‘TENDI ITA T’ATZORODDU

Senti cosa elucubro

L’errore, per quanto veniale, di uno che scrive è essere condizionato dal pensiero di un altro che leggerà quello scritto; non è un teorema, ma sul tema si sono esercitati fior di scrittori. Qui penso che il titolo stesso tradisca questo pensiero…

Elucubrare rivolto a se stessi, è sminuire qualcosa che si pensa non sia elevatissimo, non tanto nella forma, piuttosto nel contenuto.

A distanza di tempo la propria scrittura, se ha un poco di valore, diviene accettabile, non sempre ovviamente, c’è anche quella che deve essere resa tale, o quasi, semplicemente per una ragione documentale.

Il tema dei nonni, dell’amore per i nonni (termine con il quale comprendo tutti gli avi, almeno quelli in linea diretta), l’ho ampiamente sdoganato, credo di aver detto molto in proposito, non certo tutto.

Abbiamo visto dei brani corali e altri dedicati a un solo avo o a pochi. Il brano corale, specie se primitivo, o per meglio dire iniziale, non può prescindere dalla stima per la propria schiatta, è un rendere omaggio alla progenie della quale la storia non parla; essa tace perché non erano nobili, padroni, potenti, “eroi” o saggi studiosi… Si parla ovviamente della storia événementielle (Annales), quella che si studiava sui libri di testo, almeno fino a un recente passato, che privilegiava le vicende  dei capi di stato, dei Re e delle loro guerre, ma quella – come giustamente scriveva Tolstoj -, non è la storia dell’umanità, è la storia – forse neanche, perché contraffatta a seconda di chi la racconta – di quelle persone, al più di quelle poche famiglie: la storia di pochi contro quella della moltitudine, molto più complessa e quasi impossibile da raccontare nella sua totalità; così ci si ripara nella convenzione, nell’utilità di alcuni potenti, anche se sta emergendo un nuovo modo di scrivere la storia, che è quello delle società, delle genti, delle masse, della vita quotidiana, del popolo e delle sue tradizioni.

Allora, soprattutto tenendo a mente i falsi eroi proposti dalla storia ufficiale scritta a uso e consumo degli stati, del regime, non è mai una battuta, ma è verità, che io dica a mio nonno Giuseppe, per me sei più bello tu di Garibaldi, e parlo di una bellezza spirituale, totale, non di mera estetica.

I nonni possono essere, meglio di certi libri di testo, i testimoni della vera storia, anche orale, da tramandare, finché qualcuno la scriverà.

Così nonna Emilia mi raccontava dei suoi genitori, dei nonni e bisnonni, specie del ramo femminile di Rosa, Clara e Colomba e della sua trisavola Emilia, di cui ha ereditato il nome; della nonna Rita, che lasciò la vita a trentun anni dopo il parto e si sposò a ventitrè anni, quando per portare la sua dote si spostarono sette carri; suo marito Efisio, che le sopravvisse venticinque anni, fu vinto dallo sconforto per il fallimento patrimoniale e degli affetti.

Sono dei quadri ricostruiti tra racconto e ricerca di avi non conosciuti personalmente, ma la cui vicenda, in questo caso drammatica, intristisce, perché te li figuri e te ne dispiaci.

Come per altri versi ha la sua drammaticità la storia di mio bisnonno Paolo, mezzo varesotto e mezzo sardo, che emigrò in Argentina lasciando la moglie con diversi bambini piccoli e del quale dopo qualche anno non si seppe più nulla di sicuro, solo voci e diverse leggende metropolitane: si rifece un’altra famiglia in Argentina, fu ucciso a Genova, tornò dai parenti varesotti… La sua vicenda fu comunque determinante per il divenire familiare.

