SINTESI

Il dibattito sulla poesia è affare da iniziati, intendo dire che non si tratta di una discussione che coinvolge le masse; forse un tempo si diceva qualcosa del genere, ma anche allora era una forzatura. Tuttavia, seppure in ambiti ristretti, si ragiona sull’argomento, sulle tematiche più varie. Mi viene in mente ad esempio la questione dell’ispirazione, di quanto possa essere ridicolo che qualcuno si sieda a tavolino a scrivere versi, d’emblé, così, senza che ci sia stato un preventivo impulso… E peggio sarebbe se un poeta già affermato scrivesse per contratto. Penso la stessa cosa per la prosa, figuriamoci per i versi.

Dato per scontato che un poeta o un versificatore (si tratta di una dizione più schiva) compongano solo in preda al sacro estro, talvolta la tenzone verte sui periodi più o meno lunghi di non scrittura. Perché accade?

Non ho intenzione di esercitarmi in una lunga tesi sull’argomento tutt’al più mi produrrò, appunto, in una sintesi non distante dalla mia esperienza.

Un troubadour scrive di più quando è felice, sereno, tranquillo o quando è triste, inquieto, agitato; o preferibilmente, in quale dei due casi esprime il meglio di se?

Forse deluderò le aspettative più pruriginose, ma non credo esistano delle leggi matematiche su una tale disputa, propenderei per il fattore soggettivo.

Per quando mi riguarda è capitato che in anni di intensa felicità non abbia scritto più versi, verosimilmente perché non avevo neanche il tempo per sedermi, peraltro in altri anni felici, relativamente, forse perché avevo il tempo per sedermi a scrivere, ho invece composto parecchio.

La stessa cosa è successa in anni bui, in un caso ho scritto tanto, adesso – perché ditemi se questi non sono anni foschi – sto scrivendo ben poco.

Di due periodi così opposti, magari, ci si rende conto in una zona neutra, in un momento in cui non vanno bene le cose, ma sono forti le speranze, ed è dunque il momento per fare una sintesi, o meglio, di elaborare la sintesi.

E questa su cosa verte? certamente l’elaborazione di un vecchio testo, scritto in un contesto differente è condizionato dal presente… Hai voglia di voler essere fedele, obiettivo, il testo sarà necessariamente tradito, in tutti i sensi. Il pensiero vagherà tra i bei momenti vissuti nel passato più o meno recente, un po’ arbitro dei diversi momenti felici, quelli più vivi si mischieranno con quelli più datati, che però saranno assimilati alla realtà che si sta vivendo, alla costruzione di una nuova felicità.

Si richiamano amori passati, li si abbina, li si paragona e si fa appena cenno alle nuove aspettative proiettate in un futuro che si immagina prossimo; si trascurano invece gli aspetti dolorosi, ormai andati.

In uno stato felice, ove l’unico residuo di versi è una sintesi, si afferma la volontà di essere sempre lo stesso, quello dello spirito avventuroso e impegnato che guarda avanti, ma tiene sempre conto dell’insegnamento del passato.

La sintesi, sperduta tra appunti e altri versi dimenticati, si palesa certo in un momento di cambiamento; la beffa può anche essere quella della scrittura in un momento felice e del ritrovamento in un altro tutt’altro che tale. Segna comunque una svolta nella versificazione, perché nel frattempo di cose ne sono successe, tutto il futuro che si ipotizzava è già avvenuto, il momento felice  è già andato… Un altro si affaccia all’orizzonte, ma non è semplice…

Mi viene in qualche modo in soccorso un libro che sto leggendo, che ho appena iniziato, e come per tutti i libri di un certo impegno sono necessarie un tot di pagine per entrare in sintonia con l’autore. Un paragone azzardato in realtà; lì si parla del ritrovamento dell’imbarcazione in cui naufragò san Paolo, a Capo Murro di Porco, nei pressi di Siracusa, nello Ionio… Qui invece si tratta semplicemente del ritrovamento di una bozza dopo miseri cinque lustri, nozze, figli, laurea… e primi tentativi di riscatto, partendo magari da ipotesi quasi impossibili, ma i migliori interpreti del sessantotto (spero non sia troppo sottile) sono quelli che erano stati troppo piccoli per farlo.

sintesi

10 – Sintesi (59 – XI.XVI – 23.10 a) – a 29.07.2020

UNA VIOLENZA

La parola violenza insieme a “poche” altre non vorrei neppure vederla scritta. In amore poi, meno che mai. Ma come accade per la comunicazione, a volte è necessario usarla per rendere l’idea.

Le cose finiscono” mi diceva recentemente June. Tutto dipende dalla filosofia che si adotta; in realtà nulla finisce, tutto si trasforma più o meno bene, più o meno in bene. Ma June è capace di dire queste cose carezzandoti, baciandoti, amandoti.

Quando si adottano sistemi differenti, quando non si ha neppure la maturità o la conoscenza della dolcezza, della tolleranza, della comprensione, tutto assume contorni diversi.

Figuriamoci per due adolescenti che remano sulla stessa barca in direzioni prevalentemente opposte. Sì perché è tutto un remare disordinato, che addirittura talvolta fa muovere l’imbarcazione di un metro avanti e due indietro: una confusione solenne.

