DEPENDI POETARE IN COSTA REI

Dovendo versificare a Costa Rei

Sovente mi prende il vezzo di scrivere in particolari località di vacanza, non so, sarà per il fascino di una data accostata a un luogo, o per una sorta di improbabile influsso che si pretende di trarne, o solamente per un gioco, per vedere alla fine dove si è scritto meno peggio.

Non sempre accade in realtà, spesso per mancanza di tempo, a volte il viaggio è talmente intenso che non c’è neppure il tempo per pensarci, altre capita invece di essere colti dall’ispirazione in treno, in nave, e allora salterebbe anche la precisa località di scrittura. In questi casi opto per il luogo ove ho scritto prevalentemente, o quello più vicino, o ancora il tragitto intero. Una complicazione!

Quando capita di scrivere senza ispirazione, semplicemente per voler scrivere, l’unico sistema accettabile è raccontare cosa sta accadendo in quel momento. Nel caso si tratti di versi, qualsiasi sproloquio ne venga fuori, potrà essere valorizzato dalla metrica, ad esempio da un sonetto.

Durante una mia vacanza a Costa Rei (rei dovrebbe stare per re in lingua sarda, ma allora dovrebbe pronunciarsi con la e aperta, mentre è comunemente pronunciata con la e chiusa, per cui sorge il dubbio di una contaminazione fonetica o in alternativa di un altro significato, magari di una contrazione per nasalizzazione) dissi ai bambini che avrei voluto dedicare loro dei versi scherzosi, dunque che si avvicinassero per darmi degli spunti. Ottenni tre reazioni diverse: la più grande mi disse di lasciarla in pace, senza mezzi termini; il piccolo un po’ scettico non voleva che il mio brano parlasse di lui; mi diede retta solo la seconda, l’artista di casa…

Non ne venne fuori certo un’opera d’arte, solo un componimento didascalico che spiegava esattamente quello che qui sto esponendo con una certa ironia, dicendo anche quali erano state le reazioni e via dicendo, non tralasciando alcune loro caratteristiche passibili di benevola presa in giro.

L’episodio ebbe delle code e discussioni, perché dell’una avevo detto questo e dell’altro quello, insomma quel brano non era affatto giusto, vi si facevano le “parti”… e presumidu as at essiri tui (presuntuoso sarai tu!). Grande polemica, con sottigliezze, perché poi il brano è stato pubblicato in due antologie.

Ovviamente tutta la vicenda si sviluppò con grande ironia fanciullesca, del risentimento appena accennato, ma abbastanza perché io mi sia dovuto servire di nomi fittizi.

Il brano è semplicemente uno scherzo. Un’amica leggendolo ci cercava un senso e me lo chiese, con imbarazzo dovetti appunto rispondere che non ne aveva, che era un puro gioco.

Posso fare una riflessione non troppo impegnativa, ma da tenere in considerazione. Parto da un concetto molto serio che è 1 + 1 = 1 (tutti diversi, tutti uguali). Quando si parla di uguaglianza o anche di comunismo (parola che a molti non piace, ma che è bellissima [come ha avuto occasione di affermare anche il papa]: significa mettere in comune, soprattutto tra chi ha e chi ha bisogno e al giorno d’oggi sarebbe auspicabile, tra chi ha troppo anche di superfluo e chi non ha niente), occorre tenere a mente che essere uguali nei diritti e nei doveri sociali, non significa che si debba essere uguali anche nel privato, nel personale, nella sensibilità, ognuno deve essere ed è se stesso.

Per questo quando facciamo una burla che a noi sembra bellissima, non dimentichiamo che siamo tutti diversi: molti possono fraintendere una battuta, non apprezzare, reagire con freddezza. Beh, non è il caso di prendersela, sicuramente rideranno per un’altra più fortunata. L’importante è che nessuno ne faccia un casus belli e talvolta accade: la famosa scintilla o battito d’ali…

Non è certo il caso che ho raccontato sopra, il quale non è adatto a conclusioni troppo serie, ma visto che ci siamo, diciamolo. Nel dire le cose dobbiamo prestare attenzione alla sensibilità altrui, allo stesso modo chi ci ascolta deve cercare di non essere mai troppo permaloso. Tutti devono valutare se una cosa è detta o meno in buona fede ed evitare inutili tensioni.

Questo nei buoni rapporti sociali… Perché quando c’è la mala fede, il politicamente scorretto, la palese menzogna demagogica, l’odio per l’odio, allora l’indignazione è sacrosanta e giusta.

