SAS ANTIGAS DIVISIONES

In mes’ ‘e s’àndala ‘e vida mia
mi seu agatau in bidd’ ‘e Otieri
cun tziu Antoni Cuccu, imprenteri
de Sa mundana e de sarda poesia.
“Sas Antigas divisiones donu a tia
de Bobore Pòddighe, magineri
de versus” narat; sighit “Innoi peri
cada bidda spedria, scis, t’agataia”.
De pat’ ‘e Useddus, Montis e Marmilla,
marrau! tzi’… mancat bidda Barumela,
Atzeni, Sitzamus, Mraxi e Ussarilla,
Bonòrzili, Gemussi e Serzela.
Ti mandu in cielu, o Bore, un’antzilla
e a abboniai sas Divisiones incarrela.

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La mattina di un 11 settembre, a Ozieri, poco distante da Sassari, rividi tziu Antoni Cuccu di San Vito. Come sempre aveva disteso il suo telo di plastica ed esposto i suoi libri, da lui stampati in tipografie compiacenti con i proventi delle vendite che effettuava in tutta la Sardegna, spostandosi con il suo mezzo sgangherato come lui stesso, ormai vecchio, ma sempre con lo stesso animo tenace e combattivo.

La sua figura mi ha accompagnato da sempre, nelle feste locali, vicine o distanti; quell’uomo ha venduto libri a diverse generazioni di sardi, nonni, padri, nipoti. Persona tranquilla, un monumento ambulante, sapeva tutto della poesia e della letteratura sarda, aveva conosciuto i poeti che stampava, conosceva aneddoti, un Editore che non ti aspetti.

Con altri compagni lo avevamo cercato nel periodo movimentista per fare qualcosa, per un supporto; erano tempi di grande entusiasmo, e se il nostro regrediva per la vita che andava avanti, lui era sempre lì, imperturbabile. Il nostro intento principale era che il suo lavoro, in parte di filologo spontaneo (visto che raccoglieva anche testi tramandati solo oralmente), non venisse vanificato. Molte biblioteche pubbliche, compresa la nostra, acquistarono tutte le opere da lui pubblicate.

Quella volta, l’ultima che lo vidi, ci parlai per un’oretta, acquistai un testo e visto che ero del paese di Gramsci, me ne regalò un altro lui.

Qualche settimana dopo scrissi in suo onore questo sonetto scherzoso che non ha mai letto. E’ scomparso nel 2003 e fortunatamente non se ne è persa memoria.

Il brano stabilisce un rapporto confidenziale tra i personaggi che amano la poesia, con lo stesso spirito che anima per certi versi il dolce stilnovo, ma anche l’ironia delle gare poetiche sarde.

(XVI.XXVIII-11.10 A)
 

Traduzione:

LE ANTICHE RIPARTIZIONI

Alla metà del cammino della mia vita[1]/ mi son trovato nel paese di Ozieri/ con signor Antonio Cuccu[2], editore/ de La mondana[3] e di poesia sarda/.
“Ti dono le Antiche ripartizioni[4]/ di Salvatore Poddighe[5], mago/ della versificazione” dice; continua “Qui anche/ ogni villa scomparsa, sai, ti troverei”/.
Di Parte Usellus, Montis e Marmilla,[6]/ marrano![7] signor… manca villa Barumeli,/ Atzeni, Sitzamus, Villa Margini e Ussarella,/ Bonorzili, Gemussi e Serzela.[8]/
Ti invio in cielo, o Salvatore, una messaggera/ e avviati a rifinire le Ripartizioni./




      Note:

[1] Citazione volontaria (vedi note successive).

[2] Antonio Cuccu di San Vito (CA) 1921-2003, militante della poesia sarda, editore povero, trovatore. A sue spese raccoglieva, stampava e vendeva, nelle piazze, i mercati, le sagre, le manifestazioni dell’isola, testi di gare poetiche, canzoni e commedie della tradizione orale sarda, compresi capolavori della cultura sarda non più editi da tempo.

La sua vita è stata dedicata al recupero della cultura popolare sarda, che altrimenti sarebbe andata dispersa.

Sulla sua vita i registi Antonio Sanna e Umberto Siotto hanno realizzato il film “La Valigia di Tidiane Cuccu“, che parla anche del senegalese Check Tidiane Diagne che ne sta continuando l’opera.

[3] “Sa mundana cummedia” di Salvatore Poddighe è considerato uno dei capolavori della letteratura sarda. I suoi versi fanno da modesto contraltare alla “divina” di Dante e per questo non è casuale il mio inizio.

[4] “Antigas divisiones de Sardigna” è un’altra opera in ottave di Salvatore Poddighe, che cita in rima tutte le ville degli antichi Giudicati (i quattro Regni in cui era suddivisa la Sardegna intorno al mille).

