ODE A JENNIFER

Mancato ho altre pasque, questa del tutto,
né per ripicca o dispetto, guastata
dal dolore del venerdì vigente
in cui apprendiamo della tua perdita;
torna in mente l’ultrasuono stordente,
sconvolgente, che m’infuse terrore.
Maledetti son già da ogni Dio e nondio!
Intorno si ascoltan solite storie,
quasi di un’abitudine alla strage,
troppa circostanza, inerzia e ipocrisia,
guai a fiatare di traffici e omissioni…
Fuori dal coro di ridda d’infami!
Nel sereno relax di tarda sera,
il crollo dell’umore all’improvviso,
seguito poi dalla disperazione,
mista a incredulità… che ci facevi?
Dispersa! invoco smentite, speranze.
Siano dannati tali senza amore!
Lacrime precedon la brutta nuova,
distrutto ciascun credo positivo.
Giunga implacabile sacra vendetta,
gloria a te piccola gemma preziosa.
È inaccettabile tanta tragedia,
l’angoscia dirompente di una madre.
La brutale e disumana ferocia
ti ha mostrato al mondo come un’eroina,
nulla più distante dal nostro cuore;
era essenziale sapere ci fossi,
ricordare il tuo sorriso felice…
allieterà i maggiori in paradiso.
Il rammarico è incommensurabile,
i pianti sgorgano irrefrenabili,
possa a te corrispondere letizia.
Cercheremo i modi per onorarti,
lo merita la gioia di vivere
franta nel mattino della tua vita.
Pur lontana, quella presenza intensa
escludevamo ci venisse tolta;
è conforto affidato alla memoria
che continuerà ad esser rinnovato;
sarà pensiero dello stesso sangue
e riesca a consolarti tanto affetto.

Quanto ai maledetti,
per niente velerò la tua innocenza
parlandone oltre,
troveranno solamente lo strazio eterno
e l’impossibilità di informarne il branco
dell’identica bestiale specie.

A Jennifer Scintu,  + Zaventem (Bruxelles) 22 marzo 2016

j

Endecasillabi sciolti
(sestina finale anisosillabica)
(XXXII.XLVIII – 24-27.03 A)

L’ACQUA PASSA…

Ogni scopo hai spento e sei spenta
in quella pia prostituzione
che preservi arrampicandoti
su newyorkesi fondamenta
e sommità di religione
che cassi disamorandoti.
Un mese all’anno o solo un giorno…
Sempre nemica di te stessa,
siccome il realismo è mera idea,
distruggi i sogni che io adorno
tra teoria e verità complessa
e cerchi sempre una nuova dea.
L’acqua riscorre nel suo volo,
in frangenti che ti angosciano
curi di non lasciarmi solo
finché gli eventi si placano.
Dei tuoi periodici capricci
difficile capirci troppo
di piaceri, inerzie, feticci
e come certezza l’intoppo.

l'acqua passa...

Sonettoide in novenari
(XXVII.XLIII – 10.12 A)

…IN DISGUISE

Un anno felice pochi momenti bui
troppe le paure quelli distruttivi
quale amore è – assurde – il tuo se non mi vuoi
fedeltà – vedere – dei rapporti bianchi
A te decidere se vorrai lasciarmi
del poter venire di quando parlarmi
quanto trascinare come dominarmi
se ambiguamente è l’ora di amarmi
o comunicare siamo solo amici
Montato di testa colgo i tuoi rispetti
ogni cosa a palla dai vieni prendimi
ti amo a raffica eran scherzi giochi
amora matura di amori maturi
l’amore si sgonfia se non condividi
Visione precaria zoom altalenanti
o meglio alternata – flash alternativi
contro la logica dei ragionamenti
senza alcuna accusa continui coerenti.
Se ferisci accuso bambinesca accusi
sagra d’immaturo l’amore non vivi
Suona il campanello dar fiato ai tromboni
ricatto intercetto nel disconoscersi
atto non dovuto l’essere ostili
è un paradosso non dar spiegazioni
Rinneghi il passato ti schermisci temi
e fai moralismo quando telefoni
ma a tuo piacimento scelte reticenti

... in disguise

Prosegue la buriana – in italiano -, in particolare il discorso degli ultimi due brani, per cui mi ripeto solo nel dire che si tratta fasi acute di un periodo, a dir poco, gradevole.
Più che sul contenuto, mi soffermo quindi sulla versificazione.
Continua la sperimentazione. La struttura, in senari doppi, è del tutto originale: presenta tre strofe in nona assonanza, più che in rima (nona rima), manca di punteggiatura e contiene delle fratture al discorso lineare, per cui deve esser letta da almeno due persone.
(XXVI.XLII – 17.6 Arbo)

CUN OGUS DE PRANTU

Candu a sa stima nosta ponit dudas
su mudigori suu spantau mi lassat,
no arrespundit, m’aconcant timorias,
non bogat fueddu, s’idea mi cancarat.

