SINTESI

Il dibattito sulla poesia è affare da iniziati, intendo dire che non si tratta di una discussione che coinvolge le masse; forse un tempo si diceva qualcosa del genere, ma anche allora era una forzatura. Tuttavia, seppure in ambiti ristretti, si ragiona sull’argomento, sulle tematiche più varie. Mi viene in mente ad esempio la questione dell’ispirazione, di quanto possa essere ridicolo che qualcuno si sieda a tavolino a scrivere versi, d’emblé, così, senza che ci sia stato un preventivo impulso… E peggio sarebbe se un poeta già affermato scrivesse per contratto. Penso la stessa cosa per la prosa, figuriamoci per i versi.

Dato per scontato che un poeta o un versificatore (si tratta di una dizione più schiva) compongano solo in preda al sacro estro, talvolta la tenzone verte sui periodi più o meno lunghi di non scrittura. Perché accade?

Non ho intenzione di esercitarmi in una lunga tesi sull’argomento tutt’al più mi produrrò, appunto, in una sintesi non distante dalla mia esperienza.

Un troubadour scrive di più quando è felice, sereno, tranquillo o quando è triste, inquieto, agitato; o preferibilmente, in quale dei due casi esprime il meglio di se?

Forse deluderò le aspettative più pruriginose, ma non credo esistano delle leggi matematiche su una tale disputa, propenderei per il fattore soggettivo.

Per quando mi riguarda è capitato che in anni di intensa felicità non abbia scritto più versi, verosimilmente perché non avevo neanche il tempo per sedermi, peraltro in altri anni felici, relativamente, forse perché avevo il tempo per sedermi a scrivere, ho invece composto parecchio.

La stessa cosa è successa in anni bui, in un caso ho scritto tanto, adesso – perché ditemi se questi non sono anni foschi – sto scrivendo ben poco.

Di due periodi così opposti, magari, ci si rende conto in una zona neutra, in un momento in cui non vanno bene le cose, ma sono forti le speranze, ed è dunque il momento per fare una sintesi, o meglio, di elaborare la sintesi.

E questa su cosa verte? certamente l’elaborazione di un vecchio testo, scritto in un contesto differente è condizionato dal presente… Hai voglia di voler essere fedele, obiettivo, il testo sarà necessariamente tradito, in tutti i sensi. Il pensiero vagherà tra i bei momenti vissuti nel passato più o meno recente, un po’ arbitro dei diversi momenti felici, quelli più vivi si mischieranno con quelli più datati, che però saranno assimilati alla realtà che si sta vivendo, alla costruzione di una nuova felicità.

Si richiamano amori passati, li si abbina, li si paragona e si fa appena cenno alle nuove aspettative proiettate in un futuro che si immagina prossimo; si trascurano invece gli aspetti dolorosi, ormai andati.

In uno stato felice, ove l’unico residuo di versi è una sintesi, si afferma la volontà di essere sempre lo stesso, quello dello spirito avventuroso e impegnato che guarda avanti, ma tiene sempre conto dell’insegnamento del passato.

La sintesi, sperduta tra appunti e altri versi dimenticati, si palesa certo in un momento di cambiamento; la beffa può anche essere quella della scrittura in un momento felice e del ritrovamento in un altro tutt’altro che tale. Segna comunque una svolta nella versificazione, perché nel frattempo di cose ne sono successe, tutto il futuro che si ipotizzava è già avvenuto, il momento felice  è già andato… Un altro si affaccia all’orizzonte, ma non è semplice…

Mi viene in qualche modo in soccorso un libro che sto leggendo, che ho appena iniziato, e come per tutti i libri di un certo impegno sono necessarie un tot di pagine per entrare in sintonia con l’autore. Un paragone azzardato in realtà; lì si parla del ritrovamento dell’imbarcazione in cui naufragò san Paolo, a Capo Murro di Porco, nei pressi di Siracusa, nello Ionio… Qui invece si tratta semplicemente del ritrovamento di una bozza dopo miseri cinque lustri, nozze, figli, laurea… e primi tentativi di riscatto, partendo magari da ipotesi quasi impossibili, ma i migliori interpreti del sessantotto (spero non sia troppo sottile) sono quelli che erano stati troppo piccoli per farlo.

sintesi

10 – Sintesi (59 – XI.XVI – 23.10 a) – a 29.07.2020

SINTESI

Un nome greco per mio figlio
(ancora penso Licia e Rosalba…)
e ancestrale per mia figlia
(…Stefy, Donatella e Annamaria).
Negli ‘enta come negli ‘enti,
what’s difference I don’t feel,
se ho tanta voglia di tornare
ai pop festival e Umbria jazz.
Fino a cinque anni in patria,
ancora esule a dieci e più…
Studi superiori in revolution
con il movimento studentesco.
Il tempo di Roma radicale e
operaio in quello del ritorno,
docente in erba, per condensare,
adelante, ma volto a guardare.

