ABOUT PROMENADE…

L’io, l’intimità, l’amore, cosa c’è di più personale e più intimo dell’amore? Niente probabilmente, anche perché racchiude un’infinita scala e varietà di sentimenti: l’amore davvero, se mi si consente la licenza, si può graduare come un vino, dal più forte al più leggero, da quello dolce a quello secco e si potrebbe continuare con le distinzioni. Sicuramente ogni amore è diverso, ma la gradazione può accomunarli nella diversità. Quelli dolci sono piacevolissimi, non danno grandi fastidi, quelli forti possono far male, sono struggenti, uniscono la gioia, il piacere, alla passione e talvolta alla sofferenza, al dolore, eppure sono quelli più voluti, mai dimenticati.

Questi ultimi amori, essendo di meno, sono più facili da ricordare. Immagino che ciascunǝ abbia un personale metodo per individuarli. Per quanto mi riguarda è tutto molto naturale, vi sono alcune gradazioni di passione, sentimento, riconoscibili nell’immediato o anche con il tempo e quelle più alte oltre ad essere riconoscibili per le caratteristiche e le comuni emozioni, rimangono indimenticabili e permanenti, i sentimenti persistono al di là dell’effettiva continuità del rapporto, perché il problema è che spesso nell’amore non vi è convergenza assoluta e duratura.

Mentre espongo un po’ sommariamente, ho in mente l’ultimo amore intenso, intensissimo; non devo ora raccontarlo, necessiterebbe, tenuto conto di vari aspetti, di un contenuto piuttosto voluminoso e complesso, intendo trattare qui di un sogno, immagino sia stato il primo che ha riguardato Lei, e se non è stato il primo, è comunque quello che appena sveglio ho subito annotato appena sveglio su carta di fortuna. Era allora talmente intenso il sentimento, la prima fase dell’innamoramento, durata peraltro molto a lungo, per cui sentivo il bisogno irrefrenabile di gridare al mondo che amavo lei, che il mio cuore era impegnato e voleva essere una sorta di impegno anche nei suoi confronti e lo feci dove tutto ebbe inizio.

Si è trattato di un amore abbastanza letterario, parlo ovviamente dal mio punto di vista, pertanto ogni momento, fin dal principio, è stato funzionale allo scopo, al sogno e quant’altro.

Anche i sogni sono di un’infinita tipologia, con differenti gradazioni di interesse. Non è mia abitudine trascrivere o ricordare i sogni, quando accade è perché mi hanno profondamente colpito, sono particolari e interessanti, danno magari lo spunto per scrivere, perché spesso si presentano in forma di racconto, seppur surreale talvolta, come una specie di dettato, di messaggio. Il senso di annotare il sogno è che capita di dimenticarlo dopo alcune ore, ma anche appena svegli non si ricorda per intero, solo sprazzi della parte finale…

Nell’autunno precedente avevo presentato a Roma la mia prima monografia, un saggio storico; lei non c’era, ma lo avrei tanto voluto. Peraltro potrei dire che quel libro, non solo, ma è anche stato “galeotto”: era in cantiere quando ci siamo conosciuti e lei ha seguito intensamente ogni momento della preparazione, tutto il percorso dell’editing fino alla pubblicazione e oltre… Lo stesso percorso c’è stato per me durante la formazione e la pubblicazione del suo.

Ormai è primavera, il tempo va a ritroso, sono di nuovo a Roma per la stessa presentazione, ma con lei. L’evento è previsto per il pomeriggio. Utilizziamo la mattina per una passeggiata. Ci troviamo all’imbocco di via Giulia, dal lato vicino al Vaticano. Via Giulia ha un grande significato per me, quando capito a Roma, se ne ho il tempo, la raggiungo e visito i luoghi memorabili, in particolare il liceo Virgilio.

Via Giulia è una via lunghissima, una passeggiata importante, la percorriamo tutta, ebbri di passione, fin dove congiunge con il Lungotevere a ponte Sisto. Ora, se si indaga sui titolari dei toponimi spesso si hanno brutte sorprese; quando è possibile li cito come indicazione decontestualizzata, tuttavia non riesco a citare quelli ancora intitolati ai Savoia, nemici della Repubblica e di tanto altro, lo so, tergiverso, ma è importante.

