienza” di cinquanta anni fa con quella contemporanea per comprendere il concetto. Tuttavia, per portare avanti un’analisi, sono disposto a rinunciare alle mie profonde convinzioni per rispetto di chi non la pensa allo stesso modo, ma non basta affermare un concetto, occorre discuterlo, sviscerarlo, e in ogni caso e per fortuna, la felicità non dipende dall’esito di questi ragionamenti.

Quali strumenti hai tu, adolescente “di periferia” (come sono stato apostrofato recentemente; ne rido, ma non troppo, perché se il rapporto città-campagna è mutato rispetto a quando era sociologicamente in auge, ammetto che i gap persistono su molti aspetti – non tutto si può fare con i media e con i telefonini) per elaborare sull’amore, fosse anche solo sull’infatuazione o sulle tempeste ormonali?

Hai un sacco di strumenti, che se sei capace puoi rendere adeguati, efficaci. Due occhi con cui vedere la bellezza e intercettare la sensualità, la femminilità, quel qualcosa di misterioso, delicato e sconvolgente che non appartiene all’universo maschile. Gli occhi dominano gli altri sensi, la percezione del profumo della pelle, lo struggimento che causa un contatto anche casuale, la delizia di udire una voce aggraziata, la voglia di assaggiare…

E tu che leggi, scrivi, pensi, sogni, che contieni gli istinti bestiali, se non hai l’agorà, elabori nel giardino, nel frutteto, nel cortile, in compagnia del sole, respirando l’aria pura della campagna. Non hai potuto scegliere dove nascere, hai anche tardato a realizzare la relazione svantaggi-benefici tra città e campagna, nel senso che poteva pure andare il salto, ma crescendo crescono le esigenze, si conosce la città con i suoi pregi e difetti, insomma non è tutto bene bene o male male.

Non voglio farla troppo lunga, anche perché l’argomento è elementare. La società è più complessa del nostro piacere, dei nostri sogni, delle nostre esigenze, solo per tenerci ristretti all’ambito in cui siamo nati e vissuti, senza bisogno di arrivare a tematiche capitalistiche, un tempo inimmaginabili, come la globalizzazione.

Arriva il momento in cui il mondo ideale dove ha cominciato a crescere il fanciullo e l’adolescente, comincia a sfaldarsi: qualcuno studia in città, qualcuno inizia a lavorare, emigra addirittura… e quando si torna si trova la rivoluzione, la necessità di farsi nuove amicizie, che non saranno generalmente mai salde come le prime… Insomma, fine della vita facile, la dicotomia non è più solo città e campagna, ma maschio e femmina e via dicendo… Le coetanee non ti si filano più e quelle più piccole hanno un mondo che ancora non puoi capire, talvolta ci prendi, ma il più delle volte ti freghi da solo, per dirla semplicemente con un concetto sviluppabile ed evitare di finire nel labirinto.

41 illusione

4 – illusione, dubbio, verità (23 – IV – 3.1 a) – a 24.01.2020

SINTESI

Un nome greco per mio figlio
(ancora penso Licia e Rosalba…)
e ancestrale per mia figlia
(…Stefy, Donatella e Annamaria).
Negli ‘enta come negli ‘enti,
what’s difference I don’t feel,
se ho tanta voglia di tornare
ai pop festival e Umbria jazz.
Fino a cinque anni in patria,
ancora esule a dieci e più…
Studi superiori in revolution
con il movimento studentesco.
Il tempo di Roma radicale e
operaio in quello del ritorno,
docente in erba, per condensare,
adelante, ma volto a guardare.

sintesi

Dopo dieci anni di produzione più o meno costante, la mia scrittura di versi ha avuto uno stop e in mezzo, sperduti, questi… annunciati da un appunto volante, peraltro erroneo e ritrovati a fatica, insieme ad altri successivi, completamente dimenticati, in lingua sarda.
E’ evidente che il brano rappresenta una separazione almeno temporale della mia versificazione, i cambiamenti si noteranno gradualmente.
Il pezzo, una sorta di “manifesto” privato che descrive se stesso, fa un sommario bilancio del passato che accompagna gocce di futuro…
Il versi hanno subito modifiche per ragioni di privacy.
(XI.XVI – 23.10 A)

ILLUSIONE, DUBBIO, VERITA’

