CUSS’ORTA CHI SEU STETIU A MILANU

(otava)

Cuss’orta chi seu stetiu a Milanu
apu biu totu sa genti chi curriat,
no mi ndi parriat mancu unu sanu
e a mei puru de curri mi beniat.
Mi domandu, immoi ca est beranu
iat’essi mellus ki a s’achietai podiat.
Toca, ca mi nci torru in Sardigna
a fai una vida u’ pagu prus digna.

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L’inserimento di questa tra le mie poeesie mi fa venire in mente le parole del muratore che, terminato di intonacare il muro realizzato da me per emergenza e non certo a regola d’arte – giacchè solo nipote di diversi maestri di muro e niente più -, disse “D’iat a ai mai cretiu de essi intonacau custu muru!” (L’avrebbe mai creduto di essere intonacato questo muro!).
L’ottava ebbe origine in pochi minuti durante un’esercitazione di versificazione nell’ambito di un corso di formazione in lingua sarda e restò abbandonata tra gli appunti per poco tempo. La sera stessa nel selezionare tre brani per un premio letterario dedicato alle minoranze etniche, mi venne in mente di inserirlo per saggiare le reazioni della giuria… Ebbene proprio questo fu scelto per la pubblicazione, con un certo mio stupore, e fa bella mostra di se tra più degni brani in ladino, albanese, friulano, arberesh, sloveno, griko, romancio, occitano, croato, catalano, cimbro, sardo stesso e diverse altre lingue minoritarie.
Che dire? La giuria in qualche modo ripassò la palla al mittente, mettendolo in condizione di dover giustificare l’argomentato e di promuovere l’ottava al rango di poeesia (… e vorrei vedere, dopo essersi conquistata la pubblicazione in un autorevole volume!).
Le motivazioni per un brano di esercitazione, poco più di un mascherone (espediente dei compositori nel simulare la metrica non badando al senso delle parole), sono deboli. Ad imitazione de sos poetas che improvvisano nelle piazze della Sardegna e sono artefici della poesia estemporanea in sardo, di lunga tradizione, ci era stato assegnato un tema, probabilmente “il viaggio”, mi venne subito in mente questa immagine, in parte reale, ma soprattutto caricaturale della vita frenetica milanese.
Amo Milano per diversi motivi, oltre alle brevi visite, ci ho anche vissuto tre mesi di fila in gioventù, dunque lo sviluppo dell’ottava non rispecchia il mio pensiero, tuttavia alla maniera dei poeti estemporanei che durante le gare poetiche, con tanta ironia e sarcasmo, se le danno di santa ragione (a parole) anche per il diletto del pubblico, pur essendo grandi amici, così il luogo comune (non del tutto però) della frenesia milanese, specie la mattina quando si corre al lavoro e si rincorrono i mezzi di trasporto, dà lo spunto per stigmatizzare il logorio della vita moderna in favore di quella più agreste, magari arcadica, pastorelle comprese.
(XXII.XXXVIII – 24.5 A)

Traduzione:
QUELLA VOLTA CHE SONO STATO A MILANO
Quella volta che sono stato a Milano/ ho visto tutta la gente che correva,/ non me ne sembrò neanche uno sano/e anche a me veniva da correre./
Mi chiedo, ora che è primavera,/sarebbe meglio se potesse calmarsi (la gente, ndt)./
Suvvia, me ne torno in Sardegna/ a condurre una vita un po’ più degna./