Sigu s’arrexonu, tui non pregontas,
impeuras s’arrennegu chi mi strèmpiat,
pigas a afinamentu cun is tìrrias,
s’ésciu tuu iscedas frassas mi torrat.

S’imbressi de su chi disìgiat m’iscriit,
abarru assou cun arragus traitoris,
mi disamparat, gai si ndi scabullit.

Mancai non tèngiat malas intentzionis,
de ammanniai su pentzamentu permitit
e mancu parrint trassas de brulleris.

Si, comenti seu ddu scis,
immoi non podis fai finta de nudda,
po chi deu t’apeti dintedie in bidda. ogus

E’ imbarazzante per diversi motivi commentare certi brani; in sostanza valgono le considerazioni fatte per quello precedente. Questo è stato concepito circa tre mesi prima… è pure sfuggito al mio “rigoroso” controllo cronologico.
Il tempo fa un po’ una sintesi della verità, ne dà un’idea, una qualche risultante; così, può stupire gli stessi protagonisti che un periodo molto bello sia documentato dagli attimi dolenti. Tuttavia la verifica dei motivi ispiratori di questo sonetto caudato è stata inquietante e li conferma in pieno.
Ogus de prantu può sembrare estremamente drammatico, una forzatura. Non è così, gli occhi possono riempirsi di lacrime non solo per un acuto dispiacere, ma anche per incredulità, stizza, sfinimento, che come i versi sfuggono al controllo.
(XXVI.XLII – 11.1 A)

Elaborazione in italiano:
CON GLI OCCHI LUCIDI
Quando mette in dubbio il nostro amore/ i suoi silenzi mi lasciano di stucco,/ non risponde, induce paure,/ non emette suono, l’idea mi raggela./
Continuo a parlare, tu non intervieni,/ peggiori la rabbia che mi ferisce,/ mi sfinisci con i dispetti,/ la tua maschera emana messaggi ambigui./
Scrive il contrario di ciò che pensa,/ resto solo con i cattivi pensieri,/ mi abbandona, così se ne libera./
Anche se non lo vuole fare,/ permette che aumenti l’inquietudine/ e gioca ma non è uno scherzo./
Se sai come sono,/ ora non puoi più fingere,/ per quanto io ti aspetti comunque./

Per confondere ulteriormente le idee,
GLOSSARIETTO:
Spantai = sorprendere, turbare, sbalordire
Aconcai = sospettare, presumere, concepire
Cancarai = intorpidire, stordire, colpire
Pregontai = chiedere, interrogare, sollecitare
Strempiai = rimproverare, offendere, sciupare
Isceda = notizia
Disìgiu = desiderio
Arragu = angoscia
Trassa = comportamento
Brulleri = burlone
Dintedie = sempre
Bidda = villaggio

NOTESTA PURU AT A PASSAI

Sa noti at a passai, certu, at a passai…
Mabaditu siat su momentu chi est
inghitzadu su giogu a su maceddu,
mabaditas is faddinas, is dudas,
su machìmini e totu is falsidades.
Mabaditu su mudigori chi ‘enit
cunfùndiu cun s’assuntu, cun su sinnu.
Muntonis de arrefrigadas, refudus,
sderrexonadas, logu a su scarràbiu
e su ciorbeddu in su cungeladori…
At a torrai a bessiri su sobi,
impari cun tui ap’a abarrai de prus.