A proposito della passeggiata, essa è guidata da una marea di suggestioni: Minerva spira e conducemi Appollo (Canto II, Paradiso, Divina Commedia, verso 8). Sapienza e poesia scosse, sorprese, dalle nostre notti e dalla paura della libertà del nostro amore. Percorriamo via Giulia avvinghiati, ogni pochi passi un bacio sulla bocca, poi giunti in fondo, nello spiazzo che si apre verso il ponte, ci spogliamo del nostro casual e ci stendiamo sui sampietrini, mentre le acque del Tevere scorrono tranquille e sembrano approvare la nostra passione, così come il traffico che pare ammiccante e non ci dà fastidio… La presentazione sarà stupenda!

68 promenade

About promenade… (106 – XXV.XLI – 28.3 a) a 26.02.2022

UN SOGNO

Gli scritti adolescenziali sono spesso carichi di retorica e rimpianti, benché almeno questi dovrebbero essere ancora molto lontani, tuttavia si vogliono bruciare le tappe e ogni stop è motivo di delusione.

Riletti acriticamente questi scritti appaiono imbarazzanti, ma se si è capaci di contestualizzare gli avvenimenti e le emozioni di un’epoca ormai trascorsa, eppur viva, tutto emerge in una dimensione differente.

Le pene prevalenti di donne e uomini in ogni tempo sono gli amori, ma quelle giovanili, le prime, hanno un sapore particolare, sono spesso lancinanti, intense come se non ci fosse un domani, un’altra possibilità. La vita poi insegnerà a coltivare la speranza e a dimensionare la sofferenza.

Gli amori giovanili sviluppano energie impensabili, dove basta uno sguardo, un sorriso, un contatto, una carezza, a farci perdere la testa, a mettere in moto un mondo sconosciuto di sogni, gelosie, strategie, perfino; ciò soprattutto in teoria, nella realtà si sviluppa piuttosto la paura di fallire, di poter risultare illusi e inadeguati, è qui che l’adolescente, se ne ha l’estro, si rifugia nella scrittura, nel romanticismo, nell’arrendevolezza e indulgenza verso se stessi e in ultima istanza, dopo la confusione e l’incertezza, verso l’oggetto dei propri sentimenti.

Tali drammi si consumano preferibilmente nelle feste che i ragazzi si inventano con un pretesto qualsiasi per riunire il proprio gruppo, anche minimo; solitamente la sceneggiatura è preconfezionata, chi ci prova con chi, chi balla con chi e nel caso le cose dovessero assumere una concretizzazione differente, sorge il problema.

Le variabili in questi casi sono infinite. Una delle tante potrebbe essere che a te piace una ragazza in assoluto, ma hai già realizzato che non è cosa, dunque scegli un ripiego, ma neppure tanto, perché anche quello mostra le sue difficoltà. Per di più l’abbandono della strada maestra moltiplica le problematiche che inizialmente erano solo tue.

Un fallimento totale. Quella che ci si aspettava tu dovessi corteggiare combattendo con i denti e con la quale era da tempo aperto un discorso con risultati alterni, capisce di essersi liberata di te senza alcuno sforzo; l’altra, più piccola, intende di essere un ripiego e ha gioco facile a negarsi: uno sputtanamento che ti preclude terze vie.

Torni a casa con un senso di amarezza, il tuo stesso io si prende gioco di te, recrimini, cerchi soluzioni e concludi che non ti resta che il sogno. Tuttavia sai bene che quello va per i fatti suoi, non procede secondo i tuoi desideri; rimane il sogno ad occhi aperti, l’elucubrazione. Almeno così puoi addomesticare la realtà e volgerla a tuo piacimento.

La piccola ninfa mi si avvicina e mi si abbandona palesemente, sono io a sentirmi un ripiego, visto che non ha trovato rifugio altrove. La situazione è imbarazzante, da adolescenti pochi anni di differenza sembrano tanti e lei è piccola, mi sento ridicolo e rifiuto. In realtà lei è carina, formata, matura quanto posso esserlo io e in questo sogno rivalsa non mi va di essere indelicato, così le spiego di non poter stare con lei perché mi piace un’altra e lei lo sa bene.

