SU CONTU DE AIÀIA LIVETINA

Il racconto di nonna Livettina

Ho già avuto occasione di rammaricarmi per il fatto di non aver raccolto delle testimonianze del passato quando ciò era ben più possibile di ora, i testimoni infatti non sono eterni e non tutti sono volontari come la grande Liliana Segre.

Non mi riferisco peraltro a fatti così drammatici, ma a semplici ricordi popolari e di famiglia, ritengo che anch’essi abbiano la loro importanza.

Così io, che amo cantare e contare i nonni, non né ho raccolto abbastanza i ricordi, o perché ragazzino, o perché attento ad altro, o anche per l’inconsapevolezza dell’inesorabilità del tempo. Per queste ragioni ciò che tuttavia ho raccolto acquisisce un valore inestimabile.

Ricordo che nell’adolescenza avanzata riflettevo tra me e me sulla fortuna di avere ancora tutti e quattro i nonni. Tre di loro li ebbi ancora per molti anni e in ultimo mi restò la sola nonna Emilia, che se ne andò quando ero già due volte padre.

Nonna è stata bene fino in fondo, ci lasciò a 88 anni, ma solo fino a qualche mese prima continuava ad andare con le amiche in campagna per raccogliere asparagi, crescione, cardi o carciofini selvatici e quant’altro offriva liberamente la natura rurale.

Quando seppe che avevo registrato nonna Grazia (la nonna materna mi recitò Sas paraulas bonas [Le parole buone] una novena della tradizione popolare orale), si risentì dicendomi che con lei non lo avevo fatto, per cui promisi di provvedere.

In queste visite periodiche usavamo parlare del passato, degli avi e di altre storie, ma non avevo mai progettato una raccolta sistematica di notizie, andavo avanti in maniera casuale.

In quegli anni andavo ricostruendo la mia genealogia a tutto campo (cioè di tutti gli avi in linea diretta, sia maschile che femminile). Durante una di queste sedute in un ufficio demografico dei dintorni, mi incuriosì molto il fatto che l’impiegata mostrasse di sapere di mia bisnonna, cioè della madre di Emilia; mi disse che gliene parlava la madre e che la storia era risaputa in tutto il circondario. Ora non ricordo se nonna me ne avesse già fatto cenno, mi ripromisi di parlargliene e così appresi più nei dettagli su contu de aiàia Livetina e lo registrai.

Livettina Cabras era nata a Simala, non era molto alta, ma era carina e aveva gli occhi chiari. All’età di 26 anni sposò Santino, suo coetaneo di Ollasta, paese vicino e là si trasferì. Ebbe mia nonna a 32 anni e solo un altro figlio. Visse una vita normalissima, entrambi i figli si sposarono e misero su famiglia. Rimase vedova a 61 anni e visse fino a 78.

Mio bisnonno proveniva da una famiglia contadina agiata, ma il padre perse tutti i beni e lui dovette arrangiarsi a fare il bracciante e a un certo punto iniziò a fare il guardiano dei campi (su castiadori), ovvero sorvegliava orti, vigneti e altre proprietà affinché non vi avvenissero furti o danneggiamenti. Il suo “ufficio” era una sorta di capanna sopra una collina da dove dominava tutti i terreni al confine tra Ollasta e Gonnosnò. Questo genere di mestiere molto diffuso in Sardegna (immagino anche altrove) è scomparso solo intorno agli anni Settanta.

Parliamo dei primi anni del secolo scorso. La vita, specie quella rurale, non doveva essere particolarmente movimentata. Probabilmente il massimo dell’attività sociale si svolgeva nelle chiese o nelle osterie, a parte le ricorrenze, le sagre paesane e le riunioni di famiglia.

Le mogli, comunemente, stavano in casa, socializzavano con le vicine, si incontravano nelle rispettive abitazioni.

Un pomeriggio Livettina era a colloquio con la signora Teresa, sua vicina molto più grande di lei. A un certo punto del dialogo, che ci sfugge, l’ospite, suppongo in tono scherzoso disse a mia bisnonna: “Livetina, candu morru bengiu e ti fatzu UHHH!”. In sostanza “Quando morirò ti apparirò e ti farò spaventare”. La nonna rispose “Su mabagràbiu no at a fai!”. Una formula che si può rendere nel senso “Non farà mica una cosa del genere?” (mabagràbiu sta per fantasma), ma che si pronuncia quasi per esorcizzare l’annuncio di un sinistro comportamento. La cosa finì lì, evidentemente era palese lo scherzo, benché sgradevole.

Passarono anni e il fatto, irrilevante, fu evidentemente dimenticato, o forse persisteva nell’inconscio della nonna. La signora Teresa era già morta da tempo e anche Livettina era ormai in età adulta avanzata, si era nel tempo in cui il marito Santino faceva il guardiano e lei gli portava il pranzo al posto di vedetta (càstiu).

Un giorno in particolare, giunta al bivio per Gonnosnò, una voce la fece trasalire. Lei era tranquilla, soprappensiero.