La nonna Grazietta, dolcissima e buona come il suo nome, anch’essa raccontava – è evidentemente una peculiarità femminile, i nonni erano più riservati – del padre, impegnatissimo nella confraternita del Rosario, marito della giovane Bellanna Piga, e del padre di lui Giovanni, curatore e barbiere. Nella Sardegna arcaica, la carenza di medici, costringeva solitamente i barbieri a fungere da dispensatori di rimedi per la salute e la lingua sarda rende esemplarmente tale attività con il termine “majgu”, che tuttavia rispetto al similare mago, ha un campo semantico tanto più vasto di quello che prevede una bacchetta magica, un cono stellato in capo e un caftano.

60 'tendi

18 ‘Tendi ita t’atzoroddu (60 – 2s – XII.XXI – 13.03 a) a 31.03.2021

ARREXINAS NÒBILIS

Radici nobili

L’uso del sardo, l’ho già scritto, per me è congeniale per trattare la storia familiare; ma contrariamente ai pregiudizi, sia da parte degli stessi sardi (non tutti ovviamente), sia da parte di molti colonizzatori anche del pensiero e delle idee, è una lingua buona per qualsiasi argomento, come tutte del resto.

Il concetto che voglio esprimere pensando ai miei avi, celebrandoli e onorandoli, è che l’attributo di nobile, dunque la nobiltà, non si acquisisce per ricchezza, inganno, crudeltà, perfidia, e via dicendo (nella storia abbiamo avuto tanti casi del genere), la vera nobiltà è la bontà d’animo, il soccorso dei più deboli, il lavoro onesto, la pratica della giustizia, dell’uguaglianza, dunque valori positivi e non negativi.

Perciò pensando ai miei avi lavoratori, soprattutto a quelli che ho conosciuto, devo concludere che essi sono nobili e sono resi tali dalla terra che molti hanno lavorato, dal loro lavoro di maestri di muro, di falegnami, pastori, operai, artigiani, loro sono i miei rex, i miei principi, benché non siano stati ricchi di ori e denari.

Che ragione ci può essere per concepire quella che potrebbe avere l’aria di una polemica, espressa peraltro con la figura retorica della ripetizione? Beh, la ragione è che la storia dell’umanità, ci offre in tutti i tempi degli esempi contradditori evidenti, anche sotto il profilo espressivo, linguistico.

La questione non è semplice perché ci sono delle scuole, anche ad altissimo livello, che stabiliscono quali siano i termini da usare per definire alcune categorie, che hanno anche il potere di fissare una metodologia che bene o male tutti sono chiamati a rispettare; metodologia peraltro che si studia negli atenei e forse ha il difetto di costruire storici troppo uguali a se stessi; non tutti hanno il coraggio di avere una propria lettura degli avvenimenti, una lettura davvero obiettiva, spesso occorre conformarsi all’accademico più forte, alla corrente dominante e le voci che urlano nel deserto restano inascoltate, almeno finché i tempi non diventano maturi per dover accettare verità anche scomode.

Nel nostro tempo abbiamo avuto una miriade di esempi di addomesticamento della storia a interessi di parte, di stati e di potentati; ripristinare la verità non è semplice, sia per la storia remota che per quella contemporanea. Inoltre vi è la tendenza a voler far dire alla storia assodata, certa e obiettiva, cose che non stanno né in cielo né in terra, anche semplicemente per convenienze politiche.

Basti citare lo stragismo di qualche decennio fa, il negazionismo rispetto al nazismo, i vari tentativi di giustificare il fascismo, i clamorosi esempi delle guerre in Vietnam e in Iraq, capi di stato che basano la loro attività sulla menzogna e quando vengono accusati accusano gli altri di falsità.

Nello stato italiano ne sono successe di belle dagli anni Ottanta del secolo scorso in poi. Oltre ai vari fatti clamorosi più o meno accertati e con i responsabili individuati e in qualche caso condannati, si è assistito a un clamoroso cambiamento del modo di far politica, metodi che oggi sono all’ordine del giorno: campagna elettorale permanente, uso della cronaca o degli eventi sempre in maniera elettoralistica, tacitamento delle minoranze…

Ma l’avvento al governo della destra ha comportato l’avvio di diversi disegni occulti che hanno portato al cambiamento della società: uno è stato la demolizione progressiva delle potenzialità pubbliche, in primo luogo della scuola, della sanità, dell’informazione e della magistratura. Riguardo ai primi tre constatiamo oggi, per viverlo sulla nostra pelle, che ci sono riusciti, forse la magistratura resiste ancora, almeno a sprazzi.