notesta puru at a passai

Rappresentazione dell’assurdo… Maledizioni, massacro, sospetto, falsità, rifiuto, pregiudizio, e via dicendo. Non sembrerebbe l’esatta rappresentazione di un periodo felice, eppure lo era, con gli opportuni limiti lo era; l’elemento felicità era indubbiamente presente seppure con il suo moto sinusoidale complesso.
Questo già spiegherebbe tutto, ma la riflessione è su un’umanità votata a fuggire la felicità, crogiolandosi nelle più improbabili problematiche esistenziali che distruggono il tempo, la vita, la pace e proiettate sulla società creano un’esistenza conflittuale senza fine a tutti i livelli.
Quali armi hanno in questo contesto le voci fuori dal coro? Armi non ne hanno, solo strumenti efficaci per resistere: la speranza e la positività.
Potrebbe bastare, perché si può capire che il ritorno al sardo, rappresenta necessariamente l’espressione più intima e spontanea del momento affrontato, lo stesso che richiama il lampo più maledetto di Ungaretti (Anche questa notte passerà./ Questa solitudine in giro/ titubante ombra dei fili tranviari/ sull’umido asfalto./ …) prescindendo da ragioni tecniche; quanto alle citazioni presenti negli ultimi due versi, le lascio agli interpreti dei crop circle.
(XXVI.XLII – 27.3 A)

Elaborazione in italiano:
ANCHE QUESTA NOTTE PASSERA’  *
La notte passerà, certo, passerà…/
Maledetto il giorno che ha/ avuto inizio il gioco al massacro,/ maledetti i malintesi, il sospetto,/ le paranoie e tutte le falsità./ Maledetta l’afasia che viene/ confusa con l’essenza, con i segni./
Miriadi di contraddizioni, rifiuti,/ illogicità, spazio al pregiudizio/ e l’intelletto in freezer…/
Come altre volte il sole nascerà,/ insieme a te starò di più.

* Il titolo cita Noia di Giuseppe Ungaretti

HOMMAGE AI CONTRARI ALLA PATRIMONIALE

Dick heads! Go to fuck off! Scheiße, beasts, caproni!
Assholes, sozze loffe! Sporchi coglioni!
Feccia, maldecidos, porci luridi!
Fogne, vertederos, sgorbi fetidi!
Cravaisinci, si cruxiat sa tzutìtzia!
Chi si futat unu burrincu in pratza!
Non c’è peggiore società di quella
dove la ricchezza non si livella
e il ricco sulla miseria specula,
non rischia nulla per sè e accumula
e i poveri aumentan le loro pene,
lavorano come schiavi in catene:
così è il capitalismo, è fascismo
sebbene lo chiamino liberismo.
Lo sfruttamento, con la propaganda
fan sembrare giusta cosa nefanda.
Questa è la loro struttura mentale,
non reca idee ma alcunché di b-anale.
The way of Paperon de’ Paperoni
star di quest’unpercento di cialtroni;
le agevolazioni per se avocano,
le tasse ai lavoratori invocano.
E’ un furto accumulare patrimoni,
l’antitrust copre le televisioni;
il ladrocinio passa per diritto,
il morbo imperialista va sconfitto.
Rivolta contro la restaurazione
che tien le masse in mano a una fazione;
basta subire, ora ci si ribelli
a questa teppa di laidi imbecilli!
Dick heads! go to fuck off! Scheiße, beasts, caproni…….

93 hommage

Una sorta di sperimentazione ribellista mi ha portato a una contaminazione letteraria dub/fusion, tra rap e verso; esteticamente in endecasillabi a rima baciata che sostengono l’incazzo solenne.
Solo quattro anni fa, mentre si sviluppava l’ennesimo dibattito prevalentemente contrario all’introduzione di una tassa sui grandi patrimoni, mi girarono le balle in maniera decisiva e questi versi furono le vittime di quello sfogo.
Non divido il mondo in ricchi e poveri, ma in ricchi e poveri intelligenti e solidali, nonché ricchi e poveri imbecilli e infami. E’ vero che alla prima categoria appartengono meno ricchi e all’altra di più, ma è assurdo che si sia portato il mondo nella situazione in cui è solo per dar retta a chi non vuole rinunciare neppure al superfluo, anzi continua ad accumulare facendosi inconsapevolmente (ci sono anche quelli che “a mia insaputa”) del male.
D’altra parte chi è benestante e intelligente ha sempre detto di essere disponibile a fare la sua parte anche con una tassa sul proprio patrimonio, certo i cannibali e i caimani prevalgono.
(XXVI.XLII – 5.3 A)

