PARADISO (libertà)

Nella scrittura può capitare di parlare in tempi diversi degli stessi precisi fatti – nella fattispecie anche a distanza di anni -, evidentemente in termini differenti e che autore e lettore valuteranno per proprio conto. Argomento e protagonisti sono gli stessi del post precedente (contemporaneo a questo) e dunque di quelli là segnalati, cui rimando senza bisogno di ripetere alcunché.

La temporalità della scrittura rispetto alla pubblicazione è stravolta: sotto l’aspetto intimo ne scrissi dopo, ma in sede di rivisitazione prima; pertanto ora, nei “canti per Eva”, accade l’opposto: ne parlo dopo, mentre in origine ne scrissi prima. Non so cosa ciò possa cambiare, forse l’approccio, il punto di vista, tra il parlare di una donna, di una coppia e il parlare di se stessi nel medesimo ambito.

Capisco che sia un esordio intricato, ma è soprattutto un’annotazione per me stesso, un promemoria che mi permetta una comprensione tecnica della scrittura.

I nostri sono sempre Ginevra e Graham, come li ho chiamati in “Un delirio” e seguente. Il dialogo è diretto, didascalico, cronachistico, diaristico, a futura memoria… E’ lui che parla a lei, fa rivelazioni, racconta le sue sensazioni cercando di cogliere le sue reazioni, di farle ricordare quei momenti semplici che non armerebbero di penna nessuno scrittore, nessun poeta, non è chiaro se per troppa oggettiva banalità o per una soggettività irraggiungibile.

I “Momenti di un amore” in questo contesto sono la sintesi dei fondamenti della vicenda, mentre ora si divide in episodi, e siamo all’apice della passione. Difficile riportare su carta quelle sensazioni, quei sentimenti, o per dirla col Poeta “Il mio veder fu maggio che ‘l parlar mostra, ch’a tal vista cede, e cede la memoria a tanto oltraggio” (Comedia, Paradiso XXXIII, 55-57). Il titolo non è dunque casuale. Tanto è vera la citazione che, questo brano, salvo qualche accorgimento linguistico, è fedele alla prima stesura, quasi per religioso rispetto. Mi rendo conto di aver fatto ampiamente un commento che avrei dovuto evitare in questo genere di rilettura in prosa, ma tant’è.

Scritto in epoca di progressive music, il brano è concepito come una sorta di suite, dove la “musica” sono le parole stesse, vista la vastità (c’è ancora una seconda parte e il corpus contiene anche Inferno – alienazione transitoria e Purgatory – strumpet – di cui parleremo a tempo debito).

E’ risaputo che è più facile scrivere del dolore, che della felicità; del brutto più che del bello; del negativo piuttosto che del positivo…”: che ci piaccia più la descrizione della sofferenza, che della felicità?

Ginevra sostava da tempo nei suoi pensieri, ne fantasticava l’incontro, specie ora che erano entrambi in piena adolescenza; tuttavia per lui erano fantasie irrealizzabili, lei era stata sempre sfuggente, di approccio complicato, ma allora erano poco più che bambini. Ora, il fatto che lei volesse stargli palesemente vicino era spiazzante, troppo emozionante, parlavano, si divertivano, tendevano a stare soli, per cui anche gli amici diventavano un peso, specie quando per andare con loro dovevano separarsi, così non c’era festa che tenesse. Cercavano anche l’incontro mentale, il collegamento telepatico, finché la passione prevalse su tutto e non si staccarono quasi più prediligendo isolarsi; ciò per loro era il “paradiso”, il primo bacio e gli innumerevoli che seguirono nelle loro passeggiate solitarie in tutte le ore del giorno e della sera, in città e in campagna.

Quando Graham stava lontano da lei aveva i crampi allo stomaco, gli si bloccava la digestione, era inappetente, qualcosa di incredibile. Individuarono poi il loro “posto” dove accadevano le cose più fantasiose e ogni senso era coinvolto. Lui in particolare si avvaleva del tatto, che gli dava un piacere immenso e nuovo, mai sperimentato prima, almeno con quei risultati.

La giornata al mare fu il non plus ultra, paragonabile solo al primo bacio; insieme, soli, e lui che smaniava per appartarsi e finalmente così avvenne: tutto il pomeriggio in pineta ad amoreggiare in ogni modo lontano da sguardi indiscreti, due adolescenti che giocavano a fare i grandi, sorpresi di se stessi, ma determinati e insaziabili.

In una situazione la cui descrizione rende molto meno del vivere quei momenti, lui sentì il bisogno di chiedere di più, quasi fosse un obbligo, infatti era talmente sazio che non sarebbe andato oltre la richiesta; lei era controllata, conosceva il limite che non voleva superare, pose dei veti, benché fosse inutile: si erano praticamente sbranati per tutto il tempo e ne avevano i segni addosso, ne avevano ben donde di simulare normalità.

Chi gli stava vicino non risparmiò allusioni, tutto appariva chiaro e si cercò di allontanarli; qui si intravedevano i caratteri, lei che riusciva a simulare indifferenza e realismo, lui pieno d’angoscia e di paura di perderla.

Forse non avrebbero mai rinunciato a una giornata simile valutandone pure i rischi, tuttavia terminava il loro tempo di libertà assoluta e si ritrovarono sotto un più ferreo controllo dal quale potevano solo evadere.