Il dolore che può dare un amore disomogeneo o più che esso, il modo di concepirlo, di viverlo, è in certi casi lancinante, può privare di razionalità e di diverse altre capacità, poi il tempo lenisce, soprattutto se si ama la vita propria e altrui. Il tempo appiana perfino i contrasti talvolta, certo illude anche, provoca ricadute possibilmente peggiori.

Dov’era arrivato il film? Si era in pieno gioco assurdo.

Ginevra, trascorsi quasi due mesi, ha un piccolo ripensamento; smette il suo atteggiamento ostile, osserva che anche Graham si mostra disponibile al dialogo, benché siano evidenti i dislivelli emozionali. Lei si preoccupa, si informa, lo critica, ma segue un percorso razionale; lui cerca spiragli che sembrava impossibile immaginare.

Torna il saluto. E’ pace? Ginevra è un grillo parlante, non tiene nulla, esterna i rimproveri, ma dice anche troppo: stavo per venire nel tuo letto, ma tu un po’ mi attiri, un po’ mi fai paura.

Parole incomprensibili per Graham, il gioco è più grande di lui, non lo capisce, neppure lo vede. Scorge solo la possibilità che si è aperta per tornare insieme e persegue quella quasi convinto di riuscire nel suo intento e in realtà il successo si avvicina. C’era da vincere una sensibilità di cui lui ignorava l’esistenza e non si fida del ti farò sapere io quando me la sentirò, non si fida perché lo considera un pretesto, un tentativo di dilazione – chissà se lo era, in realtà me lo sono sentito dire tante volte e a memoria non ricordo che nessuna sia venuta a dirmi ora me la sento -.

Così insiste, il tira e molla è evidente, la lotta interiore pure, i pretesti che Graham dà per irritarla sono molteplici e ingenui, fino ad errori macroscopici. Forse davvero la pazienza poteva essere il mezzo più idoneo.

La nuova rottura è ancora peggiore, dispetti, insulti, fatti inenarrabili, ma questa volta sono stati superati i confini del superabile, del concepibile, del credibile. Lui è distrutto e non ha più nessuna voglia di vederla.

Questa sua seconda partenza è agli antipodi rispetto alla prima, quando due mani si sfiorarono per un tempo infinito fino all’ultimo lembo di unghia.

Sarebbe stato bello concludere così, ma non posso non registrare l’insofferenza del produttore, che conosce la vera storia e mi accusa di aver cosparso anche troppo miele su un racconto che avrebbe meritato ben altri fuochi d’artificio e perfino colpi di cannone.

Caro prod, ne è passata di acqua sotto i ponti da allora e dalla prima stesura in versi, e per fortuna c’è stato nel frattempo un fondamentale percorso umano, nonché una miriade di altre delusioni che farebbero impallidire la storia dolce e turbolenta di Ginevra e Graham.

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9 – Una violenza (Prima gioventù-IV) (44 – V – 14.9 a) – a 29.06.2020

UN DELIRIO

Ho appena terminato la lettura di Villette di Charlotte Brontë. Inutile dire cosa ne penso, considerato che ormai sono un fanatico delle tre sorelle; ma non faccio questa citazione per inoltrarmi in una recensione fuori tema, né il mio carattere, per certi versi opposto a quello di Lucy Snowe (tuttavia personaggio amabilissimo), mi consente di adottarne la filosofia, eppure in questa circostanza può almeno dare l’idea di uno stato d’animo.

Forse le sofferenze più acute sono quelle adolescenziali, se non altro perché ci colgono impreparati e cominciano a demolire i sogni di cui siamo pregni fino all’orlo. Le delusioni amorose, e la rima è naturale, sono tra le più dolorose.

Lei, il dolce amore, se ne va! e non come “il nord” di Bossi, che non è mai andato da nessuna parte. Perlomeno comincia ad andarsene, come la Brexit, un abbandono lento, amaro, non troppo drastico… Mica siamo in un film di Quentin Tarantino.

Pertanto si insinua abbastanza l’idea dell’abbandono, ma non si dichiara esplicitamente, lasciando che dolore e speranza coesistano almeno per un po’, ma poi siccome la via è segnata, prevale il senso di distruzione.

E qui nasce davvero il film. Un film con due registi, che non è neppure impossibile, ci sono fior di capolavori, dai fratelli Taviani a Beyond the Clouds di Michelangelo Antonioni e Wim Wenders. Ma, direbbe un compagno romano di lotte radicali, “stanno a fa’ er gioco assurdo”.

Bene, scriviamo la sceneggiatura, o almeno una bozza.

Visto che ho citato Charlotte, ambientiamolo in un paesino del Labassecour nel caldo agosto. Anche li fa caldo. Sui titoli, una stanza buia; la camera indugia, grazie ai raggi di sole che penetrano, su un letto. Sono le undici del mattino circa. Un ragazzo di circa 18 anni si alza… fine dei titoli. Fa un caldo boia, ma soffia il maestrale. Graham spalanca la finestra e raggiunge la toilette, fa colazione, all’improvviso una porta sbatte, è quella della sua camera, il vetro incorniciato nella porta si è frantumato, un po’ è caduto, l’altro è in pezzi, pendente. Fa per toglierlo e una sorta di falce appuntita gli cade sul polso della mano destra, sotto il pollice. Si spaventa perché perde sangue, sta male. Due punti di sutura…

E’ un periodo boia perché Ginevra lo ha lasciato, piove sul bagnato. Lui è distrutto e non certo per l’incidente del vetro.

