PARADISO (libertà)

Nella scrittura può capitare di parlare in tempi diversi degli stessi precisi fatti – nella fattispecie anche a distanza di anni -, evidentemente in termini differenti e che autore e lettore valuteranno per proprio conto. Argomento e protagonisti sono gli stessi del post precedente (contemporaneo a questo) e dunque di quelli là segnalati, cui rimando senza bisogno di ripetere alcunché.

La temporalità della scrittura rispetto alla pubblicazione è stravolta: sotto l’aspetto intimo ne scrissi dopo, ma in sede di rivisitazione prima; pertanto ora, nei “canti per Eva”, accade l’opposto: ne parlo dopo, mentre in origine ne scrissi prima. Non so cosa ciò possa cambiare, forse l’approccio, il punto di vista, tra il parlare di una donna, di una coppia e il parlare di se stessi nel medesimo ambito.

Capisco che sia un esordio intricato, ma è soprattutto un’annotazione per me stesso, un promemoria che mi permetta una comprensione tecnica della scrittura.

I nostri sono sempre Ginevra e Graham, come li ho chiamati in “Un delirio” e seguente. Il dialogo è diretto, didascalico, cronachistico, diaristico, a futura memoria… E’ lui che parla a lei, fa rivelazioni, racconta le sue sensazioni cercando di cogliere le sue reazioni, di farle ricordare quei momenti semplici che non armerebbero di penna nessuno scrittore, nessun poeta, non è chiaro se per troppa oggettiva banalità o per una soggettività irraggiungibile.

I “Momenti di un amore” in questo contesto sono la sintesi dei fondamenti della vicenda, mentre ora si divide in episodi, e siamo all’apice della passione. Difficile riportare su carta quelle sensazioni, quei sentimenti, o per dirla col Poeta “Il mio veder fu maggio che ‘l parlar mostra, ch’a tal vista cede, e cede la memoria a tanto oltraggio” (Comedia, Paradiso XXXIII, 55-57). Il titolo non è dunque casuale. Tanto è vera la citazione che, questo brano, salvo qualche accorgimento linguistico, è fedele alla prima stesura, quasi per religioso rispetto. Mi rendo conto di aver fatto ampiamente un commento che avrei dovuto evitare in questo genere di rilettura in prosa, ma tant’è.

Scritto in epoca di progressive music, il brano è concepito come una sorta di suite, dove la “musica” sono le parole stesse, vista la vastità (c’è ancora una seconda parte e il corpus contiene anche Inferno – alienazione transitoria e Purgatory – strumpet – di cui parleremo a tempo debito).

E’ risaputo che è più facile scrivere del dolore, che della felicità; del brutto più che del bello; del negativo piuttosto che del positivo…”: che ci piaccia più la descrizione della sofferenza, che della felicità?

Ginevra sostava da tempo nei suoi pensieri, ne fantasticava l’incontro, specie ora che erano entrambi in piena adolescenza; tuttavia per lui erano fantasie irrealizzabili, lei era stata sempre sfuggente, di approccio complicato, ma allora erano poco più che bambini. Ora, il fatto che lei volesse stargli palesemente vicino era spiazzante, troppo emozionante, parlavano, si divertivano, tendevano a stare soli, per cui anche gli amici diventavano un peso, specie quando per andare con loro dovevano separarsi, così non c’era festa che tenesse. Cercavano anche l’incontro mentale, il collegamento telepatico, finché la passione prevalse su tutto e non si staccarono quasi più prediligendo isolarsi; ciò per loro era il “paradiso”, il primo bacio e gli innumerevoli che seguirono nelle loro passeggiate solitarie in tutte le ore del giorno e della sera, in città e in campagna.

Quando Graham stava lontano da lei aveva i crampi allo stomaco, gli si bloccava la digestione, era inappetente, qualcosa di incredibile. Individuarono poi il loro “posto” dove accadevano le cose più fantasiose e ogni senso era coinvolto. Lui in particolare si avvaleva del tatto, che gli dava un piacere immenso e nuovo, mai sperimentato prima, almeno con quei risultati.