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44 Paradiso (libertà) (18 – III – 18.9 a) a 30.5.2023

PARADISO (libertà)

Sappi che ho sempre atteso,

con ansia, il tuo arrivo.
Ricordando gli anni trascorsi,
non credevo al tuo esordio:
volevi stare insieme a me,
fuori, a parlare.
Contro voglia andai alla festa,
ma la mia mente restò con te;
al rientro baciai i tuoi “bei sogni”.
Gli amici capirono i nostri desideri,
ci ritrovammo soli;
di sera il preludio, poi fastidi,
quindi insieme in “paradiso”.
Star lontano da te era bere un veleno.
Nei pressi dei campi di pero
fuggivi la mia passione;
giù, nel ruscello,
non percepivo i tuoi pensieri.
Nascosti da un vallo di terra,
ci scaldammo le labbra
e un rumore ci bloccò.
Con le spalle al paese
i nostri corpi in perfetta fusione:
i cuori una caldaia rovente,
le bocche fumaioli tappati;
dopo il ristoro chinavi il capo:
non c’era niente di male!
il mio “cammino” tanto impetuoso
stavi su di me e ti dissetavo,
carezzavo la tua pelle morbida.
Quel mattino insieme al mare
c’era voglia di appartarci;
le mie “doti” metapsichiche
vidi sfumare in compagnia.
Stesi al sole giocavamo con i corpi,
le nostre membra chiedevano amore:
un “paradiso” poteva sfamarci.
Stesi ai piedi di un pino,
mimetizzati nell’abbraccio,
ti sfioravo con dolce furore.
Non c’è da chiedere perdono
per peccati di lussuria:
del celestiale era in noi!
la tua sincerità era palpabile,
non sognavo e non dormivo,
volevo solo amare.
Ti lasciai il mio segno.
Mutasti in bimba pudìca,
quando troppo pretesi:
sfuggivi al pulcino
rinato serpente,
col quale scambiavi
acido straziante e bollente.
Le rovine dei nostri templi:
labbra e corpi infuocati,
in un mondo che capì.
Con viva realtà, al ritorno,
simulammo normalità.
Subisti precise allusioni,
un tuo annuncio mi preoccupò:
il mio cuore pieno di angoscia
avrebbe potuto già perderti allora,
con i miei segni sul corpo e nell’anima.

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Il brano descrive l’apice della passione introdotta nel brano precedente. Difficile riportare su carta quelle sensazioni, quei sentimenti; per dirla col Poeta “il mio veder fu maggio che ‘l parlar mostra, ch’a tal vista cede, e cede la memoria a tanto oltraggio” (Comedia, Paradiso XXXIII, 55-57). Il titolo non è dunque casuale. Tanto è vera la citazione che, questo brano, salvo qualche opportuna correzione linguistica, è fedele all’originale, quasi per un religioso rispetto. E’ stato scritto poco più di un mese dopo il precedente, dunque sempre a sedici anni. Mi avvicinavo decisamente in quel periodo alla progressive music, per cui il brano è stato concepito come una sorta di suite, dove la “musica” sono le parole stesse, vista la vastità (c’è ancora una seconda parte e del corpus fanno parte anche Inferno – alienazione transitoria e Purgatory – strumpet, già pubblicati).
Mi sento di confermare (è risaputo) che è più facile scrivere del dolore, che della felicità; del brutto più che del bello; del negativo piuttosto che del positivo… Ovviamente c’è qualche grande eccezione: Dante, ad esempio, ha scritto un magnifico Paradiso; non so se i dotti dovessero attendere un Benigni per capirlo, considerato che la terza cantica della Comedia è stata sempre ritenuta la minore e così non è. “Ci sta” invece che ci piaccia di più la descrizione della sofferenza, anziché della felicità.
Quanto al mio lavoro, visto che descrive (poche settimane dopo l’evento) un momento straordinario che ho vissuto, può essere banale quanto volete, ma in questo caso specifico lo guardo come qualcosa da venerare.

(III – 18.9 A)

Music:
MI- … LA- … MI-
RE … LA- … RE
RE … MI- … LA
RE RE- LA- MI- (e si ripete…)
(III – 13.8 A)

ROMA

Non ti ho trovata, mi manchi,
sensazioni di estraniamento.
Grande folla al Vaticano:
quanto accade ricorda Gesù?
Libreria Uscita: non hanno
“L’iniziazione individualistica anarchica”.
Trattoria Paradiso, tranquilla…
sto ad osservare da un tavolo all’angolo,
francesi, normalità, camerieri;
nei due tavoli di fronte a me
vivo sotto certi aspetti
“Grand hotel” dei Procol Harum.
“E’ giusto…”, “La foto al Papa”,
“Il Papa attuale”, “E’ giusto…”.
Vecchi frequentatori del posto,
uno mangia golosamente, si rimpinza.
“Ti ricordi quella parte del Vangelo?
Come!? non ti ricordi?”.
La cenere della mia sigaretta
dentro un vaso di fiori.
Ristorante pagano, ti fai anche pagare caro!
Atmosfera creata dal vino?
Verità di “Roma” di Fellini!
quel che rimane, si diceva stamattina.
Piazza Farnese: c’è la vecchia del gatto.
Ragazzo vicino, non farti prendere dalla paranoia:
ride improvvisamente, si alza, non ha pace,
non cadere nella trappola mortale.
C’è anche il vecchio del cane:
i compagni di piazza Farnese.
roma, vaticano, gesù, libreria uscita, paradiso, procol harum, vangelo, fellini, quel che rimane, farnese

Di ritorno da Londra mi fermai a Roma. Il giorno descritto, particolare per la città e per il Vaticano, lasciai il gruppo varesotto conosciuto in ostello e seguii un preciso itinerario.
Il vinello della trattoria Paradiso (ormai chiusa), ebbe funzione ispiratrice; così, raggiunta la grande piazza, sedetti su una panca di pietra di Palazzo Farnese, sulla sinistra, e scrissi questo brano.
Esso ricalca lo stato d’animo di allora, malinconico, indignato, deluso… e scrivere, dando spazio al sarcasmo, mi restituì un po’ di serenità.
(X – 12.8 Roma)