Lo scopo è di una evidenza imbarazzante: ottenere una società più ignorante, incapace di reagire alle ingiustizie, renderla più debole in modo che non debba pensare ai diritti, rovesciare l’economia sociale, accentuando la disparità tra ricchi e poveri, controllare l’informazione in modo che l’opinione pubblica sia bombardata da notizie verosimili e la verità sia disponibile per un numero sempre minore di persone.

Questo stato di cose, questa strategia, ha contaminato anche i partiti potenzialmente avversari della conservazione, resi incapaci di difendere adeguatamente i più deboli, per la paura di perdere voti evitando di inseguire le idee reazionarie della destra, specie l’ingannevole politica liberista, nella convinzione che la gente desideri quel genere di economia, come se la popolazione italiana fosse zeppa di nababbi del capitalismo.

Vero è invece che la strategia cui si faceva cenno ha reso la popolazione incapace di valutare per bene quali siano i propri interessi e individuare chi possa portarli avanti, e sicuramente non lo potranno fare né i populisti, né i fascisti, ma neppure il liberismo economico, spada nel fianco dei lavoratori e dei meno abbienti.

64 nobilis

12 Arrexinas nòbilis (64 – 6s – XIII.XXIVb – 31.07 a) a 28.09.2020

CONTEMPLO…

Contemplo chiaroscuri volto
d’equa effigie di dea greca
dalle palpebre poco alte,
simmetriche labbra chiuse

Carezzo i tuoi capelli
colore del fulgido oro;
sfioro le tue gote velluto,
schiudo la tua bocca con mia

in bacio che priva dei sensi;
la lingua risale sul naso
ad aprire i tuoi occhi cielo.

chiaroscuri, effigie, dea, palpebre, labbra, capelli oro, gote velluto, bacio, lingua, occhi cielo

Un volto, un’anima, luminosa arte… i versi fluiscono da soli e bastano a se stessi.
(XXII.XXXVIII – 22/23.3 A)

ARREXINAS NÒBILIS

…E custa
po si fai sciri
ca sa nobilesa
est prus parenti
a terra e traballu
chi a sa richesa.
De reis e prìntzipis
mira sa mata:
Giusepi, maistu ‘e linna,
fillu de Arrafiebi, pastori,
fillu de Antoni, manòbara,
fillu de Frantziscu, picaperderi,
fillu de Antoni, maist’ ‘e muru;
comenti a Tomasu,
fillu de Paulu, maist’ ‘e muru,
fillu de Giuannantoi, maist’ ’e muru,
fillu de Tomasu, maist’ ‘e muru;
e Santinu, massaju,
fillu de Afisiu, massaju,
fillu de Luisu, massaju;
e Mundicu, giornaderi,
fillu de Giuanni, brabieri,
fillu de Luisu Maria, majgu.nobiltà,mira,lavoratori,mestieri,genealogia,ripetizione,gioco,lingua,dialetto,avi

Un altro omaggio ai miei nobili avi, con un semplice concetto.
L’uso della ripetizione come figura retorica è d’ispirazione biblica, nientemeno, o se preferite, evangelica.  
Diciamo che può anche essere un gioco cui potete cimentarvi con qualche piccola ricerca: vi servono solo nome e mestiere di quindici progenitori, partendo dai quattro nonni a digradare nel tempo. Buon lavoro… poi mi fate leggere, magari nella vostra lingua locale… Sarebbe bello realizzare in questo modo una genealogia delle vere famiglie nobili, quelle dei lavoratori.
(XIII.XXIVb-31.07 A)