Quando lei torna si vedono, ma lei non è tenera; è più esplicita, lo respinge, è convinta che si sia fatto male di proposito e questo lo indispone.

Avendo amici in comune si incontrano ancora, lui la ignora, lei parla di lui pubblicamente e questo lo fa andare in bestia. Quando gli chiedono dell’incidente, risponde lei: “Non è niente, una venuzza”.

Questo comportamento della ragazza non fa che esacerbare i rapporti, benché l’ostilità di Graham sia di facciata, una sorta di odio/amore, o meglio di commedia nella quale le ha tolto la parola, e pure lo sguardo, ma è evidente che la cerca e vuole riaprire una sorta di dialogo. Per il momento è un dialogo muto e ostile.

Si ritrovano al mare, ancora in gruppo. Lei si mostra contrariata, è evidente che avrebbe voluto che non ci fosse. Lui provoca un chiarimento, ma lei piange, senza dare spiegazioni. Eppure, forse scossa dal suo comportamento, prosegue a lanciare frecciate indirette. E’ una sorta di partita a scacchi, o se preferite di “gioco assurdo” che si trascina per settimane: quando lui snobba lei provoca, se lui dà segni di cedimento, lo snobba lei; poi lumano, lei tenta una pace-resa, ne nasce una incomprensione reciproca colma di equivoci, che verranno rivelati solo in tempi successivi, giusto per ingigantire il contrasto.

Riprendono a parlarsi, più o meno a monosillabi, non dispensandosi accuse, una sorta di corteggiamento tira e molla, con luci e ombre, speranze e disillusioni, per di più con dichiarazioni tardive: “Mi stavi riconquistando, ma poi hai commesso un errore”.

Czz, e che era un esame di idoneità!?

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8 – Un delirio (Prima gioventù- III) (43 – V – 14.9 a) – a 29.05.2020

DOLCE AMORE

Il tempo procede, la nostra vita tranne rari casi è pianificata. Anche un giovane adolescente ha la sua scuola, le sue vacanze, i suoi tempi di studio e di “svago”, la sua estate. Quasi ogni giornata si svolge sotto determinati ritmi, movimenti e comportamenti.

Gli amori giovanili spezzano in qualche modo questa routine, se sono davvero tali; diventano nella nostra vita degli elementi destabilizzanti e catturano tutta l’attenzione su di essi, per cui, che so, hai davanti un libro di storia, ma stai sognando ad occhi aperti una avventura con lei, che magari è lontana e hai solo questa modalità per viverla.

Diverso tempo fa (forse c’è ancora nell’incasinamento globale della vita odierna – extra covid s’intende) c’era il cliché dell’amore stagionale, solitamente estivo. Una sua caratteristica, specie per i più giovani, figuriamoci per gli adolescenti, era “giurarsi” amore eterno e comunque mantenere in qualche modo i contatti.

Oggi è facilissimo con i telefonini, le @mail e le varie amplificazioni tecnologiche di essi; questa tecnologia è però intervenuta solo alla fine del secolo scorso, alla fine degli anni Novanta, prima (in tempi non preistorici) ci si affidava alle lettere, neppure al telefono, perché non garantiva la privacy o la tranquillità necessaria per esprimere certi concetti. Nelle lettere si scriveva di tutto e di più, al telefono a volte l’emozione non faceva spiccicare due parole sensate, ma era il festival dei monosillabi.

Ma non tutti i rapporti che nascevano intorno ai sedici anni erano riconducibili al cliché accennato, alcuni erano amori e passioni struggenti, tenuti in vita dalla loro stessa natura.

Poi lei ritorna, è passato del tempo, anche troppo; i comportamenti sono diversi, non c’è omologazione in questo, entra in gioco il proprio carattere in via di formazione, ma in parte già assestato e ci accompagnerà per il resto della vita.

Rispetto a quando è avvenuto il distacco fisico sono accadute delle cose, alcune anche imbarazzanti, dunque emerge un po’ di paura, di chiusura. Non desideravi altro che questo momento e ora sei come freezato; per fortuna l’incontro avviene e lo sblocco è incoraggiante, tutto è in continuità, come se tempo non ne fosse passato, e come allora c’è solo lei, non c’è altro che abbia senso, che meriti attenzione.

Il racconto dei mesi di lontananza, qualche ombra che non trova spazio e si dissolve immediatamente, si fanno valutazioni importanti e anche qualche imprudenza che causa un allontanamento non messo in conto. La storia a un certo punto allarga il suo orizzonte e inquadra un mondo oltre te e lei, un mondo anche minuscolo cui quella favola non va proprio bene.

Si entra così in un’altra dimensione, dover fare le cose di nascosto, organizzare incontri clandestini, tutto si complica, ma l’amore è talmente sfacciato che sfida le difficoltà e riesce a trovare spazi per momenti incredibili.

Eppure tra le varie discontinuità della vita c’è anche quella che una coppia, per quanto di adolescenti, è appunto formata da due persone diverse, da due teste diverse, da due cuori diversi, per quanto forse quelli siano la minore dissomiglianza…

Ecco, il mondo che si oppone, a tratti duramente, comincia a fare breccia e qualcosa si rompe.

Quando accade ciò è doloroso per entrambi, qualunque sia la parte che vuole chiudere e quella che non si capacita di cosa stia accadendo.