La sua espressione è eloquente, si allontana senza proferire parola, mi sento talmente in colpa pertanto la richiamo. Si volta, mi guarda dolcemente, ma è un attimo, in realtà ha voluto canzonarmi, neppure tanto perché poi è scappata via furibonda avendo interpretato che nella mia nuova decisione ci fosse compassione.

Visto che ci siamo spinti fino a questo ribaltamento della realtà, completiamolo interamente: ecco qual è il problema con la ragazza che vorrei, è certamente quello di aver inserito nel mio sentimento, nel mio affetto, una sorta di indulgenza, forse aver mascherato sotto il desiderio, l’attrazione, la remissività eccessiva rispetto al nostro differente modo di vedere le cose e sostanzialmente al diverso modo di essere; come dire, l’incapacità di apparire amabile, con un io meno ingombrante.

Il sogno ad occhi aperti, quando in fondo è una riflessione sul proprio essere e benché da una partenza egoistica pervenga, anche attraverso il ridimensionamento e l’autoironia, a una sana autocritica, può insegnare ad essere più positivi, a sapersi dare, spendersi meglio e risultare piacevoli, nella consapevolezza permanente che in tutto ciò non vi sono evidenze scientifiche.

2 un sogno

Un sogno (2 – II – 17.9 a)  a 29.11.2021

UBIQUITÀ

Qualche tempo dopo aver riflettuto sulla “condizione” di sosia, mi è capitato di farlo sul concetto di ubiquità; sono entrambi aspetti piuttosto astratti, soprattutto l’ultimo, e molto soggettivi, eppure non sarò stato certo il solo a ragionarci sopra in maniera surreale.

Probabilmente conobbi questo termine ancora bambino, leggendo i “giornaletti” in voga allora, ma non andai mai oltre la ricerca del significato; quando lo feci, fu per una di quelle riflessioni interiori adolescenziali, per il piacere del sogno a occhi aperti, il fantasticare su situazioni idealmente desiderabili, pretendere l’impossibile oltre la realtà.

Pensandoci bene, questo lavorio della mente, senza necessità di droghe, portava un’alienazione salutare o almeno senza complicazioni nocive. La mia riflessione si faceva concreta: se esistesse l’ubiquità avremmo sì la possibilità di star bene, mentre si può star male altrove, ma potremmo anche star male due o più volte, giacché la circostanza della doppia felicità sarebbe inutile, basta essere felici una volta. Filosofia di second’ordine? Sicuramente, anche di terzo e quarto, ma qui l’utilità è tenere allenata la mente e farlo può essere una forma d’arte.

Queste riflessioni, seppure rimasugli adolescenziali, occuparono uno spazio temporale in cui avevo già fatto scelte precise in società, ne sono spia le conclusioni realistiche. Da qualche anno conoscevo il cinema surrealista o neo-surrealista e ne ero entusiasta: Buñuel, Jodorowsky, Arrabal, Makavejev, Ferreri, il primo Brass e tantissimi altri. Diversi, come Lynch e Kieslowski, li ho conosciuti dopo, ma entrarono di forza nella mia riflessione; per certi versi il primo con Mulholland Drive, ma in modo esemplare il secondo con La doppia vita di Veronica.

Questo film unisce, nel suo intento surreale, la qualità di sosia delle due protagoniste e il concetto di ubiquità. Weronika, polacca e Véronique, francese, oltre allo stesso nome, allo stesso viso, allo stesso corpo (interpretate entrambe da Irene Jacob), alla stessa passione per la musica, percepiscono la loro vita reciproca, si incontrano a Cracovia pur senza parlarsi; quando Weronika muore durante un concerto, Véronique accusa problemi cardiaci, abbandona il canto, si cura e si salva, ma Weronika resta presente nella sua vita e la riscopre in una foto scattata durante il suo viaggio in Polonia che le ritrae entrambe. Il tema del sosia e quello dell’ubiquità stimolano dunque l’arte. Nel caso di Veronica un’arte struggente che crea fortissime emozioni sullo schermo e sullo spettatore, al di là della finzione.

Qualcosa del genere accade anche nel film di Lynch, dove la protagonista Betty Elms vive due vite parallele, una di aspirante attrice in sogno e una, quale è in realtà, Diane Selwyn. Immagino esistano tanti altri esempi del genere essendo l’argomento piuttosto intrigante per costruirvi delle storie.