La giornata al mare fu il non plus ultra, paragonabile solo al primo bacio; insieme, soli, e lui che smaniava per appartarsi e finalmente così avvenne: tutto il pomeriggio in pineta ad amoreggiare in ogni modo lontano da sguardi indiscreti, due adolescenti che giocavano a fare i grandi, sorpresi di se stessi, ma determinati e insaziabili.

In una situazione la cui descrizione rende molto meno del vivere quei momenti, lui sentì il bisogno di chiedere di più, quasi fosse un obbligo, infatti era talmente sazio che non sarebbe andato oltre la richiesta; lei era controllata, conosceva il limite che non voleva superare, pose dei veti, benché fosse inutile: si erano praticamente sbranati per tutto il tempo e ne avevano i segni addosso, ne avevano ben donde di simulare normalità.

Chi gli stava vicino non risparmiò allusioni, tutto appariva chiaro e si cercò di allontanarli; qui si intravedevano i caratteri, lei che riusciva a simulare indifferenza e realismo, lui pieno d’angoscia e di paura di perderla.

Forse non avrebbero mai rinunciato a una giornata simile valutandone pure i rischi, tuttavia terminava il loro tempo di libertà assoluta e si ritrovarono sotto un più ferreo controllo dal quale potevano solo evadere.

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44 Paradiso (libertà) (18 – III – 18.9 a) a 30.5.2023

PAURA DELLA LIBERTÀ

Quando ciò che si scrive non è un lavoro omogeneo, nel senso che non segue un filo ben fissato nella mente, si corre il rischio di ripetere più volte gli stessi aneddoti o ragionamenti. Nulla di male, direi, perché vi sarà sicuramente una diversa esposizione che potrebbe avere il pregio del confronto tra testi scritti in diversi periodi.

Mi è venuto in mente questo perché stavo per parlare delle mie letture adolescenziali, delle quali certamente avrò già scritto, ma ora non vado a perdermi in giorni di ricerca e verifica, essendomi messo una scadenza per la scrittura di questo pezzo.

Visto che ci siamo partiamo dalla preistoria, scherzo… Comunque vi dirò che a me non spaventa contrariamente ad altri: intendo dire che non mi spaventa valorizzare il passato con tutta la sua esperienza e conoscenza, e qui mi fermo, altrimenti il discorso si fa labirintico – mutuando dal linguaggio tennistico.

Ho iniziato a leggere fin da piccolo grazie soprattutto ai libri che mi regalava costantemente una zia, successivamente grazie a un prof delle medie che ci assegnava un libro al mese (l’ho imitato in questo durante la mia esperienza di insegnamento), libri per ragazzi s’intende; ho anche letto tutti i libri di mio padre, della serie, tutto quanto mi capitava sotto mano… Ma alle scuole superiori una prof finalmente ci portò in biblioteca: quella è stata un’esperienza esaltante, anche perché avevamo facoltà di scegliere noi il libro. Devo dire che la prof molto spesso storceva il muso per le mie scelte, riteneva evidentemente che esse fossero eccessivamente impegnative per me, appena diciassettenne. La prima volta, in qualche modo, la scelta cadde su Paura della libertà di Carlo Levi. Una lettura molto complessa che aldilà di tutto mi avvicinava alla letteratura impegnata e, anche se potevo non capire alcune cose, costituiva una sorta di allenamento, sia alla lettura di tematiche serie, sia a confrontare le mie idee in nuce, riguardo a concetti come la giustizia, i tabù, la libertà, la politica stessa. Fu allora che iniziai a prendere appunti dai libri, scegliendo le frasi o i concetti che più mi colpivano.

Carlo Levi mi piaceva, era antifascista in primis, la sua figura è stata ben più importante di quella che potei acquisire allora, è l’autore di Cristo si è fermato ad Eboli.

Riguardo a Paura della libertà sono sicuro che dovrei farne una lettura più matura, ma con tutto quello che c’è da leggere, sarebbe troppo rivedere i libri già letti. Resta quella lettura, quella interpretazione e un messaggio, credo chiaro, la necessità di spezzare i tabù innaturali tra uomo e donna, da prendere invece come persone non subordinate l’uno all’altra e viceversa, in un rapporto tra uguali e differenti.

