Pronuncio il tuo nome sillabando
ché duri a lungo come “serenella”,
sol basti per cadere in estasi
nel tiremmolla del gioco assurdo.
Incrociando il tuo sguardo, persisto,
intensamente esplicito che voglio,
lo chino solo per mirar il seno
i cui frutti cremosi non disdegno.
Mi struggo per la tua carne sfiorita
con qualche segno e crespa tra mollezze.
Offri baci celati, occhi dolci.
Potrei scrivere giocoassurdo, tanto è univoca e chiara per me questa situazione, che riconosco e definisco tale ogni volta che ritorna. Come è vero che ognuno di noi ha un proprio linguaggio, propri campi semantici che estende e restringe in base a tante variabili esclusive, proprie di una sola persona.
Dico questo perché non so se nell’introdurre il concetto renderò esattamente la mia idea, anche perché per me il fenomeno è abbastanza ricorrente e mi stupisco sempre, come davanti a un dejà vu.
Il giocoassurdo è come un romanzo, lo puoi vivere in prima persona, o essere osservatore esterno; può anche essere piacevole, intrigante, allora si può coltivare, prendere a piccole dosi, senza fretta. Ma come negare che spesso è stressante e deludente, evanescente, snervante… soprattutto se non evolve positivamente e resta assurdo.
Anche questo brano ha origine da ispirazione onirica mattutina.
(XIX.XXXII – 31.10 A)