FOLGORAZIONE

 

Non ho il voicetape con me al momento,

me ne servirebbe uno senza pile,

pratico, empeefour compatible, per

registrare pensieri in movimento

o almeno la realtà persistente

dei colori che diffonde il tramonto

nella mia autobahn verso Sardara.

Questo assiduo illuminarmi d’immenso,

questo sfondo che vorrei eternare

in più quadri nel mio cortometraggio,

ch’ è un patrimonio da non smarrire.

Ciclici viaggi, ricorrenti flashback,

stessa moto in corsa verso il mare

e tralicci di legno che scorrono,

germinali, d’un paesaggio d’infanzia.

E oggi il frastuono della risacca,

desiderio della voce orgasmica,

frammenti di carezze, i feticci.

 

Scrivi MP4, compatible, movimento, autobahn, m’illumino d’immenso, cortometraggio, flashback, tralicci, germinale, feticcitag 

Ci sono fenomeni della natura indescrivibili, dunque bisogna essere capaci di andare oltre le parole, semplice ausilio per l’immaginazione o per il ricordo, visto che nonostante tutto non si può registrare il pensiero e neppure la realtà, ma solo tentare di farlo con una molteplicità di espressioni.

Essere per strada, alla guida, al tramonto, in un lungo rettilineo e trovarsi di fronte a uno spettacolo di luce e colori, folgoranti per la vista e per lo spirito, tali da provocare un’emozione sconvolgente e il rammarico di non possedere l’inesistente voicetape, video dedicato, per registrare la meraviglia destinata a svanire a momenti.

In questo splendore di inizio estate un normale cavalcavia in lontananza acquista la nobiltà di un arco di trionfo.

Il ricordo di questo evento, descritto il giorno dopo davanti a un mare limpido, evoca altre immagini del passato e del presente.

Ulteriore brano in endecasillabi sciolti con un richiamo evidente, altri meno… e un’autocitazione (vedi Infanzia).

(XXV.XLI – 26.6 Arbo)

‘NDO CAZZO STA GEMONIO?

Su l’adrenalina fin da Gemonio
sulle orme vaghe dell’antica schiatta.
Lavinia, la dolce, pari a Beatrice,
mi conduce in un eden di verde,
un ambiente da fiaba, oneirikòs,
con eco di ruscello per musica.
Un cielo di nubi rassicuranti
osserva il mio cammino verso Azzio.
Il nostro popolo torna ancora qui
dopo un secolo e un’altra metà,
mi biasimate Tumas, Giuvananton?
Che emozione sostare nella chiesa
il cui suolo potreste aver calcato;
giri intensi tra le viuzze del borgo
scrutando angoli del paese antico
a voi noti o perfino posseduti.
Vecchie case sulla collina cinta
dall’altipiano, bosco e prato ovunque.
Quattro generazioni hanno taciuto,
é stato arduo aprire squarci di luce;
basta stare sotto lo stesso cielo
e respira’ l’istess aria valcuvian.

gemonio, adrenalina, lavinia, beatrice, eden, azzio, altopiano, varesotto, valcuvia, valceresio