Il libro andava ben oltre il concetto che esprimeva il titolo, centrava in pieno un mio problema, un mio cruccio, quella sorta di separatezza tra mondo maschile e femminile, la necessità di frequentare costantemente quell’ “altro” mondo, cui invece venivano, specie in adolescenza, destinati solo particolari momenti, aldilà dei quali si era relegati a una frequentazione solo maschile o solo femminile. Questa “paura” inconscia generalizzata e sostanzialmente non voluta, si evidenziava nella realtà in modo palese, le fughe occasionali erano del tutto insufficienti.

Oggi qualcosa è cambiato, ma non moltissimo, il sistema dei due mondi persiste e in alcuni casi ha generato maggiori complessità e in molti casi gravi degenerazioni maschiliste.

Nel mondo atavico l’amore era visto come un fuoco, poteva scaldare, ma anche bruciare e alla donna era stato insegnato a guardarsene, a schivare il piacere, da cui l’insorgere del senso bivalente del proibito, con inibizioni da una parte e trasgressioni dall’altra, in buona parte innaturali.

Pensiamo masse di popolo, con l’eccezione di elite di vario ceto, che nel corso della storia hanno pressoché ignorato il piacere e la condivisione di esso, dando luogo alla mera accettazione dello stato di cose, alla rinuncia, ma in diversi casi alla violenza.

Salvo rare eccezioni, forse soprattutto romanzesche, la donna è stata sempre sopraffatta sia con la forza bruta, sia con dicerie sulla sua moralità, addirittura sulle sue naturali funzioni organiche mensili, causa di antichi tabù; oltre alle persecuzioni, come la caccia alle streghe, negazione dei diritti, relegazione nei focolari domestici…

Purtroppo assistiamo a un regresso costante, rispetto a quaranta anni fa, che non avremmo neppure immaginato. Il progresso rispetto ai diritti civili si è improvvisamente fermato ed è appunto regredito con l’apparizione sulla scena mondiale e anche nostrana della conservazione più reazionaria.

Mi meraviglio costantemente che uomini come Gesù e tanti altri riformatori progressisti del passato siano stati immensamente più avanti di qualunque persona considerata democratica o socialista vivente oggi, quando tutto ciò che predica il capitalismo accantona come utopie, idee e diritti assolutamente elementari e ragionevoli. E’ come se il mondo fosse diventato improvvisamente una massa di Fomà Fomič Opiskin de Il villaggio di Stepànčikovo e i suoi abitanti di Fëdor Dostoevskij.

Se avete visto da qualche parte l’uomo nuovo era meglio che non si fosse mai fatto vedere…

Ancora più grave è quando questi pregiudizi si nascondono dietro qualsiasi religione, soprattutto quella Cristiana che avrebbe dovuto ripristinare l’originaria eguaglianza tra i due sessi; ma quando gli uomini si servono di qualunque mistificazione per imporre le loro idee malvagie, è più giusto trarre insegnamento non solo dai testi originari, ma addirittura delle loro severe edizioni critiche.

paura della libertà

21 Paura della libertà (25 – IV – 12.6 a) a 30.06.2021

EUROPA DEI POPOLI

Nella penombra appena schiarita dalla lucerna,
il cui bagliore era assorbito dagli alberi d’ulivo
ondeggianti al soffio del vento d’autunno
e dai muri a secco di basalto,
nella strada deserta di Figus,
l’uomo si avvicinò al portale ad arco,
aprì, lo varcò e si perse
nel cortile buio della casa.
Rita Urraci udito il tocco sul vetro della porta,
aprì senza esitazione.
Bardilio Cannas era atteso.
I compagni, rotto il cerchio intorno al focolare,
lo abbracciarono uno dopo l’altro.
Egli comunicò la riconquistata libertà
avvenuta senza spargimento di sangue.
Così i patrioti di Figus
seppero del loro popolo libero
nella grande Europa.