In questi casi c’è sempre una parte determinata, “lucida” nel suo delirio e nella sua sofferenza, che non ha più presente soltanto quell’amore, ma tanta altra vita; mentre l’altra parte è come colpita da un dramma così immenso che perde qualsiasi possibilità di ragionare, salvo sapere solo anni dopo che magari il mantenimento di una qualche capacità razionale avrebbe forse potuto salvare il salvabile. Altri noti e penosi cliché

52 dolce amore

7 – Dolce amore (Prima gioventù-II) (42 – V – 14.9 a) – a 29.04.2020

PRIMA GIOVENTÙ

La questione si pone di nuovo: dove finisce l’adolescenza e inizia la giovinezza…?

Tutto sommato non penso sia un problema che debba porsi un trovatore di versi o anche di prosa, tuttavia c’è certamente un’età nella quale esse camminano di pari passo, o meglio, il caso è del tutto soggettivo.

Personalmente, all’epoca, ritenevo che l’adolescenza terminasse più o meno con la maggiore età, forse anche prima… Oggi, ma l’ho già scritto altrove, per una sorta di opportunismo di nessun valore, ritengo che l’adolescenza vada (anno più, anno meno) dagli 11 ai 20 anni. Come età conclusiva sono in linea con la “scienza”, la quale posticipa notevolmente l’inizio.

Questo ragionamento, che può anche essere marginale, vale poco per i diretti interessati. Provate a dire a un diciottenne che è adolescente…

Torno pertanto a me stesso, che credo di non essermi mai posto il problema adolescenziale, considerandomi un giovane, almeno fin dall’inizio delle scuole superiori. Ma siamo sempre nel campo dell’interesse rispetto a ciò che si vuole fare, pensare, ottenere.

Quasi tutti i ragazzi e le ragazze vogliono diventare presto adulti per fare, secondo loro, quello che vogliono. Anche ciò è molto relativo perché dipende da famiglia a famiglia, dalla libertà di azione che viene data.

Ecco che allora, per risolvere il dilemma, ho elaborato l’espressione “prima gioventù” comprendendovi i sedici anni.

In quel tempo molte ragazze, ma anche ragazzi, avevano storie fin dai dodici anni, sicuramente dai quattordici (c’è stato un significativo regresso in questo senso, e forse persiste ancora oggi, ma non credo si possa fare un discorso troppo generale), a sedici anni si era un poco in ritardo e questo pesava parecchio.

Ma qui può sorgere un altro rompicapo: cosa significa avere una storia a quella età, è un problema di rapporti fisici o anche un fattore di tempeste ormonali, tra il sentimentale e lo psicologico? Capisco che si tratta di faccende diverse, ma anche precedentemente al primo bacio o (nella migliore delle ipotesi) al primo rapporto, possono esserci stati amori e approcci intimi di diversa natura, dall’amore platonico ma intenso, struggente, a situazioni più fisiche, ma meno sentimentali e solamente passionali, legate al desiderio. Un grande bailamme da valutare comunque soggettivamente.

Penso e in parte spero, che nessuno si sia mai sognato di elaborare dei teoremi psico-matematici sul tema.

Potremo stare allora al senso comune, a ciò che segna il salto verso un traguardo certamente atteso: il primo bacio.

… E dopo questo, la prima relazione, i primi distacchi, le prime sofferenze e tutta una serie di nuove consapevolezze, che viste oggi si collocano in quella parte della pubertà che è crescita sotto il profilo psicologico-sentimentale, oltre che fisico, ma poco più avanti, anche ideologico, tanto che nella mia esperienza personale, l’adolescenza avanzata, ha segnato la costruzione delle mie idee, mantenute fino a oggi, pur arricchendosi di contenuti ed esperienza, marcando certamente ogni altro aspetto della vita.

prima gioventù

6 – Prima gioventù (41 – V – 14.9 a) – a 26.03.2020

ADOLESCENZA

Tema delicato questo. Finché si pensa a noi stessi bambini, lo sguardo può essere relativamente distaccato, non come si trattasse di un’altra persona, ma in parte; non è così per un adolescente, che è autore della costruzione del proprio io.

Devo però passare immediatamente alla prima persona singolare, in quanto è bene non dimenticare che il discorso è intimo, personale.

Trattare della propria adolescenza, quando per diversi aspetti ci si sente o si vorrebbe essere ancora adolescenti, non è molto condivisibile, tuttavia è un periodo della vita che ha una propria costante resistenziale, ergo, ogni tanto mi capita di incontrare persone, donne perfino, che sul tema la pensano come me.

Sarà perché la mia adolescenza – almeno ne ho questa percezione – è stata normale, non il guazzabuglio di problemi e sofferenze di cui parlano centinaia di pubblicazioni, anche se mi rendo conto che non è così per tutti e se il mio ricordo è tale, devo ammettere di essere stato relativamente fortunato; relativamente, perché certamente pur non essendo stato un periodo regale e di massima felicità, in qualche modo non è stato traumatico, posso ricordare episodi negativi o felici, come in ogni altro momento della vita.

Certo molto dipende da come una persona si approccia all’età, se si vive aspettando le difficoltà e addirittura coltivandole o se anche in mezzo ad esse si è talmente positivi dal volerle superare il giorno dopo.