Il tema è naturalmente utilizzato anche in letteratura. Il curioso è che se si fa arte vera, la trattazione non è mai banale, nel senso che si presta a una marea di tematiche e situazioni. Cito un esempio, visto che sto per terminare un libro che tratta discretamente l’argomento. Non avendolo ancora concluso non c’è il rischio di spoilerare le conclusioni.

Si tratta del romanzo storico I codici del labirinto di Kate Mosse, ideale per un primo approccio alla storia dei càtari. Anche in questo caso vi sono due protagoniste, ma una vive nel medioevo e l’altra ai nostri giorni, Alaïs e Alice, una della Linguadoca e l’altra inglese, ma evidentemente con un ramo francese. Alice scoprendo gradualmente la storia dell’antica antenata, recandosi nei luoghi in cui ha vissuto, ha la sensazione di esservi già stata, brutalmente, di essere lei stessa Alaïs.

Così, al di là della consapevolezza dell’impossibilità di poter essere ubiqui, l’argomento attira la fantasia dei creativi da secoli, basta ricordare Menaechmi di Plauto, sebbene qui siamo alla commedia e alla vicenda di due gemelli identici. Potremmo dire, anche se non siamo gemelli, che in qualche modo il nostro gemello ci manca e con lui la possibilità di essere ubiqui e sosia allo stesso tempo, la sosiubiquità.

ubiquità

23 Ubiquità (55 – IX – 31.12 a) a 1.9.2021

BISURAS DE AIÀIUS

Visioni ataviche

Non ho scritto tantissimo in sardo, che tuttavia è la mia lingua madre, lingua che ha risuonato nelle mie orecchie fin dalla nascita e per tutta la mia infanzia, certo prevalentemente.

Ho imparato a parlare il sardo dall’ascolto, giacché i Miei mi si rivolgevano in italiano; nella nostra condizione di colonia la propaganda scolastica, istituzionale, poi radiofonica e televisiva, avevano ampiamente emarginato la nostra lingua in favore di un’altra estranea, straniera, che, a partire dalla Scuola Elementare. ha preso il sopravvento, mentre vi era l’assoluto divieto, espresso esplicitamente nelle classi, con tanto di punizioni, di esprimersi in lingua sarda.

La saccenteria delle istituzioni, il loro scarso senso pedagogico, non intuiva che così facendo rendevano il sardo proibito e rivoluzionario. Così con gli amici si parlava in sardo, si manteneva viva la lingua, salvando, se non il bilinguismo, la diglossia.

Nella mia scrittura, a parte qualche sconfinamento nell’inglese, e più ampiamente nel sardo, prevale la lingua acquisita che specie nella scrittura abbiamo imparato a dominare più della nostra.

Il discorso potrebbe essere lunghissimo, ma ho fatto questa premessa solo per dire che quando scrivo in sardo, oggetto dei miei scritti sono prevalentemente gli ancestors, come usano dire i nativi americani. E’ così perché, benché abbia seguito una decina di corsi di sardo moderno e mi rapporti con diverse persone nella mia lingua madre, la lingua sarda reca in se quella ricchezza ancestrale equivalente al sogno immaginifico della storia passata, della vita del passato, da parte di un bambino, come una sorta di calentura, di qualcosa tra la visione e il delirio.

Le mie visioni ataviche sono questo: una nebbia velata che avvolge un paesaggio nuragico, come un fermo immagine che si sblocca e comincia la vita, la gente si muove, in quel tempo arcano in cui guardo i volti, ma non riconosco nessuno.

Il tempo scorre veloce, mi proietta a Villa Barumeli, paese scomparso vicino al mio e di cui ha ereditato il territorio, oltre quattrocento anni fa, là, tra la folla sparuta scorgo i primi avi che si rivolgono un saluto con un cenno del loro bastone, duecentenari… Ancora meno nitidamente ne scorgo degli altri: Bardilio con Cicita, Raimondo Piga e Rita, Emilia con Narciso, Vincenzo e Cisco Luiso, Raimonda con Vincenzo…

Vedo poi il mio avo Antonio, sindaco, con Giovanni Piras, che bussano alla porta del loro compare Antonio Minai… apre nonna Bellanna Concu, che poi si ritira. I tre complottano contro il re e i piemontesi, mentre le donne si preoccupano e maledicono Carlo Feroce, alla fine del Settecento…

Una semplice visione in cui è evidente la dimensione onirica, dove avi di n generazioni si muovono alla fine del Settecento immersi tra storia e vita quotidiana.