l'europa dei popoli.jpg

Alla fine del 1996 fu bandito il premio letterario “Un racconto per televideo”, la cui particolarità era che doveva stare in una pagina del giornale televisivo della Rai, pertanto doveva trattarsi di un racconto brevissimo, mi pare 18 righe per 40 battute.
Trattai di Europa a modo mio, provando a non cadere nella deriva retorica, esaltante o scontata, di un’Europa che non c’è o quella che riprende banalmente una storia di guerre, le ultime delle quali troppo vicine a noi.
Per un sardo l’Europa, quella vera, federale, rappresenta un valore positivo, il superamento dello stato coloniale, della condizione di territorio occupato, l’Europa dei popoli che dovrebbe essere, non degli stati, che è.
L‘Europa ha una legislazione molto avanzata che tutela e difende le minoranze, mi cimentai pertanto nel breve racconto previsto, immaginando un quadretto patriottico in cui la Sardegna riconquista l’autogoverno ed entra, senza necessità di usare armi, come popolo libero nella grande Europa.
Dal brano in prosa sono scaturiti questi versi di ulteriore, ma apparente, sintesi.
(XVI.XXVIII-24.12 A)

PARADISO (libertà)

Sappi che ho sempre atteso,

con ansia, il tuo arrivo.
Ricordando gli anni trascorsi,
non credevo al tuo esordio:
volevi stare insieme a me,
fuori, a parlare.
Contro voglia andai alla festa,
ma la mia mente restò con te;
al rientro baciai i tuoi “bei sogni”.
Gli amici capirono i nostri desideri,
ci ritrovammo soli;
di sera il preludio, poi fastidi,
quindi insieme in “paradiso”.
Star lontano da te era bere un veleno.
Nei pressi dei campi di pero
fuggivi la mia passione;
giù, nel ruscello,
non percepivo i tuoi pensieri.
Nascosti da un vallo di terra,
ci scaldammo le labbra
e un rumore ci bloccò.
Con le spalle al paese
i nostri corpi in perfetta fusione:
i cuori una caldaia rovente,
le bocche fumaioli tappati;
dopo il ristoro chinavi il capo:
non c’era niente di male!
il mio “cammino” tanto impetuoso
stavi su di me e ti dissetavo,
carezzavo la tua pelle morbida.
Quel mattino insieme al mare
c’era voglia di appartarci;
le mie “doti” metapsichiche
vidi sfumare in compagnia.
Stesi al sole giocavamo con i corpi,
le nostre membra chiedevano amore:
un “paradiso” poteva sfamarci.
Stesi ai piedi di un pino,
mimetizzati nell’abbraccio,
ti sfioravo con dolce furore.
Non c’è da chiedere perdono
per peccati di lussuria:
del celestiale era in noi!
la tua sincerità era palpabile,
non sognavo e non dormivo,
volevo solo amare.
Ti lasciai il mio segno.
Mutasti in bimba pudìca,
quando troppo pretesi:
sfuggivi al pulcino
rinato serpente,
col quale scambiavi
acido straziante e bollente.
Le rovine dei nostri templi:
labbra e corpi infuocati,
in un mondo che capì.
Con viva realtà, al ritorno,
simulammo normalità.
Subisti precise allusioni,
un tuo annuncio mi preoccupò:
il mio cuore pieno di angoscia
avrebbe potuto già perderti allora,
con i miei segni sul corpo e nell’anima.

