UNA VIOLENZA

La parola violenza insieme a “poche” altre non vorrei neppure vederla scritta. In amore poi, meno che mai. Ma come accade per la comunicazione, a volte è necessario usarla per rendere l’idea.

Le cose finiscono” mi diceva recentemente June. Tutto dipende dalla filosofia che si adotta; in realtà nulla finisce, tutto si trasforma più o meno bene, più o meno in bene. Ma June è capace di dire queste cose carezzandoti, baciandoti, amandoti.

Quando si adottano sistemi differenti, quando non si ha neppure la maturità o la conoscenza della dolcezza, della tolleranza, della comprensione, tutto assume contorni diversi.

Figuriamoci per due adolescenti che remano sulla stessa barca in direzioni prevalentemente opposte. Sì perché è tutto un remare disordinato, che addirittura talvolta fa muovere l’imbarcazione di un metro avanti e due indietro: una confusione solenne.

Il dolore che può dare un amore disomogeneo o più che esso, il modo di concepirlo, di viverlo, è in certi casi lancinante, può privare di razionalità e di diverse altre capacità, poi il tempo lenisce, soprattutto se si ama la vita propria e altrui. Il tempo appiana perfino i contrasti talvolta, certo illude anche, provoca ricadute possibilmente peggiori.

Dov’era arrivato il film? Si era in pieno gioco assurdo.

Ginevra, trascorsi quasi due mesi, ha un piccolo ripensamento; smette il suo atteggiamento ostile, osserva che anche Graham si mostra disponibile al dialogo, benché siano evidenti i dislivelli emozionali. Lei si preoccupa, si informa, lo critica, ma segue un percorso razionale; lui cerca spiragli che sembrava impossibile immaginare.

Torna il saluto. E’ pace? Ginevra è un grillo parlante, non tiene nulla, esterna i rimproveri, ma dice anche troppo: stavo per venire nel tuo letto, ma tu un po’ mi attiri, un po’ mi fai paura.

Parole incomprensibili per Graham, il gioco è più grande di lui, non lo capisce, neppure lo vede. Scorge solo la possibilità che si è aperta per tornare insieme e persegue quella quasi convinto di riuscire nel suo intento e in realtà il successo si avvicina. C’era da vincere una sensibilità di cui lui ignorava l’esistenza e non si fida del ti farò sapere io quando me la sentirò, non si fida perché lo considera un pretesto, un tentativo di dilazione – chissà se lo era, in realtà me lo sono sentito dire tante volte e a memoria non ricordo che nessuna sia venuta a dirmi ora me la sento -.

Così insiste, il tira e molla è evidente, la lotta interiore pure, i pretesti che Graham dà per irritarla sono molteplici e ingenui, fino ad errori macroscopici. Forse davvero la pazienza poteva essere il mezzo più idoneo.

La nuova rottura è ancora peggiore, dispetti, insulti, fatti inenarrabili, ma questa volta sono stati superati i confini del superabile, del concepibile, del credibile. Lui è distrutto e non ha più nessuna voglia di vederla.

Questa sua seconda partenza è agli antipodi rispetto alla prima, quando due mani si sfiorarono per un tempo infinito fino all’ultimo lembo di unghia.

Sarebbe stato bello concludere così, ma non posso non registrare l’insofferenza del produttore, che conosce la vera storia e mi accusa di aver cosparso anche troppo miele su un racconto che avrebbe meritato ben altri fuochi d’artificio e perfino colpi di cannone.

Caro prod, ne è passata di acqua sotto i ponti da allora e dalla prima stesura in versi, e per fortuna c’è stato nel frattempo un fondamentale percorso umano, nonché una miriade di altre delusioni che farebbero impallidire la storia dolce e turbolenta di Ginevra e Graham.

54 unaviolenza

9 – Una violenza (Prima gioventù-IV) (44 – V – 14.9 a) – a 29.06.2020

POLITIQUE D’ABORT

Sia premesso che il libertario
non pondera il rapporto sessuale
dal destro di negarne il frutto.
(Non si può fare l’amore  
senza restarne intrisi)
Sia premesso che il libertario
non discrimina tra forme di vita,
specie quella della donna incinta.
(Dall’amore si può nascere,
ma non si deve morire).
L’aborto è un grave dramma umano
subito, suo malgrado, dalla madre,
sbaglia chi lo spaccia per un vizio.
(Le leggi non devono mai
vincolare le coscienze).
Quella donna è solo una vittima
della violenza sociale di stato;
Dio non sta ai vertici del potere!
(La legge è sempre arbitrio
nei confronti della libertà).