Visione dove però il tempo storico è allargato e si confonde; dove avi sconosciuti per evidenti ragioni, sono però conosciuti attraverso lo studio, alcuni solo per nome, altri maggiormente perché hanno avuto un ruolo nella comunità a cavallo tra Settecento e Ottocento, quando in Sardegna imperversava il viceré Feroce, quel Carlo Felice, poi re sabaudo, che la storia dei “vincenti” voleva rendere “simpatico” e “benefattore”, ma che la saggezza popolare aveva ben stigmatizzato con quel suo appellativo inequivocabile.

Non è il solo caso in cui la storia viene strumentalizzata dai tiranni, quello che è ora lo stato italiano, ha diversi esempi di “eroi” fasulli, dal più noto Garibaldi al più odioso generale Cialdini, entrambi stragisti. Convinti con i loro padroni sabaudi che un paese geograficamente “omogeneo”, si dovesse unire a colpi di fucile, incendio di villaggi, stupri e altre nefandezze terribili. Da loro l’origine di uno stato come quello attuale, disunito, sbilanciato economicamente e socialmente, assolutamente non solidale, dove la politica cavalca le divisioni e ogni rivendicazione egoistica, semplicemente per raggiungere il potere. Questa è l’eredità sabauda ottenuta peraltro attraverso il fascismo, da loro sponsorizzato per vent’anni.

Noi, esponenti della Costante Resistenziale di Sardegna, secondo una storica e obiettiva definizione del nostro più illustre archeologo e storico Giovanni Lilliu, che conosciamo l’importanza dei simboli, in questi anni dibattiamo sulla rimozione della statua del tiranno Carlo Feroce dalla piazza centrale di Cagliari e sulla pulizia della toponomastica viaria della Sardegna dalle imposizioni sabaude e fasciste, dibattito che si sta sviluppando anche nella penisola e nel mondo intero.

E’ bene conoscere la Storia, quella vera, ma celebrare tiranni e assassini dei popoli significa ridicolizzarla, è un insulto a chi ha subito i soprusi e al mondo intero.

63 bisuras

11 – Bisuras de aiàius (63 – 5s – XIII.XXIVa – 31.07 a) a 31.08.2020

VISIONES RUMANA

L’ho rivista, rumana inconosciuta,
per la festa, alle messe di partito
celebrate in casa, mentre mia madre
sta puntualmente a preparare il pranzo;
là, dove si è confessata credente
e catto-libertaria militante,
bimbo nello stroller, moglie insolita,
con un’altra identità episodica
dall’estro dei suoi occhi blu negata,
fulgore sufficiente a farla bella.
Il mio coraggio di chiederle chi era
sorretto dal suo saluto d’intesa,
i reciproci sguardi imbarazzati,
rituale che officiammo incuriositi
in summa dei cortili domestici,
di campi sulla collina dismessi
tra opuntia ficus-indica infestante
e sentieri ideali evanescenti.
Dentro la sequenza puzzle dell’ortus
è apparsa tosto, nel ciclico movie,
varcare il cancello, affatto osservata,
verso copioso nulla d’infinito
che s’allarga, restringe, dunque muta
trasfigurando la terra e la luna,
prima del nostro lumare consueto;
una compagna tampinante mollo,
scelgo e fulmineo son da lei in silenzio.
Ne capirò l’identità al risveglio.

166 visiones rumana

Metrica: assonanze alternate di endecasillabi (consonantica, tonica, semplice, atona, sillabica).
(XXXI.XLVII – 21.02 A)

A TE MI PROTENDO ONIRICAMENTE

A te mi protendo oniricamente
mentre siedi nella piazza di pietra,
la mia bocca, tosto, la tua sequestra,
labbra rosso passione, carne ardente.
Ripeto con pudore, pur veemente,
per tema che, inviolabil, facer chiostra;
in realtà nel catturare sei mastra,
dolce pensiero intenso, prepotente.
Inoltre inconsciamente soddisferai
un nuovo travolgente desiderio
di paternità, ancora mi pervade.
Il resto è dimensione, quel che accade,
non poetica, eppure afflato serio,
se una vita felice con me vorrai.