 95 isseel

20 Dependi poetare in Costa Rei (91 – 20s – XXI.XXXIV – 30.8 murav/cr) a 30.05.2021

ARREXINAS NÒBILIS

Radici nobili

L’uso del sardo, l’ho già scritto, per me è congeniale per trattare la storia familiare; ma contrariamente ai pregiudizi, sia da parte degli stessi sardi (non tutti ovviamente), sia da parte di molti colonizzatori anche del pensiero e delle idee, è una lingua buona per qualsiasi argomento, come tutte del resto.

Il concetto che voglio esprimere pensando ai miei avi, celebrandoli e onorandoli, è che l’attributo di nobile, dunque la nobiltà, non si acquisisce per ricchezza, inganno, crudeltà, perfidia, e via dicendo (nella storia abbiamo avuto tanti casi del genere), la vera nobiltà è la bontà d’animo, il soccorso dei più deboli, il lavoro onesto, la pratica della giustizia, dell’uguaglianza, dunque valori positivi e non negativi.

Perciò pensando ai miei avi lavoratori, soprattutto a quelli che ho conosciuto, devo concludere che essi sono nobili e sono resi tali dalla terra che molti hanno lavorato, dal loro lavoro di maestri di muro, di falegnami, pastori, operai, artigiani, loro sono i miei rex, i miei principi, benché non siano stati ricchi di ori e denari.

Che ragione ci può essere per concepire quella che potrebbe avere l’aria di una polemica, espressa peraltro con la figura retorica della ripetizione? Beh, la ragione è che la storia dell’umanità, ci offre in tutti i tempi degli esempi contradditori evidenti, anche sotto il profilo espressivo, linguistico.

La questione non è semplice perché ci sono delle scuole, anche ad altissimo livello, che stabiliscono quali siano i termini da usare per definire alcune categorie, che hanno anche il potere di fissare una metodologia che bene o male tutti sono chiamati a rispettare; metodologia peraltro che si studia negli atenei e forse ha il difetto di costruire storici troppo uguali a se stessi; non tutti hanno il coraggio di avere una propria lettura degli avvenimenti, una lettura davvero obiettiva, spesso occorre conformarsi all’accademico più forte, alla corrente dominante e le voci che urlano nel deserto restano inascoltate, almeno finché i tempi non diventano maturi per dover accettare verità anche scomode.

Nel nostro tempo abbiamo avuto una miriade di esempi di addomesticamento della storia a interessi di parte, di stati e di potentati; ripristinare la verità non è semplice, sia per la storia remota che per quella contemporanea. Inoltre vi è la tendenza a voler far dire alla storia assodata, certa e obiettiva, cose che non stanno né in cielo né in terra, anche semplicemente per convenienze politiche.

Basti citare lo stragismo di qualche decennio fa, il negazionismo rispetto al nazismo, i vari tentativi di giustificare il fascismo, i clamorosi esempi delle guerre in Vietnam e in Iraq, capi di stato che basano la loro attività sulla menzogna e quando vengono accusati accusano gli altri di falsità.

Nello stato italiano ne sono successe di belle dagli anni Ottanta del secolo scorso in poi. Oltre ai vari fatti clamorosi più o meno accertati e con i responsabili individuati e in qualche caso condannati, si è assistito a un clamoroso cambiamento del modo di far politica, metodi che oggi sono all’ordine del giorno: campagna elettorale permanente, uso della cronaca o degli eventi sempre in maniera elettoralistica, tacitamento delle minoranze…

Ma l’avvento al governo della destra ha comportato l’avvio di diversi disegni occulti che hanno portato al cambiamento della società: uno è stato la demolizione progressiva delle potenzialità pubbliche, in primo luogo della scuola, della sanità, dell’informazione e della magistratura. Riguardo ai primi tre constatiamo oggi, per viverlo sulla nostra pelle, che ci sono riusciti, forse la magistratura resiste ancora, almeno a sprazzi.

Lo scopo è di una evidenza imbarazzante: ottenere una società più ignorante, incapace di reagire alle ingiustizie, renderla più debole in modo che non debba pensare ai diritti, rovesciare l’economia sociale, accentuando la disparità tra ricchi e poveri, controllare l’informazione in modo che l’opinione pubblica sia bombardata da notizie verosimili e la verità sia disponibile per un numero sempre minore di persone.

Questo stato di cose, questa strategia, ha contaminato anche i partiti potenzialmente avversari della conservazione, resi incapaci di difendere adeguatamente i più deboli, per la paura di perdere voti evitando di inseguire le idee reazionarie della destra, specie l’ingannevole politica liberista, nella convinzione che la gente desideri quel genere di economia, come se la popolazione italiana fosse zeppa di nababbi del capitalismo.

Vero è invece che la strategia cui si faceva cenno ha reso la popolazione incapace di valutare per bene quali siano i propri interessi e individuare chi possa portarli avanti, e sicuramente non lo potranno fare né i populisti, né i fascisti, ma neppure il liberismo economico, spada nel fianco dei lavoratori e dei meno abbienti.