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Brano piuttosto rimaneggiato rispetto all’originale, nel tentativo di chiarire il più possibile dei concetti complessi, relativi a una questione che coinvolge profondamente (in qualsiasi modo la si voglia rigirare) la coscienza individuale. Per una completa comprensione trascrivo anche la prima versione che era intitolata semplicemente “Aborto”:
L’anarchico non uccide/ il frutto di un/ rapporto sessuale./ (Chi può fare l’amore/ senza provare affetto?)/
Il libertario/ protegge la vita/ della donna incinta./ (dall’amore nasce spesso/ un essere umano)./
L’aborto è un grave dramma/ subito dalla madre,/ voluto dalla borghesia./ (Le leggi non devono/ legare le coscienze)./
La donna è oppressa/ dalla violenza sociale;/ Dio non sta ai vertici dello stato./ (La legge è sempre arbitrio/ nei confronti della libertà)./
Scritto a Firenze all’età di vent’anni, ai margini del consesso degli Obiettori di coscienza (al servizio militare), in un contesto molto particolare… i sotterranei (che ospitavano una scuola) della St. James American Protestant Episcopal Church.
(VII – 6.1 Fi)

http://poeesie.myblog.it/media/00/00/1935958570.mp3

UNA VIOLENZA (prima gioventù – IV)

Pensarla con altri era infondato.
Chiede di me, mi ritiene immaturo.
Ispira i miei pensieri.
I miei occhi si fanno intransigenti,
le lacrime tornano sui suoi occhi.
Rispondo al suo saluto,
“Cos’è successo…”, è pace? Decreta:
l’attrazione mentale e fisica is over,
la mia facondia spaurirebbe le donne;
e io: ancora insieme, un viaggio…
“Verrò al tuo letto per averti”,
“Dovrei bere tre bicchieri di vino,
due giorni fa sarebbe bastato niente”.
Fallisco il tentativo di insidiarla
ma non è riluttante ai miei abbracci.
“Ti farò sapere quando me la sentirò”.
Non riesco a rispettarla:
“Non trattarmi come una puttana!”.
Come dogmi ha assunto le mie idee.
L’amore tenuto vivo dalle lettere:
“Hai smentito quell’immagine di te”.
Equivoca dissacrazione degli scritti.
Occhi splendidi, corpi a contatto,
morbidità conosciute, si abbandona;
mi trovo ad un passo dal successo,
poi “Arbeit macht frei” rovina tutto,
inusitata torna in lei la collera.
Overdose di espedienti!
Resa gelosa, per rappresaglia,
fa la licenziosa con chiunque.
Ricaduta nel litigio, tensione,
dolore, odio, la insulto con ira;
le urlo di non guardarmi più.
Follia, “giochiamo” a ignorarci,
poi mi parla, è misericordiosa,
in me voglia sadica di ferirla,
convinto inoltre a disprezzarla.
E’ cosciente di avermi annullato.
Gridi offensivi repressi dentro.
La sua partenza è un sollievo,
ma la gioventù non è finita…

54 unaviolenza

Ultimo atto (anche se non ultimo in assoluto) di questa storia che ha attraversato, quella che ho definito, la mia “prima gioventù”.
Avrei voluto cambiare il titolo, perché la parola “violenza” evoca fatti ben più gravi, ma l’incedere dei versi e l’aver vissuto quei momenti, non mi rende la situazione con un’altra espressione. Nessuno più di me è attento al vero significato delle parole, ma sono anche convinto che esse possano essere relativizzate in un contesto ben definito e dichiarato.
Tratto di un dolore atroce, a tratti acuto, come un sasso in faccia, che può essere servito ad attenuarne altri in età più matura. Comunque una profonda ferita, che il ricordo rende ancora viva e la cui cicatrice resta nella vita.
Anche questa parte è stata composta insieme alle due precedenti.
Il brano non ha subito modifiche sostanziali, eccetto qualche correzione letteraria e aggiustamento metrico. A questo proposito posso segnalare che il viaggio del verso 10, s’intendeva in Inghilterra e che il verso 33 indica profondo disprezzo, non facilmente esplicabile a parole. Il tempo e gli eventi hanno ovviamente modificato questa situazione.
(V – 14.9 A)