PRESEPE

Pur non volendo talvolta mi sorprendo
a pensare mesto all’assenza presente,
profondamente; per la casa vagando
divago nel vuoto rivangando a caso,
ogni oggetto mi parla, calcio la palla
tristemente poco usa; rimostrando
mi mostro tutti quei giochi desolati,
riempiendo scaffali e armadi inviolati:
realmente questa cosa mi sta straziando.
Che strazio! implodo urlando, dolorando,
coso il piano, le note stralcio stridenti,
spazio d’efferato delitto ferendo.
I bimbi crescendo, le basi svanendo,
sostanza costruita faticosamente,
dissolvente, vassi ormai devastando;
insisto, ciò stando, a ricrear la cosa
per sormontare il dolore e l’intralcio,
lievemente l’ego così soddisfando.
Dispongo i balocchi riposti, isolati,
ambendo sian di nuovo manipolati,
finalmente in casa insieme vivendo.
Vivere la bimba creando, sognando,
giocosi in costante intralcio di ninnoli,
mai sazio sarà nostro amore stupendo. pres

I rari solleciti ad affrontare un tema ottengono l’effetto sotto gli occhi di tutti, benché si fosse alla vigilia di Natale di pochi anni fa, dunque in un’atmosfera favorevole; ma se il presepe sfugge, non resta che agognarlo.
Un presepe per tutte le stagioni e per nessuna…
Il tempo di pubblicazione nonostante le apparenze è ancora appropriato, se è vero che il Presepe si dovrebbe tenere fino alla Presentazione di Gesù al tempio, insomma fino alla santa Candelora… che se nevica o se plora dell’inverno siamo fora.
Il metro è sperimentale, senari doppi, doppiamente minati.
(XXV.XLI – 20.12 A)

BLASCO DISSONANCES

Whisky, che schifo. Minca tua a u’ bòtu!
Con un sorso di Lete faccio pròsit!
Guai non ne voglio, raju chi ti strísit!
Mariajuanna non si ndi bidi in sátu.

Steve McQueen, chini catzu benit a èssi?
Ddi narat amiculu a Henry Míller!
Voglio una vita tranquilla po arregòller,
anche se non da film di Tinto Brássi.

A life based on “I care”, catzusàntu!
che a rispettare, rispettando, inségni
e progredendo solo il bello agógni,
de “menefrego” bastat s’iscramèntu.

Cenare alle nove, letto alla mézza,
levarsi ancora aurora, veder l’àlba,
chiudere colazione con la Mèlba,
non tutto il dì come zombie che abbózza.

Di tempo al bar ne ho già perso tròppo,
ritto, a bere punch o fumare a fòrza.
Prudente mi terrei Maude, e tu schérza!
Mona stia con Stasia, roseo svilúppo.

(Cudducunnu Blasco, m’hai rotto il casco!)

blasco dissonances.jpg

Le definizioni delle correnti artistiche vengono spesso utilizzate a sproposito creando parecchia confusione, specie nel passaggio da un’espressione a un’altra. Questo accade di sicuro per il pop, oggetto addirittura di mutamento semantico: un tempo sinonimo di avanguardia in tutti i campi, oggi specie nell’ambito musicale, sinonimo di leggerezza, disimpegno. Il termine Pop è stato svuotato del suo significato originario, di popolare, come manifestazione, anche, di un impegno politico e culturale preciso (basti ricordare che gli Area si definivano “International popular group”), per approdare al leggero, al liscio, al commerciale, alla canzonetta, a quella diffusione che è “popolare” in ben altro senso.
Analogo discorso potremmo fare per la definizione di folk. Sono fenomeni che obbligano il nascere di nuove enunciazioni, ma creano anche confusione. Tuttavia anche con il pop più leggero si creano dei fenomeni di costume che non sfuggono.
Questi versi sono di pochi giorni fa e con essi accetto l’invito di J a rompere lo schema della pubblicazione cronologica e di puntare sulla novità del momento.
Agosto, bell’Agosto, bel sole, lascio la S.S. 126 e mi immetto in quella sorta di sentiero dall’asfalto precario, verso il mio mare. Nei pressi del punto ove ebbi l’ispirazione di La crise, ascolto distrattamente la radio, mandano Blasco; mi scopro a commentare come in trance le sue parole, come di fronte a una primitiva attenzione: Whisky, che schifo! E via dicendo… qualche minuto più tardi in spiaggia nasce questo brano.
La struttura in endecasillabi, è basata su consonanze particolari da me sperimentate per la prima volta. Numerosi i riferimenti e le citazioni, tra cui Deledda e Miller, che a un tratto diventa l’io narrante.
Non dico con l’arte, ma con l’anelito ad essa, prescindendo dal contenuto del brano, celebro quattro anni di un bellissimo momento.
(XXIX.XLV – 13.8 Arbu)