[5] Salvatore Poddighe nacque a Sassari il 6 gennaio 1871, originario di Dualchi. Ereditò dal padre la passione per i versi e per l’improvvisazione poetica. A 18 anni raggiunse Iglesias dove lavorò come minatore. Sposò Maria Zuddas di Sardara. A Iglesias divenne amico di tanti altri poeti, tra cui: Pittanu Morette di Tresnuraghes, Pietro Caria di Macomer e Antonio Bachisio Denti di Ottana.

Nel 1910 si trasferì a Torino dove per qualche anno lavorò come operaio. Dovette, però, rientrare a Iglesias a causa della malferma salute della moglie.

Il suo capolavoro è “Sa Mundana Cummedia”, l’operetta che doveva conquistargli la fama che dura tuttora.

La dittatura fascista ne operò la censura e il sequestro. Nel 1932 l’azione di repressione dell’attività dei cantori e in generale dei poeti in lingua sarda fu generalizzata. Nel 1935 venne l’ordine di sequestro per l’opera di Poddighe. Ciò rappresentò un durissimo colpo per il poeta che al termine di una lunga crisi morì tragicamente a Iglesias il 14 novembre 1938.

[6] Tre delle ripartizioni in cui era suddiviso il Giudicato di Arborea con capoluogo ad Oristano

[7] Marranu è un’antica esclamazione la cui origine è evidente, ma che persiste nel sardo decontestualizzata. Si usa da sola o come avvio di un monito.

[8] Si tratta di villaggi delle ripartizioni anzidette scomparsi nel medioevo.

CUMPARIT FÉMINA A SU NOBIL CORU

Cumparit fémina a su nobil coru,
narat sa manera ‘e unu movimentu
cun raxinas de Marmilla a Gennargentu,
de Casteddu fintzas a Logudoru.
Cun issa ia bolli fai s’edad’ ‘e s’oru;
fillus e cumpangius sigant su bentu,
ca est tempu de sardu resorgimentu:
no prus preitza, ken’ ‘e tzapu est su moru.
Ohi! Torrai a inghitzai de Giommaria.
Ma atrus cent’annus no depint passai
chena de ci bogai sa genti stràngia.
Nous fidelis a Marta e no a Maria,
po sa causa a totu tundu traballai
de natzione Sarda nosta cumpàngia.

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Composta lo stesso giorno della precedente, frutto della stessa esaltante ispirazione, ma quanto è intima quella, tanto è politica questa; quella si ispira all’amore stilnovista, questa a quanto di ipoteticamente sovversivo ci fosse nei Fedeli d’amore.
Un flash che viene letto in due modi diversi: il piacere dell’amore intimo, ma anche la celebrazione dello stesso in un impeto libertario e rivoluzionario in cui la donna amata è ispiratrice e guida, come Beatrice con Dante.
(XVI.XXVIII-6.4b A)

Traduzione:
Una donna si presenta al cuore nobile (1),/ gli dice il modo di fondare un movimento/ con radici dalla Marmilla al Gennargentu,/ da Cagliari fino al Logudoro./
Con lei vorrei realizzare l’età dell’oro;/ figli e compagni seguano il vento,/ perché è il tempo del risorgimento sardo:/ non più accidia, il moro è senza benda (2)./
Ahi! Dover ricominciare dai tempi di Giommaria (3)./ Ma altri cento anni non devono passare/ senza che lo straniero sia cacciato./
Nuovi fedeli (d’amore) (4) a Marta, non a Maria (5) ,/ lavorate a tutto tondo per la causa/ della nostra compagna nazione sarda.

    Note:
1) Diretta ispirazione ai versi del dolce stil novo.
2) Riferimento alla bandiera sarda dei quattro mori, introdotta in Sardegna dai catalano-aragonesi, che rappresenta le teste dei re saraceni quali trofei di guerra. Questi re per tantissimo tempo venivano rappresentati con la benda sugli occhi, la ricerca storica ha dimostrato che la benda, simbolo di regalità, stava invece sulla fronte.
La bandiera dei quattro mori è ormai entrata nella tradizione sarda e i mori hanno perso il senso originario di nemici.
Avrebbe più dignità ad essere la nostra bandiera, la quercia sradicata degli Arborea, che diedero alla Sardegna (quasi unificata da loro) gli unici secoli (quasi sette) di governo indipendente dallo straniero.
3) Giovanni Maria Angioy, il più eccellente dei patrioti sardi. Tra settecento e ottocento combattè per la liberazione della Sardegna dal giogo dei Savoia.
4) Nuovi fedeli d’amore era il movimento che legava i poeti del dolce stil novo, e pare avesse anche fini politici, velati anche nei loro versi.
5) Marta e Maria, in Dante (Comedia) rappresentano l’una la vita attiva e l’altra la vita contemplativa, con riferimento al Vangelo (Lc. 10,38-42).