Detto questo ricordo benissimo che in quegli anni mi ponevo il problema delle opportunità non attuabili per ragioni di età, ma è un discorso che si ripete costantemente in qualsiasi epoca della propria vita, per cui da adulti si può rimpiangere il periodo adolescenziale, specie quello più avanzato, quando si cominciava a combinare qualcosa con le ragazze, tanto lì si casca! Sarà per questo che da un po’, il periodo dell’adolescenza viene spinto sempre più in là, anche intorno ai venti anni? Vi è certamente in questo anche un aspetto psicologico, nel senso che più è avanti il tempo adolescenziale e più si spinge avanti anche quello giovanile, mandando l’età del senio alle calende greche…

Una delle maggiori seccature per me adolescente era quando mi sentivo trattato come un bambino… “Eh, il bambino…” e peggio, quando palesemente la mia presenza era considerata sconveniente da ragazze di appena tre anni in più, anch’esse adolescenti… sapete, le prendevano in giro perché frequentavano bambini. Che poi io ero cotto delle varie amiche di mia zia, assolutamente out age, minimo dieci anni più di me.

Non solo però, le mie prime arrischiate avances di neo adolescente furono per una ragazza di appena un anno in più e anche per qualche coetanea o quasi, e la mia smania di farmi avanti veniva puntualmente messa alla berlina dal loro modo di fare più smaliziato e ostentato sfacciatamente, a cui corrispondevano i miei rossori e la volontà di sparire…

Ma l’adolescenza è un’era geologica vera e propria, un semestre equivale a un decennio, per cui in poco tempo ci si emancipa e ci si vendica delle brutte figure esibendo le proprie conquiste, i propri amori finalmente realizzati.

Si tratta di un periodo meraviglioso anche per l’assoluta novità delle esperienze, la scuola superiore, i primi viaggi da soli in città lontane, non tutto rose e fiori quando comunque si deve sottostare alle regole ferree degli adulti, ma nel ricordo questi inconvenienti spariscono e resta solo il bello, il positivo; e l’incontro con la politica, le prime penfriend, la poesia, la filosofia, la scrittura, la lettura, la formazione delle proprie idee, la militanza, l’emancipazione, la scoperta del libertarismo, del valore della disobbedienza.

Trattiamo di un decennio in cui gli avvenimenti, la crescita individuale, sono talmente intensi e produttivi, che forse non basteranno altri cinquanta anni a realizzare qualcosa di simile, peraltro da adulto, i miei riferimenti partono tutti ancora da lì, la vita è un continuo sviluppo di quanto si è creato nell’adolescenza, almeno per me che allora mi sono creato una visione del mondo che è tuttora base delle mie idee e del mio percorso sociale e culturale.

adolescenza

5 – adolescenza (40 – V – 28.8 a) – a 21.02.2020

ILLUSIONE, DUBBIO, VERITÀ

Riflettere sulla scrittura proprio mentre ci si accinge a scrivere. Non sto a fare casistiche visto che non devo scrivere un testo di critica o di metodologia. Capita ora, per tutta una serie di considerazioni che si concatenano, ultima quella che un testo si può iniziare in svariati modi, ma poi si inizia in un modo.

La riflessione originaria verteva sul fatto che possono esserci autori a due estremi: quelli che scrivono testi imbarazzanti e non se ne curano, quelli che invece se ne preoccupano. In mezzo ci sono una miriade di variabili, tra le quali possiamo citare, chi si inquieta al punto di non pubblicare un testo, chi lo pubblica con tutta una serie di remore, chi non si tormenta, ma fino a un certo punto.

Può anche accadere che si scriva un testo, si pubblichi, ma si faccia di tutto affinché i cenni veritieri che contiene, più o meno espliciti, siano nascosti alle persone interessate; dato che ormai nessuno beve più che “il libro è frutto della fantasia dell’autore e ogni riferimento a fatti reali è da considerarsi puramente casuale”. Non basta, può succedere che un testo ritenuto un tempo imbarazzante, si consideri successivamente spendibile e, se lo si era rimaneggiato per renderlo il più possibile ermetico, si torni poi a una versione vicina all’originale ritenendola migliore.

Questo non significa che gli scrittori siano una banda di psicopatici, ma certo non si ha sempre a che fare con il mero flusso di coscienza; la scrittura pone problematiche durante la creazione e pure nella rilettura, e non solo questioni linguistiche.

É evidente che ho in mente un caso del genere, in realtà più di uno, non solo mio, ma posso occuparmi fino a un certo punto dell’altrui scrittura, specie se mi si contrappone l’aut aut che, prevalentemente chi scrive inventa, fantastica, prescinde dalla realtà.

Eppure non sono un assolutista, uno che crede di avere sempre ragione a scapito delle altrui tesi; è vero, penso che una poesia, un racconto o un romanzo, per parlare delle forme di scrittura meno complesse, non possano mai trascurare la realtà vissuta, perfino le favole e diffido dell’eventuale mera invenzione, in quanto non avrà solide basi, neanche se fosse fantascienza… Basta confrontare la “fantascienza” di cinquanta anni fa con quella contemporanea per comprendere il concetto. Tuttavia, per portare avanti un’analisi, sono disposto a rinunciare alle mie profonde convinzioni per rispetto di chi non la pensa allo stesso modo, ma non basta affermare un concetto, occorre discuterlo, sviscerarlo, e in ogni caso e per fortuna, la felicità non dipende dall’esito di questi ragionamenti.

Quali strumenti hai tu, adolescente “di periferia” (come sono stato apostrofato recentemente; ne rido, ma non troppo, perché se il rapporto città-campagna è mutato rispetto a quando era sociologicamente in auge, ammetto che i gap persistono su molti aspetti – non tutto si può fare con i media e con i telefonini) per elaborare sull’amore, fosse anche solo sull’infatuazione o sulle tempeste ormonali?