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Il brano descrive l’apice della passione introdotta nel brano precedente. Difficile riportare su carta quelle sensazioni, quei sentimenti; per dirla col Poeta “il mio veder fu maggio che ‘l parlar mostra, ch’a tal vista cede, e cede la memoria a tanto oltraggio” (Comedia, Paradiso XXXIII, 55-57). Il titolo non è dunque casuale. Tanto è vera la citazione che, questo brano, salvo qualche opportuna correzione linguistica, è fedele all’originale, quasi per un religioso rispetto. E’ stato scritto poco più di un mese dopo il precedente, dunque sempre a sedici anni. Mi avvicinavo decisamente in quel periodo alla progressive music, per cui il brano è stato concepito come una sorta di suite, dove la “musica” sono le parole stesse, vista la vastità (c’è ancora una seconda parte e del corpus fanno parte anche Inferno – alienazione transitoria e Purgatory – strumpet, già pubblicati).
Mi sento di confermare (è risaputo) che è più facile scrivere del dolore, che della felicità; del brutto più che del bello; del negativo piuttosto che del positivo… Ovviamente c’è qualche grande eccezione: Dante, ad esempio, ha scritto un magnifico Paradiso; non so se i dotti dovessero attendere un Benigni per capirlo, considerato che la terza cantica della Comedia è stata sempre ritenuta la minore e così non è. “Ci sta” invece che ci piaccia di più la descrizione della sofferenza, anziché della felicità.
Quanto al mio lavoro, visto che descrive (poche settimane dopo l’evento) un momento straordinario che ho vissuto, può essere banale quanto volete, ma in questo caso specifico lo guardo come qualcosa da venerare.

(III – 18.9 A)

Music:
MI- … LA- … MI-
RE … LA- … RE
RE … MI- … LA
RE RE- LA- MI- (e si ripete…)
(III – 13.8 A)

FINE

Quando verrà il giorno predetto
tornerà tra noi Gesù Cristo;
parlerà a tutta l’umanità,
ricorderà il bene e il male;
ascolterà la musica progressive,
ma punirà i qualunquisti,
chi ha governato demagogicamente,
chi ha praticato il razzismo:
glorificherà la lotta per l’uguaglianza.
Andrà tra la gente con un oppresso
e ne biasimerà i mortificatori,
dannerà chi dichiarandosi padrone
ha sfruttato i lavoratori…
Non avrà pausa per un solo istante
dovendo viaggiare per molto,
per spiegare ai peccatori
cosa voleva da loro…
Tanti saranno ad ostacolarlo,
ma non patirà un’altra volta…
Quando Gesù tornerà sulla terra
abolirà il potere:
farà notare di avere dato
la libertà a tutti quanti,
mentre nel mondo (come sappiamo)
molti sono legati.
fine.jpg

Non posso negare che a quindici anni avessi una posizione religiosa un po’ integralista e rigida. Il testo sopra riportato è frutto di una rivisitazione successiva; l’originale, dal titolo “Fine della vita” era di segno più diretto.
Scrissi il brano dopo aver letto il testo della canzone “Jesus Christ” di Philippe Labro. Mi indignai e scrissi parole di commento durissime, al limite del delirio. Ancora oggi il testo del francese è inaccettabile, non tanto per i motivi per cui me la presi allora, ma semplicemente perché l’autore stravolge l’immagine evangelica di Gesù a suo uso e consumo, dicendo addirittura che “avrebbe combattuto a Chicago”. In sostanza quello che a lui poteva sembrare un Gesù alternativo, si riduceva ad una immagine assolutamente incosciente, simil marines o reduce Vietnam.
Il testo si sviluppa come una ballata o canto religioso alternativo originale.
Il mio testo nella parte modificata diceva:
(dal terzo verso)
“…Starà con i giovani e con i vecchi/ stabilirà il bene e il male./ Ascolterà chi suona la chitarra, ma punirà chi si droga,/ chi fa del male alla vita del mondo,/ chi vede tanti colori,/ dirà ‘la razza è una sola’./ Andrà per il mondo/ con un capellone/ e punirà chi lo odia,/ punirà quelli che avendo il potere/scandalizzavano il mondo/ senza pensare a quel giorno…”/…  Ma questa è solo la parte riferibile…
(II – 28.9 A)

Accordi:
LA- RE
RE LA-
(IV – 2.12 A)

PAURA DELLA LIBERTA’