Nascendo ho trovato te.
Ho pensato nell’albereto
alla purezza del cielo limpido,
della vita, dell’acqua, dell’aria,
al bisogno di pioggia nei campi,
all’onesto lavoro della gente
il cui sangue è privo di crudeltà.
Parlando, ti ho lasciato
per un momentaneo esilio;
sebbene impostori emergessero,
tornare era sempre un piacere.
Le mode travolsero i costumi,
così vidi cambiare
l’ambiente che porto nel cuore.
La villa risparmiata dalla guerra,
da serena si agitò incosciente;
il suo nome vanta tante rivali
ignare del suo vero volto;
l’esistenza le muore,
ma fa ancora scalpore
nascondendosi dietro sole parole.
Capendo, ti ho perduto
e saputo la verità amara;
non so che età abbia il tuo male
destatosi da un sonno profondo.
Le strade sono quasi deserte,
non si crea più nulla di nuovo,
per molti è meglio fuggire.
Le chicche mi sfuggono
cercando vigoria nel monotono;
le ingenue in fiore faticano
a trovare una propria maniera,
per adesso come aspetto essenziale
adottano l’espressione triviale…
… sei finita…

41 illusione

A diciassette anni si può decidere di cantare il proprio luogo d’origine, ma l’omaggio può scontrarsi con una verosimile insoddisfazione adolescenziale e trasformarsi in invettiva. Accade anche ai più grandi, d’età e grandezza: “Godi, Fiorenza, poi che se’ sì grande,/ che per mare e per terra batti l’ali,/  e per lo ‘nferno tuo nome si spande!“.  Il brano dunque evidenzia il contrasto tra l’amore per il paese natio e una situazione socio/culturale non gradita. Nel diario del tempo si parla di “critica”, di delusione per un luogo amato, dal quale tutto sommato non hai ciò che vorresti, solo monotonia, noia, maldicenza, fino al rifiuto. Anche se alla fine si afferma che il discorso è simile ovunque, tutto il mondo è paese, lo sappiamo. Può tuttavia leggersi qual è il cruccio che più opprime il versificatore: non essere profeta in patria con le ragazze o almeno con quelle per cui poteva nutrire interesse.
Il brano è piuttosto simile all’originale, sono state apportate solo correzioni tecniche e nei versi finali:
verso  2: “pensare” era sognare
verso  7: “crudeltà” era insulti
verso 10: “impostori emergessero” era ciarlieri nascessero
verso 12: “le mode travolsero” era la bellezza invase (“bellezza” nel senso di esteriorità)
verso 15: “la villa risparmiata” era il villaggio salvato
verso 16: “sereno” era calmo
verso 23: “amara” era acerba
verso 25: “destatosi da un” era splendente in un
dal verso 29 fino alla fine, le variazioni sono più rilevanti, il testo era: Mi sfuggono le ragazze già secche (riferimento polemico alle coetanee)/ che cercano novità nel monotono./ La fatica delle bimbe in fiore (riferimento opposto al precedente)/ l’importante edilizia ha scalzato (riferimento ultra sibillino, vedi nota),/ affermando come aspetto essenziale/ l’uso libero del linguaggio (scurrile) del tempo/ deludendo sei finita.
Nota: la parte finale del testo originale, molto ermetica, oltre alla polemica con le coetanee, critica anche le più piccole (14-16 anni), con un riferimento azzardato: il loro uso di un linguaggio carico di volgarità è diventata la risorsa principale del paese, scalzando l’edilizia, attività molto in auge allora.
(IV – 3.1 A)

Music:
LA- … MI … MI-
DO  SOL
(IV – 3.1 A)

UNA PAGINA DI STORIA

Nascesti tempo addietro
grazie a due compagni
che un giorno si amarono.
Quando la tua vita iniziò
la gioia riempì gli occhi
di chi ti stava intorno:
fu un evento importante,
come ogni venuta al mondo,
una pagina di storia.
Fu un dolce caso
il nostro incontro
non credere al destino.
Parlami e rivelati,
sei un essere umano,
agisci secondo coscienza;
spiegati i fenomeni
dell’esistenza circostante,
conosci te stessa.
nascita,storia,gioia,vita,evento,occhi,mondo,incontro,destino,coscienza

Versi celebrativi e asciutti (dopo la revisione) per il compleanno di L., una delle due protagoniste degli ultimi post. La mia età sempre sedici anni.
L’originale è molto più enfatico e retorico, il titolo era “Nasce una donna”. Compiva quindici anni, per me era già una donna! I versi richiamavano la metrica di una canzone di Battisti , “Anna”.
Nel diario: L. ti amo tanto anche se non sei qui.
Salteremo il facile fandango e gireremo per le strade allacciati, ma non voglio che il tuo bel viso diventi nella notte un’ombra bianca di pallido. (Procol Harum suggestion, ndt)
(II – 23.11 Sestu)

Musiica:
MI RE
RE DO
DO MI
(…e si riprende)
(IV – 17.12 A)