Hai un sacco di strumenti, che se sei capace puoi rendere adeguati, efficaci. Due occhi con cui vedere la bellezza e intercettare la sensualità, la femminilità, quel qualcosa di misterioso, delicato e sconvolgente che non appartiene all’universo maschile. Gli occhi dominano gli altri sensi, la percezione del profumo della pelle, lo struggimento che causa un contatto anche casuale, la delizia di udire una voce aggraziata, la voglia di assaggiare…

E tu che leggi, scrivi, pensi, sogni, che contieni gli istinti bestiali, se non hai l’agorà, elabori nel giardino, nel frutteto, nel cortile, in compagnia del sole, respirando l’aria pura della campagna. Non hai potuto scegliere dove nascere, hai anche tardato a realizzare la relazione svantaggi-benefici tra città e campagna, nel senso che poteva pure andare il salto, ma crescendo crescono le esigenze, si conosce la città con i suoi pregi e difetti, insomma non è tutto bene bene o male male.

Non voglio farla troppo lunga, anche perché l’argomento è elementare. La società è più complessa del nostro piacere, dei nostri sogni, delle nostre esigenze, solo per tenerci ristretti all’ambito in cui siamo nati e vissuti, senza bisogno di arrivare a tematiche capitalistiche, un tempo inimmaginabili, come la globalizzazione.

Arriva il momento in cui il mondo ideale dove ha cominciato a crescere il fanciullo e l’adolescente, comincia a sfaldarsi: qualcuno studia in città, qualcuno inizia a lavorare, emigra addirittura… e quando si torna si trova la rivoluzione, la necessità di farsi nuove amicizie, che non saranno generalmente mai salde come le prime… Insomma, fine della vita facile, la dicotomia non è più solo città e campagna, ma maschio e femmina e via dicendo… Le coetanee non ti si filano più e quelle più piccole hanno un mondo che ancora non puoi capire, talvolta ci prendi, ma il più delle volte ti freghi da solo, per dirla semplicemente con un concetto sviluppabile ed evitare di finire nel labirinto.

41 illusione

4 – illusione, dubbio, verità (23 – IV – 3.1 a) – a 24.01.2020

FANCIULLEZZA

I periodi in cui siamo stati bambini non hanno dei confini ben definiti, vi sono vari step non uguali per tutti: cominciare a camminare (scapai a pei, in sardo), iniziare a parlare, frequentare la prima scuola ed entrare in contatto con gli altri bambini… poi c’è un salto maggiore, quello della Scuola elementare (oggi primaria), dove incomincia un modo diverso di rapportarsi con i compagni e con gli adulti, un primo ingresso in società, le prime responsabilità.

In questo tempo che io ho voluto definire fanciullezza, denominando infanzia quello precedente, la coscienza di se si fa più nitida e anche i ricordi diventano più saldi. Non vi sono confini precisi, ma in linea di massima sono cinque anni per ciascun periodo, una vita per un bambino e anche per un adulto che ripensa a se bambino, almeno per me è così… La percezione di uno scorrere lento del tempo e un’intensità degli avvenimenti cospicua. Essi ritornano secondo la nostra volontà e le nostre scelte mnemoniche.

E’ chiaro che non si può esaurire l’argomento sulla propria infanzia e fanciullezza in poche righe; a esservi interessati sopra altri argomenti si potrebbero scrivere volumi, ma ognuno di noi si crea delle priorità, pure sulla scrittura, anch’esse non hanno limiti ben definiti e mutano con il tempo.

Come impressione, devo dire che dedico parecchio tempo dei miei pensieri a quell’età, non di meno ad altre fasi della mia vita, ma intendo dire che non escludo quel periodo e ci torno spesso con i ricordi, con le immagini, con considerazioni particolari e a volte con un confronto tra i riflessioni espresse in altri momenti, una sorta di ricerca non scritta.

Queste riflessioni hanno l’unica ragione di tornare su un argomento già trattato, appunto, senza pretendere di esaurire l’argomento, che altrimenti non avrebbe mai fine.

Non avendo la pretesa di un approccio di carattere scientifico alla materia, basandomi prevalentemente sulla mia sola esperienza, devo osservare che chi riflette su quel bambino (me stesso), non è un bimbo, ma un adulto, lo dico perché a volte può avvenire una sorta di sdoppiamento come se a pensare fosse l’io di allora.

In altri tempi forse sono stato anche troppo “severo” sul me piccino, non parlo di comportamenti, ma di consapevolezze o che so io. Inutile peraltro cercare nel bambino che sono stato germi dell’adulto formatosi e che sono, avendo la pretesa, una volta giunto in età matura (dopo l’adolescenza) di aver mantenuto, pur maturando, le stesse idee.

Come premessa è anche troppo lunga, sì, perché le idee fanno ressa e non possono essere considerare tutte.

Opterei per esaminare due aspetti: qualche fatto essenziale e dirimente rispetto alla formazione e strane elucubrazioni pseudo filosofiche, tipo “mondo di Sofia”.