sintesi

Dopo dieci anni di produzione più o meno costante, la mia scrittura di versi ha avuto uno stop e in mezzo, sperduti, questi… annunciati da un appunto volante, peraltro erroneo e ritrovati a fatica, insieme ad altri successivi, completamente dimenticati, in lingua sarda.
E’ evidente che il brano rappresenta una separazione almeno temporale della mia versificazione, i cambiamenti si noteranno gradualmente.
Il pezzo, una sorta di “manifesto” privato che descrive se stesso, fa un sommario bilancio del passato che accompagna gocce di futuro…
Il versi hanno subito modifiche per ragioni di privacy.
(XI.XVI – 23.10 A)

IL MANIFESTO

Orémus: il clero reazionario è
avverso all’obiezione di coscienza,
favorevole perciò alle guerre.
Kyrie eleison et Christe eleison.
Non capisco allora perch’è contro
rivoluzioni armate socialiste
tendenti a ripristinare giustizia,
mentre la guerra porta solo faa-me.
Constantia!

Disperato, profugo esasperato,
stanco di vivere ristretto, oppresso,
la risposta armata è vendetta,
non rivoluzione, liberazione.
Sangue chiama sangue per i tuoi figli.
Per un progresso saldo al socialismo
occorre lotta dura al capitale,
con resistenza attiva nonviolenta.
Aa-men!

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Brano estemporaneo scritto lo stesso giorno del precedente e riportato, senza titolo, nella stessa scheda cartacea. Ero a Roma da appena un mese e mezzo.
Non fa altro che riportare quello che già allora  (vent’anni) era il mio pensiero, movendosi tra quelle che alcuni potrebbero chiamare le “mie contraddizioni”, ma che in realtà sono le contraddizioni della chiesa da una parte e della “lotta di popolo armata”, la quale dato che è “di lunga durata”, tanto vale che sia nonviolenta.
Con la chiesa ufficiale non c’era neanche storia; frequentavo una comunità di base, quelli che sono ancora oggi i Cattolici del dissenso, era vivissima allora la teologia della liberazione in America latina e non del tutto nonviolenta per la verità…
Mi muovevo invece politicamente tra compagni che si definivano in gran parte atei e che ogni volta mi facevano due palle così per il fatto che fossi credente… Trovare chi la pensava come me (fuori dalla comunità) era una rarità e non era ancora accaduto.
Il brano va letto come se si officiasse una funzione religiosa, non per essere dissacrante, ma solo per sdrammatizzare (stile Giovanni Lindo Ferretti per intenderci).
(VI – 9.12 Rm)


http://nonviolenti.org/doc/varco_della_storia.mp3

 

LOTTA EFFICACE

Compagno,
ti hanno rubato la terra
e sei disperato.
Fratello,
dormi sulle sabbie del deserto
e i re ti bandiscono;
hai impugnato le armi
vedendo indifferenza intorno a te,
hai colpito anche chi non conta,
hai risposto all’ingiustizia
con tutta la tua rabbia.
Non hai fatto il gioco di chi ti odia?
ora egli può dire che sei malvagio,
pur essendolo mille volte tanto.
La tua lotta non è vincente,
non dà garanzie di lunga pace
in quanto i mezzi prefigurano i fini…
E allora solleva il pugno,
spezza il fucile e leggi il Libro,
comincia la tua lotta efficace.
L’odio si distrugge con l’amore
e il mondo nuovo si realizza col tempo:
unità, autodeterminazione, autogestione,
comunione, libertà, uguaglianza,
da Damasco a Chicago,
da Belfast a Valparaíso.

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Riflessione giovanile (vent’anni) che prende spunto dalla questione palestinese alla luce delle mie idee nonviolente in erba. Frutto di letture e frequentazioni eterogenee, dagli obiettori di coscienza, ai radical chic, agli ambienti della nuova sinistra e soprattutto di qualche Palestinese, studente a Roma. Un crogiuolo di opinioni, tra le quali la mia, già formata, visto che non è mutata negli aspetti fondamentali, semmai può essersi arricchita l’analisi.
La storia ci insegna chiaramente che il ricorso alle armi è sempre fallimentare; i fautori della guerra portano con se dei principi di distruzione che inevitabilmente si proiettano nella società che andranno a costruire, peraltro costantemente minacciata dagli sconfitti.
La nonviolenza, sebbene lotta dura e duratura, con l’inevitabile e concreta solidarietà internazionale, avrebbe verosimilmente già risolto la questione, che invece non è migliorata e forse, anzi, è peggiorata.
Ciò non assolve, tutt’altro, la Comunità internazionale e soprattutto gli stati più potenti, dagli USA all’Europa, per l’inerzia ipocrita con la quale affrontano questa e altre questioni, per calcolo e sporchi interessi.
La primissima stesura, più esplicita e utopica, conteneva riferimenti all’anarchia e a Cristo, con l’obiettivo di un socialismo umanitario definitivo.
(VI- 30.11 Roma)