149-a-te-mi-protendo

Sonetto (abba abba cde edc)
(XXVIII.XLIV – 27.10 A)

nota: Verso 6: facer, da facĕrent (facĕre) = facessero

STILLE DI MEMORIA

Stille di memoria avanzano
alternando fotogrammi e movie
in un tenue alone black and white
nell’incerto sogno mattutino

Fluttuante tra nebbie celtiche
rivarchi il portale del Virgilio
…ho in pasto tua piuma di miele
immobile al centro di via Giulia

…E dopo questo non c’è più nulla
Se passassi di là mi vedresti ancora
oramai eterna stele che ribrama l’Eden

memoria,movie,black,white,sogno,miele,eden

In sardo esiste la parola precisa: sùrtidu… ciascuna frazione di sonno fino ad ogni risveglio (non mi proponete pisolino, pennichella, sonnellino, che hanno differente valore semantico e al massimo rappresentano solo una parte del significato). Su sùrtidu è un’unità di misura ancestrale, quando è unico vuol dire che si è ben dormito, ma più comunemente se ne hanno lunghi e brevi… poi ci sono quelli del mattino, intorpidenti, e l’ultimo è avvezzo al sogno, al sogno che si ricorda.
Così sono nati questi versi, dall’ultimo sùrtidu di un mattino di fine primavera; dittati, magari non da Minerva e Apollo, ma tant’è; peraltro io non sono Dante… Fu la prima volta, perchè è accaduto di nuovo, alcune altre… Un fenomeno delicato, piacevole… E come non cercar di trarre insegnamento dal poeta? “I’ mi son un che, quando/ Amor mi spira, noto, e a quel modo/ ch’e’ ditta dentro vo significando…”.
Brutto ferire quest’atmosfera con annotazioni tecniche, ma devo dire, per quanto possa essere critico di me stesso, che considero questo brano un preciso punto di svolta della mia maniera (“Voi ch’avete mutata la mainera/ de li piagenti ditti de l’amore…) di versificare.
(XVII.XXIX-10.6 A)

ABOUT PROMENADE…

Scusa se ti chiamo amore
e son lievi queste parole…
Minerva spira d’improvviso
ora ch’è ita mi rendo conto.
Queste notti abbracciato a te
l’hanno scossa… Sorpresa, paura…
della libertà del nostro a.
Flash all’inizio di via Giulia
che percorriamo avvinghiati,
ogni dieci passi un bacio.
In fondo, al centro della piazza,
violeremo i sampietrini
sfilandoci il nostro casual,
con l’approvazione delle acque
fluenti oltre il muretto…
e il traffico lento ammiccante.
Stupenda la presentazione…

68 promenade

Interrompo la pubblicazione dei versi in limba e anche la proposizione cronologica dei miei brani, per pubblicarne uno relativamente recente, esattamente di un anno fa.
Diverse volte in passato mi è stato chiesto di pubblicare brani attuali, fino ad ora ho seguito la mia linea, se adesso faccio un’eccezione è perchè ci sono dei motivi molto importanti.
Il brano, scritto il 28 marzo dello scorso anno, è dedicato alla donna che amo, è passato un anno e la amo sempre di più. E’ un momento difficile ed è necessario che lo dica al mondo che il mio cuore è impegnato con Lei, e inizio qui.
Il brano, in novenari in parte irregolari, ha un titolo che porta il suo nome, dunque qui ne compare uno provvisorio.