http://poeesie.myblog.it/media/00/00/1828899114.mp3

UNA MORTE DATA

Accadde quel giorno…
non tornò a casa,
il fatto preoccupò,
essendo insolito.
Trascorso del tempo
si segnalò la scomparsa,
temendo si trattasse
di sequestro o fuga,
che comunque occorse
contro sua volontà,
perciò certamente viveva smarrita,
come in un deserto.
L’accaduto mi colpì…
il suo aspetto era ingenuo
e credevo impossibile
che qualcuno potesse
farle del male;
attesi con ansia
notizie su di lei:
sarebbe stato bello
se fosse scappata
verso la libertà,
ma si parlava, distruggendo le speranze,
di un’eventuale morte.
Un giorno degli uomini
mentre erano a pesca,
trovarono un corpo
rigido, senza vita.
Vedendone il volto
è assurdo immaginare
una ragazza dolce
ora corpo esanime:
maledetta la violenza presente nel mondo,
gli istinti criminali.
Di fronte a casi simili
non bisogna illudersi
si tratti di incubi,
tristemente rimane
solo l’impegno al fine
di migliorare l’umanità:
una mesta utopia?
forse non cambieremo
e sarà da ipocriti piangere le sventure,
se stiamo a guardare.milena sutter,sequestro,ingenua,pescatori,dolce,violenza,incubo,studentessa,maggio,genova

Fatti di questo tipo purtroppo stanno diventando sempre più comuni, quello a cui si riferiscono i versi suscitò molto clamore ed è uno dei più noti.
Il brano originale, scritto a sedici anni, una dedica alla piccola Milena, simulava la narrazione da parte di un ipotetico coetaneo (di cui resta traccia nei versi riveduti); il titolo era Urano (requiem per lei), la forma quella della canzone, musicata e con il ritornello tormentone “come da te Urano”, scomparso nel nuovo testo.
Il brano dunque è stato oggetto di diverse modifiche, anche strutturali. L’originale faceva riferimenti precisi al fatto di cronaca, ma è più difficile spiegare le variazioni, che assumersi il coraggio di pubblicare il testo così come nacque:
Urano (requiem per lei)
Quel giorno di maggio [in origine: Quel giorno Milena]/ tardò a rientrare; [non rientrò affatto, ndt]/ ogni giorno alle cinque [le diciassette? five ‘o clock? ndt]/ la vedevo passare./ Dopo qualche tempo/ scattò l’allarme,/ “Scappata di casa o rapita?”/ erano le domande./ Senz’altro fu costretta/ e purtroppo per lei,/ viveva nel buio, nel silenzio, nel deserto,/ come da te Urano./
Temetti per lei/ perché il crimine è usuale; [primissima lezione era: perché l’amo]/ Gli amici, le amiche,/ tutti la cercavano./ Ma chi la portò via,/ al suo mondo ha pensato?/ Forse no! Ma allora/ è inumano e pazzo/ e siccome con loro/ non si può ragionare/ la tenne nel buio, nel freddo, nel pianto,/ come da te Urano./
Una notte degli uomini/ andarono a pescare/ e trovarono un corpo,/ rigido, ormai immortale./ Non l’avrei mai pensata/ senza vita, inerme, sfigurata/ e mi chiedo se può esistere/ un mostro che così l’abbia/ portata, nel buio, senz’aria, là in fondo,/ come da te Urano./
Inutilmente cerco/ di pensare che è in vita,/ oramai non mi rimane/ che ricordare./ Rimpiango che quel giorno/ non rimase in casa a sognare./ E’ impossibile sapere/ quel mostro in libertà/ e lei nel buio, nel silenzio, nel deserto,/ come da te Urano./
Accordi composti il giorno dopo la scrittura del testo:
LA-, DO LA (quattro volte per otto versi)
LA-, DO LA-
DO
MI- LA (come da te Urano).
(III- 8.7 A)