Traduzione:
RADICI NOBILI
…E questa/ per farvi sapere/ che la nobiltà/ è più affine/ alla terra e al lavoro/ che alla ricchezza./
Di re e principi/ ecco l’albero genealogico:
Giuseppe, falegname,/ figlio di Raffaele, pastore/ figlio di Antonio, manovale,/ figlio di Francesco, scalpellino,/ figlio di Antonio, muratore;/ come Tommaso,/ figlio di Paolo, muratore,/ figlio di Giovanni Antonio, muratore,/ figlio di Tommaso, muratore;/ e Santino, contadino, / figlio di Efisio, contadino,/ figlio di Luigi, contadino;/ e Raimondo, bracciante,/ figlio di Giovanni, barbiere,/ figlio di Luigi Maria, guaritore./

‘TENDI ITA T’ATZORODDU

‘Tendi ita t’atzoròddu,
ca stimu prus chi meda
aiàius e aiàias
de su tèmpus passau.
De íssus s’ istoria cìtiri
poita no funt nòbilis,
meris o erois,
ni sàbius chi ant istudiau.
Arrafieli, Giuannica, Antoi,
Maria Pepa, Mònica, Frantziscu:
nonnu Giusepi, po mei,
de Garibaldi ses prus bellu tui.
‘Ta prexèri fueddai cun nonna Amília
de aiàiu Santinu, Mundìcu e Giosuè,
Luisu, Rosa, Clara, Columba,
e de Amìlia Atzei bisàia ‘e babbu suu.
De Rita Urràci morta a trintun annu,
apùsti de dus fillus e sposa a bintitres,
candu po ci portai sa doda
fiant partìus seti carrus de Figu;
cun su pobìddu Afisiu
finìu in dd una funtana,
de chi iat pèrdiu is bènis
bintu ‘e su pentzamèntu.
Sighendi c’est Tomasu e Maddalena,
Juanni Antoi, Mariàngela e Perdu,
Pasqua, Bardìliu, Caterina
e iaiu Paulu sparèssiu in Argentina.
Grazietta, Bellanna e Battistina,
Sarbadori, Micheli e Nicolina,
Annica e Juanni su maìgu
e Arramùndu Mebi cunfrara.
Aìci finu.

60 'tendi

Altra lunga pausa prima di trovare nuovi versi, e in lingua sarda, un omaggio ai miei avi, scritto in fretta per un premio letterario, ma molto sentito.
Devo osservare che gli anni di silenzio sono stati sicuramente tra i più intensi e felici della mia vita, sono successe cose molto importanti. Era poesia la vita stessa e forse è vero che si scrive di più quando qualcosa non va, ma non voglio farne un teorema.
Vi lascio godere la musicalità della lingua sarda, se qui c’è, poi vi tradirò il brano, anche perché, d’ora in poi, il sardo la farà da padrone per un bel pezzo.
(XII.XXI-13.03 A)

Traduzione:
SENTI COSA TI ESCOGITO
Senti cosa ti escogito/ poiché amo tantissimo/ nonni, nonne/ e tutti i miei avi./
Riguardo loro la storia tace/ non essendo nobili,/ padroni o eroi,/ né sapienti che hanno studiato./
Raffaele, Giovanna, Antonio,/ Maria Giuseppa, Monica, Francesco:/ nonno Giuseppe, per me/ sei meglio tu di Garibaldi./
Che piacere conversare con nonna Emilia/ di nonno Santino, Raimondo e Giosuè,/ Luigi, Rosa, Clara e Colomba/ e di Emilia Atzei, bisnonna di suo padre./ Di Rita Urraci, morta a trentun anni,/ dopo due figli e sposatasi a ventitré,/ quando per trasportare la dote/ si erano mossi sette carri da Figu;/ con il marito Efisio/ finito in un pozzo/ dopo aver perso i beni/ vinto dall’angoscia./
Continuando ci sono Tommaso e Maddalena,/ Giovanni Antonio, Mariangela e Pietro,/ Pasqua, Bardilio, Caterina/ e nonno Paolo scomparso in Argentina./ Grazietta, Bella Anna e Battistina,/ Salvatore, Michele e Nicolina,/ Annetta, Giovanni il mago/ e Raimondo Melis, confratello./
Così finisco./