Nel momento in cui dovetti iniziare la Scuola Elementare, mio padre fu trasferito dal paese di origine della famiglia, in un altro a una ventina di km., così lasciammo casa nostra per andare a vivere in un altro luogo, e là iniziai e conclusi le elementari. Penso sempre a cosa poteva cambiare se avessi continuato a stare nel mio paese natale. Non penso sia una riflessione banale, visto che tornato a casa, in sostanza avevo per due volte cambiato le mie conoscenze, gli amici, gli incontri…

Il mio primo giorno di scuola non fu ordinario, piazzai un casino, perché ritenevo di potermi scegliere io il maestro; non fu un atteggiamento arrogante, ma disperato, perché mi separavano dagli amici fino ad allora conosciuti.

Se devo essere sommario, passavo il tempo tra giochi con gli amici (calcio, bici, battaglie…), lettura di fumetti, compiti (immagino, non è il ricordo più presente), tv e a un certo punto, in un primo iniziale interesse per la scrittura e le canzoni.

Anche il cinema divenne un appuntamento settimanale… Mi sono rimasti impressi i film più sconvolgenti, dove accadevano cose tristi e in particolare, film “storici” con riti funerari degli antichi egizi (durante quelle scene chinavo il capo per tutto il tempo).

Fin da allora iniziò un’occupazione che non mi ha mai abbandonato, la fantasia. Mi creavo delle avventure e pretendevo di sognarle, in una sorta di mistura tra onirico e reale: un treno (forse mio?), battaglie campestri o altri avvenimenti, anche scolastici, risceneggiati a mio piacimento, immedesimazione con gli eroi dei fumetti, fino a immaginare di essere un alieno o che tutti fossero alieni tranne me…

La radio, più della TV, era una fucina di espressioni suggestive che si imprimevano in mente, nomi di stati, di capi di stato, africani o dell’America latina, ma anche Europei, dell’URSS e dell’estremo oriente…

Fatti che poi inevitabilmente davano luogo a riflessioni, riprese in età adulta, ma meno criticamente, anzi è curioso come si possano formare delle catene apparentemente senza logica, come ad esempio dalla paura degli antichi egizi a un interesse particolare per l’argomento, intercalato da vari episodi.

La fanciullezza non più miraggio ma sorgente di nuove consapevolezze.

33 fanciullezza

3 – fanciullezza (33 – IV – 30.12 a) – a 30.12.2019

INFANZIA

Pensare all’infanzia, almeno per me, è come pensare a un’eternità fa. La mente si perde nei ricordi, ingarbuglia i tempi e se vogliamo gli spazi… Mi viene in mente quella volta che all’età di sei anni andai a Nuoro con mia madre, viaggio epocale, avventuroso, da solo già un romanzo, molti i ricordi e le immagini tenuti a mente, tanti anche i flash per i quali si è resa e si rende necessaria una ricostruzione.

Allora vivevo in un paese in cui c’era il treno, il cui fischio accompagnava le giornate e soprattutto le notti, già questa era una grande novità. Una piccola stazione lungo la linea Cagliari-Sassari.

Forse fu anche uno dei miei primi viaggi in treno, qualcosa di fantastico. Il piccolo mondo relativo tra casa e Nuoro, dopo qualche giro di rotaia, magicamente si espandeva, diventava qualcosa di epico. Allora era necessario raggiungere Macomer con le Ferrovie dello stato, poi lì c’era un’altra linea ferroviaria, non pubblica, che portava a Nuoro (lo chiamavano “il trenino”).

L’immagine più vivida (a parte quando infilai le dita nella presa di corrente in casa di tzia Gratziedda) che mi è sempre rimasta di questo viaggio, è un campanile, una forma orientaleggiante che neppure a metà del viaggio mi induceva a riflettere sullo spazio percorso, su quale paese sconosciuto e sorprendente stessimo viaggiando.

Per anni ho pensato a questo paesaggio da mille e una notte, per concludere, già in gioventù, che si trattava del campanile della Cattedrale di Oristano, con il suo cupolino a cipolla rivestito in maiolica multicolore, di epoca bizantina, il quale visto e rivisto da adolescente e successivamente, non mi fece mai l’effetto di quella prima volta.

L’infanzia non è solo questo, ma anche questo. I ricordi si spingono anche a tempi precedenti, fino a perdersi in sensazioni nebulose che neppure la visione di foto dell’epoca rende nitide. Eppure la mente ha catturato visioni e storie non fotografate, che semplicemente appartenevano alla vita comune di tutti i giorni e per un bambino potevano avere caratteristiche singolari, come la scoperta dei servi pastore che dormivano nelle stuoie sui tavoli o per terra, nella casa/locanda sui generis in cui i miei genitori avevano in affitto una stanza, lavorando mio padre in un paese che non era il nostro.

Ero allora molto piccolo, intorno ai tre anni e la padrona di casa era “diventata” la mia terza “nonna”, così la chiamavo.

Né mi è possibile dimenticare nello stesso periodo, l’immagine è molto nitida, quando con mio padre scivolammo con la vespa (o la moto), su un mucchio di ghiaia sistemato lungo la strada fangosa che ci riportava a casa, in pieno temporale.

Il nostro era un pendolarismo quasi quasi quotidiano, la nostra casa, quella ove nacqui, stava a soli sei chilometri da dove mio padre doveva dimorare per il controllo delle linee elettriche.

