I COME FROM BUDAPEST

E’ possibile superare il personale senso del pudore? E’ un problema che andrebbe analizzato, magari anche risparmiando Freud. Il problema è sì personale, ma anche molto politico, e se vogliamo, insieme, sociale. Ho sempre rifiutato le annose censure che tiravano in ballo il comune senso del pudore: nessuno è obbligato a vedere, leggere, ascoltare, qualcosa che lo disturbi; si informa prima o al limite se ne va. La faccenda è che chi tirava in ballo questa locuzione reggeva benissimo i contenuti rappresentati, ma non accettava che potessero avere una diffusione popolare e interveniva con richieste censorie soprattutto per il gusto di amplificare le proprie prurigini oscene. C’è una vasta letteratura e cinematografia in proposito. Sembrerebbe un argomento superato da lustri, ma invece la censura fa di nuovo capolino e molto a sproposito.

Ma l’incipit non ha nulla a che fare con queste storie del passato, riguarda esclusivamente il pudore personale, qualcosa che può spingersi fino all’autocensura o meno, a giudizi di opportunità complessi e differenti, che possono variare in base alle persone eventualmente coinvolte, al grado di conoscenza e intimità: dunque evidentemente prendono in considerazione il giudizio degli altri, altra espressione sovente oggetto di contrasto. Eppure tale giudizio non può avere alcuna importanza se non per le persone a noi care o che ci interessano a vario titolo, le uniche cui potremmo dare tranquillamente spiegazioni. Ben inteso, ciò è fattibile, se ce ne fosse bisogno, anche verso un pubblico “altro” e non polemico, o almeno dove l’eventuale polemica non superi il rispetto e non sia pregiudiziale.

Questo prologo è forse eccessivo rispetto a contenuti che voglio affrontare e ho già affrontato, eppure i tempi presenti ci stanno abituando a mettere le mani avanti, perché l’esercizio del voler intendere una cosa per l’altra, è uno dei più diffusi. Siamo al doversi districare tra prudenza e azzardo, specie se l’equilibrio non paga…

L’estate è ormai giunta al suo canto del cigno. A Trieste di sera cala il fresco e oggi si è alzato anche un forte vento, il treno per Budapest partirà alle 23,30 dal binario 7; intorno ci sono già vari gruppi di persone, il più folto è composto prevalentemente da ragazze e il nostro viandante incrocia immediatamente lo sguardo di Ghina e ciò si ripete e si ripete. Lei è una ragazza rumena, torna a casa dopo una trasferta in Francia, il suo gruppo viaggia in treno, evidentemente a tappe. E’ carina, ma si distingue rispetto alle altre per l’essere la più espansiva, vivace e spigliata, una leader in qualche modo, ma sa essere anche riflessiva, attenta.

Al momento di salire in vettura lei e Tony, apparentemente inavvertitamente si urtano leggermente, lei dice subito “Sorry!”, ma l’imprudenza è stata di lui, che infatti farfuglia qualcosa in una lingua probabilmente inesistente e non fa a meno di elaborare l’episodio come un pretesto per attaccare discorso, almeno vorrebbe…

In treno, guarda caso, lei gli sta di fronte… la fissa con insistenza, come per una sorta di capriccio; lei non sta ferma, fa dei giri sul treno, si spinge a commentare quegli sguardi con esclamazioni monosillabiche di misteriosa interpretazione, una sorta di presa d’atto dell’interesse destato, tuttavia non trovano modo di rompere il ghiaccio; lui anzi, forse per rivalsa, attacca discorso con una Croata, molto scandalizzata perché il suo paese non è stato ancora accolto nella UE, specie quando apprende che invece è già dentro l’Ungheria e la Romania sta per esserlo. Il dialogo è una cartina di tornasole importante per Tony che si fa un’idea delle rivalità popolari negli stati dell’est. La ragazza però scende a Zagabria. Il treno sostanzialmente si svuota, ma il gruppo rumeno movimenta la serata e Ghina è una di quelle che richiama l’ordine. Quando è ormai tardi si siede nello scompartimento alle spalle del ragazzo, che può vederla perché nella penombra i vetri del portabagagli fungono da specchio: è sola e pare cerchi di dormire, lui veglia, ma poi si addormenta. Al primo risveglio notturno se la ritrova accanto, è un segno troppo evidente perché possa ancora temporeggiare… “Sa o Roma, daje, daje, oro khelena daje…”.

Poco dopo l’alba il treno attraversa boschi e il lago Balaton, lei è già via, “confusion”… La vede appena a Keleti che confabula con un’amica… Ricorda un episodio accaduto a Parigi anni prima, ma lei era bolognese. Ci riflette, pensa esista davvero un linguaggio non eloquente a lui sconosciuto, come i famosi “tempi del libero amore”: capita di trovarsi in situazioni arcinote, ma che a qualche protagonista sfugge fossero così precisamente attestate.

………………………….

A Budapest è una giornata di sole, ma soffia un venticello gelido che ghiaccia gola e polmoni… Tony ha il treno alle 17,20 per rientrare a casa. Trova un’atmosfera diversa rispetto all’andata; è pieno di italiani questa volta, un caos di bagagli e biciclette, il suo posto è occupato, si sistema altrove.

Davanti ha una ragazza ungherese, tipo Ilona Staller agli esordi, attrice, ancora senza coroncina, capelli neri, occhi azzurri, seno esplosivo contenuto in un tight bra e lunghe gambe. Si chiama Csilla, è curiosa, sola, molto espressiva e altrettanto riservata. Si guardano costantemente, si sorridono pure, complici rispetto al baccano terribile della carrozza, che la rende anche scomoda; lei è gentile, comunica per lo più con lo sguardo. Lui vuole capire se scenderà presto o se è diretta addirittura in Italia, allora glielo chiede in inglese, lei risponde secca “Niet”… Gli viene il dubbio che sia russa o che l’espressione si usi anche in Ungheria. Ma il suo tono è scoraggiante, lo intimidisce e tace. Mangia disinvolta un panino e fa una telefonata, l’unica parola che egli coglie è “ziya” (termine comune a molte lingue slave)… Sta andando a trovare una zia?

(Solo molti anni dopo elaborerà un’idea sul carattere comune delle ragazze dell’est in base alla sua esperienza: esse, in genere molto belle, mostrano un costante sorriso che le fa apparire dolci, e lo sono, ma insieme possiedono una innata determinazione – che può incupirle o meno a seconda delle situazioni – e non mancano di mostrarla, anche con il sorriso, nelle situazioni che ritengono necessarie, come una sorta di propedeutica genetica all’autodifesa).

Si convince che scenderà in Ungheria, allora osa, la invita a sedersi al suo fianco (“Come here”), lei si alza e acconsente… Incredibile! Ha l’impulso di pizzicarsi… Nagykanizsa è quasi al confine.

100 I come from budapest

I come from Budapest (96 – XXII.XXXVIII – 9.9 fonyod) a 21-24.3.2022

I COME FROM BUDAPESTultima modifica: 2022-03-30T15:25:41+02:00da thewasteland
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