64 nobilis

12 Arrexinas nòbilis (64 – 6s – XIII.XXIVb – 31.07 a) a 28.09.2020

DEPENDI POETARE IN COSTA REI

Dependi poetare in Costa Rei
est pritzisu si nd arregodare
ca versos depemu dedicare
a fitzos meos in limba de su Ei.

Sa noba si dd’apu annuntziada
a tot’e tres po mes‘e su pitzinnu
prexerosu de m’ajudare a un innu,
ma narat “raju” ca de issu tratada.

Sa majore strantzit sa novella
e narat “mamma!” cun boxi scannida:
Non me ne frega niente!” Presumida!
Sa pitica àudit bella bella.

Ita narre insas in Muravera?
Ca Aset est unu pagu preitzosa,
Latona po dromiri est cosa cosa
et Ermes sa bòcia fìsciu imperat.

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Brano giocoso (quartine di endecasillabi a rima alternata), dedicato, familiare, stimolato dal mio vezzo (tuttavia spesso mancato) di comporre versi in località ove mi capita di soggiornare o semplicemente passare.
Il commento è compreso nei versi stessi.
Per ragioni di privacy i nomi indicati non sono quelli originali.
(XXI.XXXIV – 30.8 Muravera – Costa Rey)

Traduzione:
DOVENDO POETARE A COSTA REI
Avendo deciso di comporre versi a Costa Rei (1)/ è d’uopo che ricordi/ di aver anche deciso di dedicare versi/ ai miei figli nella lingua del ei. (2)/
La notizia l’ho comunicata/ a tutti e tre tramite il più piccolo,/ compiaciuto di aiutarmi a comporre un brano,/ ma esclama “raju” (3) quando apprende che tratterà (4) anche di lui./
La maggiore snobba la novità/ e invoca “mamma!” con voce roca e stridula:/ “Non me ne frega niente!” Presuntuosa!/ La piccola annuisce affettuosamente./
Che dire allora in Muravera?/ Che Aset è un poco pigra,/ Latona per dormire è davvero abile/ ed Ermes gioca spesso a pallone./

Note:
1  Località balneare della Sardegna sud orientale nel Comune di Muravera.
Ei, cioè il “si” sardo.
3  Si tira indietro. Letteralmente “lampo!”
Tràtada da sdrucciola si fa piana per ossequio alla rima.

ARREXINAS NÒBILIS

…E custa
po si fai sciri
ca sa nobilesa
est prus parenti
a terra e traballu
chi a sa richesa.
De reis e prìntzipis
mira sa mata:
Giusepi, maistu ‘e linna,
fillu de Arrafiebi, pastori,
fillu de Antoni, manòbara,
fillu de Frantziscu, picaperderi,
fillu de Antoni, maist’ ‘e muru;
comenti a Tomasu,
fillu de Paulu, maist’ ‘e muru,
fillu de Giuannantoi, maist’ ’e muru,
fillu de Tomasu, maist’ ‘e muru;
e Santinu, massaju,
fillu de Afisiu, massaju,
fillu de Luisu, massaju;
e Mundicu, giornaderi,
fillu de Giuanni, brabieri,
fillu de Luisu Maria, majgu.nobiltà,mira,lavoratori,mestieri,genealogia,ripetizione,gioco,lingua,dialetto,avi

Un altro omaggio ai miei nobili avi, con un semplice concetto.
L’uso della ripetizione come figura retorica è d’ispirazione biblica, nientemeno, o se preferite, evangelica.  
Diciamo che può anche essere un gioco cui potete cimentarvi con qualche piccola ricerca: vi servono solo nome e mestiere di quindici progenitori, partendo dai quattro nonni a digradare nel tempo. Buon lavoro… poi mi fate leggere, magari nella vostra lingua locale… Sarebbe bello realizzare in questo modo una genealogia delle vere famiglie nobili, quelle dei lavoratori.
(XIII.XXIVb-31.07 A)

Traduzione:
RADICI NOBILI
…E questa/ per farvi sapere/ che la nobiltà/ è più affine/ alla terra e al lavoro/ che alla ricchezza./
Di re e principi/ ecco l’albero genealogico:
Giuseppe, falegname,/ figlio di Raffaele, pastore/ figlio di Antonio, manovale,/ figlio di Francesco, scalpellino,/ figlio di Antonio, muratore;/ come Tommaso,/ figlio di Paolo, muratore,/ figlio di Giovanni Antonio, muratore,/ figlio di Tommaso, muratore;/ e Santino, contadino, / figlio di Efisio, contadino,/ figlio di Luigi, contadino;/ e Raimondo, bracciante,/ figlio di Giovanni, barbiere,/ figlio di Luigi Maria, guaritore./