Scioglimento minimo:
Whisky, che schifo. Fottiti un barattolo!/ Con un sorso di Lete faccio un brindisi!/ Guai non ne voglio, lampo che ti sfiori! (1)/ Mariagiovanna non se ne vede in campagna./
Steve McQueen, ma chi è?/ Gli fa un baffo Henry Miller!/ Voglio una vita tranquilla per raccogliere, (2)/ anche se non come in un film di Tinto Brass. (3)/
Una vita basata su “Mi interessa”, cazzosanto!/ che a rispettare, rispettando, insegni/ e progredendo solo il bello agogni,/ da “menefrego” (4) siamo già stati scottati./
Cenare alle nove, letto alla mezza,/ levarsi ancora aurora, veder l’alba,/ chiudere colazione con la pesca Melba,/ non tutto il dì come uno stremato che abbozza./
Di tempo al bar ne ho già perso troppo,/ ritto, a bere alcol o fumare a forza./ Prudente mi terrei Maude, (5) e tu scherza!/ Mona stia con Stasia, roseo sviluppo./
Cudducunnu Blasco, m’hai rotto il casco! (6)

Note:
1 Citazione da Grazia Deledda.
2 Nel senso di combinare qualcosa di buono.
3 Il riferimento sarcastico è al verso “Voglio una vita come quelle dei film”; Brass  è innocente, ci sta per consonanza.
4 Inutile ricordare che si tratta di uno slogan fascista.
5 Qui il narratore “diventa” Henry Miller, scottato da June/Mona. Il riferimento è alla trilogia “La crocifissione in rosa” (in particolare Nexus).
6 Cito Lorenzo Cherubini, come al settimo verso Francesco Tricarico.

AVANGUARDIA

“Andate a fa’ ‘n culo tutti quanti!”
disse il poeta, il profeta
o chi per loro.
”Andate a fa’ ‘n culo tutti quanti!”
il pubblico andò in visibilio:
questa è avanguardia!
Amare essere mandati a fa’ ‘n culo,
forse per l’ansia di mandare a fa’ ‘n culo,
che figata!
V’a fa’ ‘n culo a tutto! 

avanguardia, vaffa, demagog, figata, forum, cyrus, mps, capolavoro, nuova poesia, diana

La tentazione di indurvi in inganno ci sarebbe, ma solo per un attimo.
Questo “capolavoro” ha l’onore di stare tra le mie poeesie a furor di polemica, in quanto altrimenti destinato ad essere da me ignorato.
Quel giorno capitai più o meno per caso nel sito “Nuova poesia”. L’avviso che inaugurava uno spazio alternativo denominato “Parole in libertà” mi incuriosì subito, perchè intendeva ospitare autori alternativi, i cui versi poco popolari non potevano stare insieme alla poesia normale e alla portata di tutti. Ah, è così!?
I versi del vaffa aleggiavano da tempo, ma allora non c’era neppure Berlusconov, pertanto erano necessarie altre motivazioni culturali, che, per quanto minimali nel brano, non sono neppure troppo celate… Ma nel forum citato, alcuni, sorvolarono sul virgolettato e pensarono immediatamente che a fare ci stessi mandando loro, avvallando in sostanza le conclusioni provocatorie del brano. Inutile dirlo, ne scaturì una lunga polemica, che mise a dura prova persino i responsabili del sito, costretti infine a chiudere e “censurare” parte della discussione, che potete leggere a questo link, o in forma essenziale in quest’altro.
Ebbene, ancora oggi, benchè la discussione sia stata chiusa, risulta tra quelle più consultate e commentate del forum, che sostanzialmente ha avvallato la semplice morale dei versi. Insomma “Avanguardia” si è guadagnata sul campo il diritto di stare a pieno titolo tra le mie poeesie.
(XXIII.XXXIX – 15.12 A)