BISURAS DE AIÀIUS

Visioni ataviche

Non ho scritto tantissimo in sardo, che tuttavia è la mia lingua madre, lingua che ha risuonato nelle mie orecchie fin dalla nascita e per tutta la mia infanzia, certo prevalentemente.

Ho imparato a parlare il sardo dall’ascolto, giacché i Miei mi si rivolgevano in italiano; nella nostra condizione di colonia la propaganda scolastica, istituzionale, poi radiofonica e televisiva, avevano ampiamente emarginato la nostra lingua in favore di un’altra estranea, straniera, che, a partire dalla Scuola Elementare. ha preso il sopravvento, mentre vi era l’assoluto divieto, espresso esplicitamente nelle classi, con tanto di punizioni, di esprimersi in lingua sarda.

La saccenteria delle istituzioni, il loro scarso senso pedagogico, non intuiva che così facendo rendevano il sardo proibito e rivoluzionario. Così con gli amici si parlava in sardo, si manteneva viva la lingua, salvando, se non il bilinguismo, la diglossia.

Nella mia scrittura, a parte qualche sconfinamento nell’inglese, e più ampiamente nel sardo, prevale la lingua acquisita che specie nella scrittura abbiamo imparato a dominare più della nostra.

Il discorso potrebbe essere lunghissimo, ma ho fatto questa premessa solo per dire che quando scrivo in sardo, oggetto dei miei scritti sono prevalentemente gli ancestors, come usano dire i nativi americani. E’ così perché, benché abbia seguito una decina di corsi di sardo moderno e mi rapporti con diverse persone nella mia lingua madre, la lingua sarda reca in se quella ricchezza ancestrale equivalente al sogno immaginifico della storia passata, della vita del passato, da parte di un bambino, come una sorta di calentura, di qualcosa tra la visione e il delirio.

Le mie visioni ataviche sono questo: una nebbia velata che avvolge un paesaggio nuragico, come un fermo immagine che si sblocca e comincia la vita, la gente si muove, in quel tempo arcano in cui guardo i volti, ma non riconosco nessuno.

Il tempo scorre veloce, mi proietta a Villa Barumeli, paese scomparso vicino al mio e di cui ha ereditato il territorio, oltre quattrocento anni fa, là, tra la folla sparuta scorgo i primi avi che si rivolgono un saluto con un cenno del loro bastone, duecentenari… Ancora meno nitidamente ne scorgo degli altri: Bardilio con Cicita, Raimondo Piga e Rita, Emilia con Narciso, Vincenzo e Cisco Luiso, Raimonda con Vincenzo…

Vedo poi il mio avo Antonio, sindaco, con Giovanni Piras, che bussano alla porta del loro compare Antonio Minai… apre nonna Bellanna Concu, che poi si ritira. I tre complottano contro il re e i piemontesi, mentre le donne si preoccupano e maledicono Carlo Feroce, alla fine del Settecento…

Una semplice visione in cui è evidente la dimensione onirica, dove avi di n generazioni si muovono alla fine del Settecento immersi tra storia e vita quotidiana.

Visione dove però il tempo storico è allargato e si confonde; dove avi sconosciuti per evidenti ragioni, sono però conosciuti attraverso lo studio, alcuni solo per nome, altri maggiormente perché hanno avuto un ruolo nella comunità a cavallo tra Settecento e Ottocento, quando in Sardegna imperversava il viceré Feroce, quel Carlo Felice, poi re sabaudo, che la storia dei “vincenti” voleva rendere “simpatico” e “benefattore”, ma che la saggezza popolare aveva ben stigmatizzato con quel suo appellativo inequivocabile.

Non è il solo caso in cui la storia viene strumentalizzata dai tiranni, quello che è ora lo stato italiano, ha diversi esempi di “eroi” fasulli, dal più noto Garibaldi al più odioso generale Cialdini, entrambi stragisti. Convinti con i loro padroni sabaudi che un paese geograficamente “omogeneo”, si dovesse unire a colpi di fucile, incendio di villaggi, stupri e altre nefandezze terribili. Da loro l’origine di uno stato come quello attuale, disunito, sbilanciato economicamente e socialmente, assolutamente non solidale, dove la politica cavalca le divisioni e ogni rivendicazione egoistica, semplicemente per raggiungere il potere. Questa è l’eredità sabauda ottenuta peraltro attraverso il fascismo, da loro sponsorizzato per vent’anni.

Noi, esponenti della Costante Resistenziale di Sardegna, secondo una storica e obiettiva definizione del nostro più illustre archeologo e storico Giovanni Lilliu, che conosciamo l’importanza dei simboli, in questi anni dibattiamo sulla rimozione della statua del tiranno Carlo Feroce dalla piazza centrale di Cagliari e sulla pulizia della toponomastica viaria della Sardegna dalle imposizioni sabaude e fasciste, dibattito che si sta sviluppando anche nella penisola e nel mondo intero.

E’ bene conoscere la Storia, quella vera, ma celebrare tiranni e assassini dei popoli significa ridicolizzarla, è un insulto a chi ha subito i soprusi e al mondo intero.

63 bisuras

11 – Bisuras de aiàius (63 – 5s – XIII.XXIVa – 31.07 a) a 31.08.2020