Il tema del viaggio ha innumerevoli sfaccettature dunque può essere affrontato in altrettanti modi. Non ho viaggiato troppo per i miei gusti, ma abbastanza per affrontare diversi aspetti del tema. Vivendo in un’isola e non amando il volo, la nave è stato uno dei prevalenti mezzi di trasporto dei miei viaggi e potrei descriverne tanti.
Partirei da un concetto generale: la differenza tra il viaggio e la vacanza, o almeno quali aspetti contenga il viaggio della vacanza e la vacanza del viaggio. Difficile compendiare tutto in poche righe, è più semplice scegliere una tipologia e svilupparla, anche perché si parla di aspetti per lo più soggettivi.
Il viaggio può ben essere il percorso da un punto verso una meta, ma più che il percorso grezzo, qualsiasi aspetto possa caratterizzarlo dal suo inizio alla fine. In questo senso un’esperienza di viaggio può anche essere spostarsi dalla propria residenza per pochi chilometri e con qualsiasi mezzo, perfino a piedi, come un viandante. In qualsiasi modo sia, ognuno potrebbe avere la possibilità di stendere un resoconto più o meno lungo anche di un viaggio minimo, perché ad ogni passo, ad ogni sguardo, si avrà certamente tanto da osservare. Ecco, vorrei dire che questo è il viaggio, più che l’essere meramente trasportato. Oggettivamente non è una grande scoperta, ma è utile per fissare il proprio punto di vista.
Dei tanti viaggi in nave gli aneddoti si sprecano: la prima volta in assoluto, al termine della Scuola Media, dovetti combattere con il mare mosso e il conseguente mal di mare, che riuscii a dominare dopo qualche altro viaggio, stando supino ed evitando di mangiare. Gli approdi consueti – a parte quelli sardi – sono stati Civitavecchia e Genova; un po’ meno Napoli, ma ho avuto occasione di conoscere anche i porti di Livorno, Palermo, Ancona, Bonifacio, Dover, Calais, Igoumenitsa e soprattutto Patrasso, nonché porti della laguna veneta e lacustri, insieme a ciò che certamente mi sfugge.
I ricordi un po’ strani sono tanti, considerato che i miei viaggi non sono mai o quasi prenotati. Una volta arrivai al porto e presi la nave al volo, era il periodo degli attentati di Daesh e in quell’occasione vicino al posto che scelsi sul ponte per passare la notte, si riunirono a pregare una quindicina di arabi nelle loro tipiche vesti e figure; sotto l’effetto della suggestione, trascorsi dei brutti momenti finché il rito non finì e si dileguarono. Mi viene anche in mente la traversata con Patrizia, collega di studi, quando passammo la notte in fondo a una scaletta stretta che terminava su una porta chiusa a chiave. Memorabile la traversata della Manica contenuta in un passaggio autostop Parigi – Londra. O il ritorno dalla Grecia, in primavera inoltrata, trascorsi la notte in poltrona con l’aria condizionata a palla, sembrava di essere in un freezer. Non posso dimenticare i viaggi in cui del tutto casualmente incontrai delle amiche e le situazioni particolari che ne conseguirono. Ci sono poi tanti viaggi in solitaria in cui non è successo nulla, a parte lo spostamento da un porto a un altro.
Detto questo, si può tranquillamente stravolgere tutto e sognarlo il viaggio, entrare nella dimensione “trip” con un sogno volontario, una fantasia, e non mancherebbero gli esempi già scritti, suonati e cantati.
La nave non è ben definita, privata, pubblica, ci si sta in compagnia con una chitarra che la fa da padrona e soprattutto fa un gran casino, in certi frangenti gradito alle nostre orecchie, magari non troppo ad altre, comunque attira certamente l’attenzione, sorrisi o riprovazione.
Il suonatore è quello che trae il maggior beneficio, in sintonia con il viaggio, con il moto dell’imbarcazione, in una fusione sensazioni che contemplano perfino le sue dita che scorrono sul manico tra tasti e corde e l’altra mano che strimpella sulla buca del corpo dello strumento, come in un rituale nirvanico che lo fa sentire libero e leggero, tra suono e acqua, ove la mente si immerge e gli pare sentire la pompa distorta di Sgt Pepper’s lonely hearts club band insieme al surreale strumentale di A day in the life.
E come in quest’ultima s’interrompe repentinamente la musica, il cantante si blocca e apostrofa il chitarrista, tra l’esclamativo e l’interrogativo “Ma che cazzo stai suonando!?” e fa un gran danno perché interrompe l’evasione, i pensieri, l’ispirazione psichedelica, in sostanza interrompe il sogno e la verità effettuale.
Da questa fantasia istantanea nasce una canto sillabato alla maniera di Demetrio Stratos (ex Ribelli, ex Area), scomparso prematuramente il 13 giugno 1979:
QUE-sta CAN-zo-n’è TROP-po RU-mo-ro-sa
PER non PO-ter AT-ti-rar l’AT-ten-zio-ne,
LE mie DI-ta SCOR-ron SUL-la CHI-tar-ra
LI-ii-ii-ii-BE-ee-RA-aa-aa-MEN-te. (…)
È il sogno di un viaggio mai avvenuto, forse desiderato, perché talvolta il sogno parte da una smania, ma si trasforma e parte per la tangente. Sogno di un’altra epoca…
Suonando sulla nave (37 – V – 7.4 ca) a 23.01.2022