SENZA ETÀ

Il problema è il suono del mare, la sua voce (se parla), il suo dittare. Cos’è il mare? È un immenso blob o è una pluralità di acque che hanno diversi suoni, diverse voci e parlano a chi vogliono parlare e a chi vuole ascoltare? Complesso è complesso il mare, né più né meno di quanto possa esserlo l’umanità, qui fa una cosa, là ne fa un’altra, qui calmo, là mosso, agitato, in burrasca, tempesta, uragano. Le variabili sono tante e interagiscono con il resto della natura, dai venti allo stesso uomo e la natura cambia, come i venti, come le persone. Insomma, se sono nella costa di Arborea o di Pistis, non sono né a Scilla, né a Cariddi o in ciascuna delle altre centinaia di migliaia di spiagge del mondo. Per limitarci al mar di Sardegna avremo un centinaio di suoni diversi moltiplicati per tutti i giorni di ogni millennio. Questo discorso ozioso porta al punto: cos’ha detto quel mare quel determinato giorno.

Il mare parla per incantesimi con il suono dei suoi flutti, una voce che si ripete ossessivamente e puoi recepire il suo messaggio se ti circonda il silenzio, allora ti folgora, ti ispira e detta e se detta devi notare perché è preciso. Se il mare asseconda il tuo pensiero sarà più facile capire.

Riconosco la calma risacca che si infrange sulla sabbia a riva, perfino le spugne, agglomerati di fibre d’alga, sono immutate, come pure i nastri di poseidonia, la spiaggia è deserta, selvaggia, evidentemente non ambita, l’aria è tersa e i capi della Frasca e di san Marco di Tharros sono chiari all’orizzonte.

In questo contesto, il mare dice che anch’io sono lo stesso e sarò lo stesso ogni volta che ci tornerò, come tutte le volte che ci sono già stato, che mi distenda all’ombra o al sole. Il pensiero allora vaga leggero e senza età, a quelle tante volte, alle varie circostanze indubbiamente differenti, benché io sia lo stesso ora e allora. Lo sciabordio mi riporta i clamori familiari, misti al suono dell’acqua e della brezza e altre decine di situazioni, apre la mente, quasi ti fa paura tanta è la sorpresa, la rivelazione: non ho mai avuto età come è vero che sono io, è così da sempre e lo sta dicendo il mare con il suo suono d’onda, con le acque che partono cerimoniose dai due capi del golfo a comporre il messaggio che giunge a destinazione.

Le dispute filosofiche o empiriche sono tante, quella sulle questioni dell’età anagrafica ha la sua importanza, la sua rilevanza, la sua incidenza nella vita sociale. Può apparire ridicolo, ma è così; lo dico per averlo sperimentato, ma è superfluo perché è un fenomeno noto, che si ripete puntualmente quasi tutti i giorni, ed è soggettivo solo fino a un certo punto in quanto la società è orientata a considerare l’età anagrafica discriminante riguardo a molti comportamenti anche a prescindere dal concetto di età biologica. Prima o poi tutti ne avremo l’opportuno riscontro.

Dover assumere certi comportamenti in base all’età che appare sui documenti (fatti salvi quelli che la natura stessa impone) è una palla al piede quasi in ogni momento della nostra vita.

Cito spesso alcuni esempi limite accadutimi per il fatto – a sentire i più – che dimostri meno anni (ciò, se possibile, penalizza due volte): a 18 anni fui cacciato da una sala da biliardo perché ritenuto molto più piccolo; per la stessa ragione le ragazze neppure ti calcolavano; a 23 anni – in occasione delle mia prima esperienza di insegnante – il bidello mi strappò il registro di classe di mano ritenendomi un alunno… e così via. In età adulta accade il contrario, ti capita di essere approcciato a pelle da persone molto più giovani che appena conoscono la tua età anagrafica cambiano atteggiamento.

Mi rendo benissimo conto che non si tratta di un comportamento assoluto, ma anche che l’atteggiamento sociale prevalente va in questa direzione e non ci sono Zero che tengano, né enti, enta o anta. E quando si parla di società, si parla oltre che di retaggio storico – che può avere un suo valore, ma è solo un valore storico – di progresso, che proprio perché è tale deve tener conto anche di un’evoluzione della mente umana: conoscere la storia non per imitarla, ma per trarne insegnamento ed evitare di ripetere errori.

Comprendo anche che si tratti di un problema effimero rispetto a quelli che coinvolgono il mondo in questo momento, ma se abbiamo sempre creduto che il personale sia politico, come non ci insegna solo il Sessantotto, ma perfino qualcuno come Tolstoj in “Resurrezione” o in “Guerra e pace” e non solo lui, non potremo mai occuparci al meglio della società, dell’universalismo, della fratellanza, se non anche curando ogni aspetto della nostra esistenza, anche privata.

senza età

25 Senza età (99 – XXIII.XXXIX – 29.6 arbo) a 29/31.10.2021