Si tratta della trasposizione del sogno fatto quella mattina, nel dormiveglia stesso si formarono i primi versi, come se fossero dettati… Un fenomeno già accadutomi alcune volte.
A Roma per la presentazione del mio libro, utilizziamo la mattina per visitare la città, le nebbie del ricordo si alzano all’inizio di via Giulia che percorriamo tutta, ebbri di passione, finchè alla fine, dove la via si congiunge con il Lungotevere ci stendiamo sul selciato…
(XXV.XLI – 28.3 A)

BISURAS DE JAIUS

Unu velu de fumu
ammantat is nuraxis,
pustis torrat sa vida;
gintòria chi si movit,
no connoxiu aiàius…
A bidda Barumeli
unu pesat su fusti,
un atru arraspundit:
nannais Frantziscu e
Luisu Maria Mebi, cad’
a is duxentus annus,
is aiàius prus crarus.
Prus pagu pretzisu biu
Badriliu cun Cicita,
Remundu Piga e Rita,
Amilia cun Nracisu,
Bissent’e Ciscu Luisu,
Remunda cun Bissenti…
Su sìndigu Antoni
impari a Giuanni Piras,
dubbat a s’enn’ ‘e gopai
Antoni Minai de Abas.
Bellanna Concu aperit
e si nci strésiat luegu.
Issus cumprotant contr’a
su re e is piemontesus.
Maria Theresa e Suia
in domu in pentzamentu
frastimant Carlu Feroxi;
su setixentus finit…

In questo secondo brano della serie iniziata con Innantis de Eva, è più evidente la dimensione onirica. Avi di n generazioni si muovono alla fine del settecento immersi tra storia e vita quotidiana.
(XIII.XXIVa-31.07 A)

a mio padre. 18.09.2009

Traduzione:
ATAVICHE VISIONI
Un velo fumoso/ avvolge i nuraghi,/ poi torna la vita;/ moltitudini si muovono,/ non riconosco avi…/
A villa Barumeli/ un uomo solleva il bastone*/ e un altro risponde:/ i nonni Francesco/ e Luigi Maria Melis, verso/ i duecento anni,/ sono gli avi più nitidi./
Meno chiaramente vedo/ Bardilio con Francesca,/ Raimondo Piga e Rita,/ Emilia con Narciso,/ Vincenza e Francesco Luigi,/ Raimonda con Vincenzo…/
Il sindaco Antonio/ insieme a Giovanni Piras,/ bussa alla porta del compare/ Antonio Minai di Ales./ Bellanna Concu apre/ e si ritira subito./ Loro complottano contro/ il re e i piemontesi./
Maria Teresa e Sofia/ in casa in ansia/ maledicono Carlo Feroce;**/il settecento finisce…/

*   antico modo di salutare da parte dei pastori
**  soprannome dato dai sardi a Carlo Felice quando era vicerè  

UN SOGNO

Dopo essere tornato a casa
mi sono abbandonato alle nostalgie
e ho combattuto il malumore
sognando.
Una ninfetta mi è venuta accanto
e mi ha chiesto di amarla:
gli altri l’avevano evitata
ridendo.
Ho rifiutato,
notando il suo corpo già maturo,
e le ho spiegato
che stavo desiderando un’altra.
Perdendo la speranza di starmi accanto
si è allontanata delusa, così l’ho
richiamata.
Mi ha guardato dolcemente,
poi è fuggita via irata,
avendo capito che si trattava di
simpatia.
Nella realtà
il dialogo con la mia ragazza è in crisi,
proprio perché
nel mio affetto c’è comprensione.
un sogno.jpg

Brano scritto a quindici anni. A tratti mi vergogno ancora un po’ della retorica che investe alcuni passi come uno tsunami. Per questo motivo il brano ha subito nel tempo fior di rimaneggiamenti. Quel che rimane è una certa atmosfera che mi rimanda a quei giorni, a quegli amori irripetibili, nutriti da sguardi, contatti leggeri, carezze, sorrisi, gelosie, strategie e soprattutto sogni.
Si intravede, in nuce, un approccio letterario pervaso ancora da gusti musicali, ma più romantici, riscontrabili anche nella scelta di alcune parole. Simpatia e comprensione, in questo caso sinonimi, alleggeriscono concetti più banali e crudi; mentre ninfetta è una scelta pudica, post morso della mela.
Diario: questa è la storia del mio breve incontro con M… (storia un po’ rovesciata, ndr)
La metrica originale ricalca un brano inglese del tempo che non mi viene in mente, al punto che sto sospettando il motivo sia mio.
(II-17.9 A)
Melodia:
RE DO MI RE MI RE
RE-
RE
MI MI-
(IV – 30.8 A)