A questo proposito un’altra delle immagini che mi sono rimaste impresse in età inferiore ai sei anni, è la teoria di pali elettrici che accompagnava me e mio padre quando andavamo al mare in moto… Per non parlare dell’equivoco sulla Resistenza alle elementari o il significato dell’oscura frase “ispezionare la linea”…

Nel nostro paese, oltre alla casa, stavano i nonni e i tanti zii. Dunque i flash si incrociano prescindendo da una precisa cronologia.

Che non fossero tempi di “globalizzazione” (riguardo agli aspetti più sconvenienti e alle attenzioni al limite dell’ossessione) si capisce dal fatto che mia madre – quando avevo circa quattro anni, forse non in età d’asilo o in qualche giorno di assenza -, mi lasciava inginocchiato su una sedia con gli scuri della porta di ingresso aperti per andare a fare la spesa; io stavo là fermo, con lo sguardo fisso al cancello del medico, il cui lungo viale conduceva direttamente al centro – evitando più lunghi percorsi – e mia madre mi trovava esattamente come mi aveva lasciato. Non so quante volte possa essere accaduto, ma di una ho il preciso ricordo, del momento preparatorio e della sistemazione per la “visione”.

Più drammatico è il ricordo di uno dei miei primi ingressi in Cattedrale, o almeno il primo che io ricordi, forse era il periodo di Natale, ero molto piccolo perché qualcuno/a mi prese in braccio… Sentii che le donne dicevano (forse in riferimento alle apparizioni di Fàtima, ma io intesi che era accaduto lì e allora) di una prossima fine del mondo; la suggestione di quel luogo, tra leoni di marmo, presepe e tutto il contesto, mi mise una paura tale che iniziai a piangere disperato, senza pausa … Così ai tempi della Madonna pellegrina, avevo una gran paura e chiesi a mia madre di non portarla a casa…

A rifletterci, specie tra i 5 e i 10 anni si potrebbero ricordare delle cose bellissime, in realtà ci sono e numerose, ma fanno da contorno perché considerate normalità; purtroppo, anche se in numero minore, ci segnano i ricordi negativi, le paure, che poi ci terranno compagnia inconsciamente o meno per tutta la vita.

infanzia

2 – infanzia (32 – IV – 28.12 a) – a 27.11.2019

UNA NASCITA

Cosa potrà pensare un adolescente della propria nascita, un momento di cui saremo sempre inconsapevoli, ma nello stesso tempo il momento fondamentale della nostra vita?

Potrà ricostruire qualche immagine in base al racconto fortuito dei genitori o di qualcun altro che ha assistito all’evento, poi gratificare del racconto l’amore del momento.

Lo ho sempre considerato un momento intimo, su cui avrei voluto forse speculare, ma non ho mai osato chiedere più di tanto, se non chi era presente in casa, le nonne, qualche vicina…

Un tempo, almeno nelle località in cui non c’era un ospedale, si nasceva in casa, nella propria casa, con l’assistenza di un’ostetrica, era certamente un evento più tradizionale, che coinvolgeva l’intera famiglia, con tutte le conseguenze che poteva comportare, dal punto di vista di rilevare o meno dei problemi anche lievi, ma risolvibili, che so, una displasia, un ittero… Non intendo certo fare l’apologia della nascita a domicilio, almeno se non si ha la possibilità di essere assistiti a dovere. Eppure c’è stato per qualche tempo il rimpianto per la nascita in casa, se non per il parto in se, per il fatto di dover nascere fuori dal proprio comune di origine, motivo d’orgoglio che in passato ha causato anche delle prese di posizione…

Qui in Sardegna lo scrittore Gavino Ledda contestò per lungo tempo la norma dello Stato civile che impediva di dichiarare nato nel comune di residenza dei genitori, il bambino che nasceva di fatto in un ospedale. La norma è stata leggermente modificata, ma solo in senso burocratico, di fatto non cambia la sostanza (l’atto si registra nel comune di residenza, ma si indica il comune del parto).

Potrebbe aprirsi qui il lungo discorso del concepimento, che nel medioevo a Firenze contava l’età di una persona da quel momento (a conceptione) piuttosto che dalla nascita, ai fini del luogo da indicare nell’atto… Certo si aprirebbero scenari anche comici. Eppure, c’è qualcosa di un po’ assurdo nel sapere che, ad esempio, nella nostra provincia, i bambini sono tutti nati in soli tre comuni, è un obbrobrio dal punto di vista culturale.

Senza tornare agli usi fiorentini, certamente si potrebbe considerare la residenza dei genitori, tenuto conto che al nono mese sei comunque compiuta/o anche dentro il grembo materno. Un’altra soluzione potrebbe essere quella di accompagnare il luogo di nascita a quello di origine.

Oggi i bambini nascono quasi tutti negli ospedali, ma questa scelta è stata graduale, forse per oltre un decennio presumibilmente cessato negli anni Ottanta, qualche madre ha scelto il parto a domicilio, così molto raro oggi.

Ci si fa prendere la mano con questi discorsi, ma esiste anche l’etica e la cultura, oggi si parla solo di soldi…

E’ bene che una persona trovi momenti per riflettere anche sull’esistenza – si spera sempre in senso positivo e sereno -, che si preoccupi di questo suo “mistero”: che se sei stato concepito a gennaio, hai probabilità di nascere a ottobre, magari alle tre di notte e di sabato. Riflettere magari sulla situazione intorno a se mentre si veniva al mondo, che poi è una delle cose più “facilmente” ricostruibili.

7 una nascita

1 – Una nascita (7 – II – 23.10 s) – a 31.10.2019