Fin da bambino ho saputo che un ramo della mia famiglia non era sardo, ma proveniva dal continente. Quando capitava, se ne parlava sempre in modo vago, direi impreciso.
Molti anni fa approfondii le poche notizie che avevo e scoprii che quel ramo materno era varesotto. Ero stato nella zona solo tre anni prima, inconsapevole.
Cinque anni fa mi recai in Valcuvia deciso a saperne di più, non trovai nulla; idem lo scorso anno, benché diversi atti fossero piuttosto chiari, come ho potuto verificare ancora di recente. Il rapporto dei miei antenati con quella valle deve dunque ancora essere chiarito, forse un passaggio temporaneo…
Solo pochi giorni fa ho scoperto che il paese d’origine è un altro (o probabilmente sono più di uno), sempre nel varesotto, ma in una valle attigua, la Valceresio.
Ciò non sminuisce le emozioni provate in Valcuvia, che ho descritto per quanto possibile in questi endecasillabi sciolti, ma è solo la premessa per viverne delle altre.
Discorso a parte merita il titolo del brano. Mi è capitato di dare ad articoli titoli sibillini dal difficile accostamento al contenuto, non ricordo ciò sia avvenuto per dei versi.
Il titolo di questo brano è frutto di un aneddoto per me irresistibile, quanto apparentemente insignificante, che si è imposto nell’incertezza del titolo da dare.
Quando feci sapere a un’amica varesotta, premiata poetessa, che mi recavo in Valcuvia e citai Gemonio, stazione ferroviaria nord, lei chiese, non a me, “…’Ndo cazzo sta Gemonio?”
La situazione mi parve così paradossale, divertente e per tutta una serie di notazioni, anche politiche, geniale, che non potevo non valorizzarla.
(XXIV.XL – 7.9 Azzio)

PORTO PISTIS

Misteri di rocce, come illusione          
svaniscono, quasi il mare fosse
lo schermo di un gioco elettronico.
Sabbie d’oro socie di antichi assalti,
allora gaia celia, oggi rimpianti.
Acque testimoni di tentazioni
estreme, di trasgressivo sollazzo.
Prenda guarnita di torre spagnola,
meta di oscuri corsari moreschi.
Distesa di memoria, materiale
diario non scritto che scandisce il tempo
trascorso, rendendolo tangibile.
Convegni adolescenziali mancati,
presunte sicurezze conquistate
e giovanili desideri elusi…
Già chioccia, or solo consolatore.

porto, arbus, mistero, schermo, compact disc, prenda, spagna, corsari, saraceni, trance

Ancora una volta osservo il mare, il mio porto consolatore, con la sua storia, con la mia storia che rivive su quelle sabbie, evanescenze, volti, gesti, echi di un ieri perenne. Una magia che si ripete ed è come se la natura ne fosse il motore.
Endecasillabi sciolti di nuovo, ma questa volta composti in staticità, quasi in trance, di fronte al mio mare.
(XXIV.XL – 2.9 Arbu)

MOLO 18

Cesso di giacere su fine rena
in fondo al litorale ventiquattro,
batto riva verso il molo diciotto,
quaranta minuti tra passo e corsa.
Macino metri sul molle selciato,
il piede ora tiene, ora affonda
sopra tratti di banquettes Posidonia.
Ala Birdi, oasi linda e selvaggia,
spugne in fuoco, apparizioni bislacche,
plastica, piccoli oggetti di mare.
E là, isola di donne assortite,
riverse su approssimativa sabbia,
topless da lumare innanzi alla meta
ove il paesaggio è appena nuovo.
L’inconscio rievoca, volgo, rimiro,
l’attenzione s’è fatta compiacenza,
mi nutre il sorriso della sovrana,
m’avesse onorato di cattura!
Strenna è la suddita implume, acerba
e lattea che amoreggia alla meglio,
par promuovere risorse del loco,
con olive, sublime sauce béchamel.   

molo18.jpg

Penso a quando Henry Miller, che aveva in mente una commedia nei minimi particolari, sosteneva non la si potesse scrivere, ma solo rappresentare.
Questi endecasillabi sciolti, poi scritti (non ho ancora appurato cosa fece Miller della sua commedia), composti lo stesso giorno di Nausicaa, nello stesso mare, si formarono in moto, ovverossia in cammino e corsa attraverso chilometri di spiaggia in parte curata e frequentata da bagnanti e in parte abbandonata alla conformazione creata dalle mareggiate.
Di lido in lido mutava il tipo di bagnanti, solitari, turisti, gruppi locali, fino a quella sorta di bagno quasi completamente femminile in prossimità del molo 18, la sabbia quasi terra, vaghe impressioni di paesaggio omerico, e allora…
(XXIV.XL – 25.6b Arbo)