A su càstiu ses andendi Livetina” (stai andando alla vedetta?)

Sissi, tzia Teresa…” rispose, e come in preda a un incantesimo, e pensò «…Anca adessi andendi totu cuncodrada!» (chissà dove sta andando tutta vestita a festa!).

Proseguì macchinalmente fino al posto di guardia e là come se si fosse improvvisamente svegliata esclamò:

Ti arrori! Ma tzia Teresa TruduM’est atobiada ingunis in jossu, m’at saludadu, apustis est sighida a andai…” (Oddio! Ma signora Teresa Trudu… L’ho incontrata laggiù, mi ha salutato poi ha proseguito per la sua strada…)

Ma toca! T’as a isbagliai… De una diri est morta!” (Ma và! Ti sbagli di certo, è morta da un sacco di tempo!), le rispose il marito.

La storia di questa apparizione si diffuse per tutto il territorio e ancora oggi ve ne è memoria trasmessa tra generazioni.

Non vi furono gravissime conseguenze, la bisnonna sopravvisse una ventina d’anni all’episodio, forse anche più, tuttavia il fatto la segnò profondamente e sosteneva di provare dei brividi di freddo, come una sorta di paura, all’ora in cui avvenne la visione. Fu per lei molto impressionante anche perché non aveva assolutamente in mente quella donna.

Insomma, era stato l’UHHH dimenticato.

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19 Su contu de aiàia Livetina (61 – 3s – XII.XXI – 14.03 a) a 27.04.2021

SU CONTU DE IAIA LIVETTINA

Sa di’ fia chistionendi
cun tzia Teresa Trudu,
mi iat nau: “O Livettina,
candu morru, bengiu e ti fatzu UH!”
“Su mabagràbiu no at a fai!”
di ia nau deu atzicada,
agoa mi ndi fia scarescia,
fiat ingiogatzada.
Una di’ me in s’antzianidadi
m’agatau me in su satu
po ci potai su prangiu
a Santinu, ca fiat in su castiu.
Lompia a su biviu ‘e Gonnanò
una boxi mi ‘ndi fait pesai paris,
poita fia pentzendi incantada:
“A su castiu ses andendi Livettina?”
“Sissi, tzia Teresa…” coitai a nai,
“…anc’adessi andendi totu cuncodrada?”
Tenendi pressi sighii fintzas a susu
e innì comenti chi mi ndi fessi scidada:
“Ti arrori! Ma tzia Teresa Trudu…
m’est atobiada ingui in giossu,
m’at saludau, apustis est sighida a andai …”
“Ma toca! T’as a sbagliai … est mota”.
E de sa di’ m’intrat su frius
a sa matessi ora chi d’ia bida;
e fiat propriu issa, no dda fia pentzendi,
giai mi dd iat nau ca m’iat a ai fattu “UH!”

61 su contu

Vi narro di Livettina Cabras, come riferitomi da mia nonna, sua figlia. La Sardegna conserva molte storie di contadini e pastori; si tratta di racconti di terra, pregni di magia, incantesimi, arcani, che abbiamo vissuto da bambini vicino ai nostri avi. Nelle case antiche sentivamo la presenza delle loro anime, capaci di difenderci, di vezzeggiarci, di volerci bene. Quando abbattiamo una casa antica, anche un solo muro, cacciamo loro, il nostro Sangue.
Ho tanto caro il ricordo di questa bisnonna, sebbene l’abbia conosciuta solo attraverso le parole della mia nonna paterna. Questo fatto fece epoca all’inizio del secolo scorso nella nostra zona.
(XII.XXI-14.03 A)

Traduzione:
LA STORIA DI NONNA LIVETTINA
Quel giorno stavo parlando/ con signora Teresa Trudu/ che mi disse “Livettina,/ quando morirò, verrò da te e ti farò spaventare”./ “Non vorrà fare questo!”/ le dissi impaurita,/ poi me ne dimenticai,/ stava scherzando./
Un giorno, ormai anziana,/ mi trovavo in campagna/ per portare il pranzo a Santino (il marito, ndt)/ che era nel suo posto di guardia./ Giunta al bivio di Gonnosnò/ una voce mi fece trasalire,/ in quanto ero soprappensiero:/ “Livettina stai andando alla vedetta?”/ “Si, signora Teresa…” mi affrettai a dire,/  “…chissà dove sta andando tutta vestita a festa!?”/ Avendo fretta continuai a salire/ e là come se mi fossi svegliata:/ “Oddio! Ma signora Teresa Trudu…/ l’ho incontrata laggiù,/ mi ha salutato poi ha proseguito per la sua strada…”/ “Ma và! Ti sbagli di certo, è morta!”/
Da quel giorno avverto brividi di freddo/ alla stessa ora che la vidi;/ era proprio lei, neanche la pensavo,/ me lo aveva detto che mi avrebbe spaventato./

glossarietto:
mabagrabiu = spettro
ingiogatzada = giocherellona
castiu = capanna di guardiano campestre
arrori = disgrazia