Il fuoco talvolta crea paure,
anche l’amore tra uomo e donna.
A costei è stato insegnato
a schivare il piacere:
da ciò derivano inibizioni
di natura sessuale,
che danno luogo a istinti bestiali.
Ignorando i sentimenti
ci si sacrifica a non amare
e al diletto sensuale;
alla rinuncia può seguire la calma,
oppure la violenza:
come il fuoco, ha due poteri,
scalda o brucia;
effetti e scelte della vita.
Quando si perde sangue
una ferita duole,
ma col tempo guarisce;
il sangue versato in amore
fa ritenere la donna sacra:
è una credenza assurda
che la rende oggetto.
I divieti creati dai tabù
frappongono barriere ai sensi:
ciò è folle quanto
lo spavento per il soccorso
o la gioia per la distruzione.
Gesù è morto perché nascesse l’uomo nuovo
non esseri intrepidi esteriormente
e colmi di vergogne dentro;
non ha chiesto la perfezione,
e non si affermi
che i pregiudizi sessuali
sono frutto della Sua parola.
Sarebbe già tanto comprendere
cos’è la purezza.
L’amore si trascina
verso il fuoco infernale,
una paura che lo schiaccia
servendosi dell’ignoranza.

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Raramente ho rinnegato il mio passato, così non lo faccio nemmeno per questo brano adolescenziale, scritto a 17 anni, in un momento in cui cominciavo ad accostarmi a letture importanti.
Paura della libertà di Carlo Levi, si rivelò piuttosto ostico, così tra passi condivisi entusiasticamente ed altri in qualche modo giustificati, volutamente fraintesi o non condivisi del tutto, ne è venuto fuori questo brano, rivisitato, giacchè la prima stesura è molto più ermetica e funambolica, e tuttavia la riporto in calce.
Nel mio diario sottolineavo la percezione, ancora confusa, del disagio che mi derivava da quella (come definirla) separatezza tra me maschio e il mondo femminile, cui mi legava un forte desiderio di socializzazione e che attribuivo ad una paura atavica delle donne nei confronti del mondo maschile. Disagio che persiste tuttora nei confronti di una radicata cultura separazionista tra generi; benchè la mia sia un’esigenza personale, mi rendo conto che non possa prescindere dal superamento di un sistema ormai eterno.
Il titolo originale del brano era Mercurio (una paura) e gli avevo appioppato una melodia disarmonica già composta, che gli dava (a mio avviso) un nonsochè di ellenico.
(IV – 12.6 A)

Mercurio (una paura)
Il dio del fuoco è una paura rossa/ e anche l’amore verso una donna;/ costei ha il timore di bruciare/ nel piacere inconsciamente;/ così si crea un mondo scontento/ che si appaga bestialmente,/ pochi uomini si contengono./
Contraddicendo i sentimenti,/ c’è chi pensa non amare un sacrificio/ e chi soffrirlo sensualmente./ Dalla calma nascono rinunce/ come pure dal timore:/ doppio potere del fuoco/ che scalda e scotta,/ la vita è alternata./
Mentre si perde sangue/ la ferita duole,/ i veri mali la sanano./ Se il sangue è versato per amore/ ogni donna diventa sacra,/ ma se con ciò la si deve evitare/ è meglio dire velenosa./
I divieti creati dall’umanità/ accentuano i dubbi tra uomo e donna./ Follemente l’aiuto è uno spavento/ e la distruzione un incanto./ L’essere rifugge le cure del profeta/ che ha sofferto per salvarlo;/ è intrepido mentre il tempo scorre/ celando dietro la vergogna./
La perfezione è irreale,/ ma neanche un briciolo/ della paola di Dio/ sta in questa paura;/ sarebbe tanto/ conoscedre la purezza./
L’amore si avvicina a Mercurio,/ regno di un fuoco infernale,/ una paura rossa che lo schiaccia/ servendosi di un potente male./

Disaccordi:
(inc.)
LA SI SOL#
LA SI LA SOL# …
(rit.)
SI LA# LA SOL
SI LA#
LA# LA
(IV – 13.2 A)

LOTTA EFFICACE

Compagno,
ti hanno rubato la terra
e sei disperato.
Fratello,
dormi sulle sabbie del deserto
e i re ti bandiscono;
hai impugnato le armi
vedendo indifferenza intorno a te,
hai colpito anche chi non conta,
hai risposto all’ingiustizia
con tutta la tua rabbia.
Non hai fatto il gioco di chi ti odia?
ora egli può dire che sei malvagio,
pur essendolo mille volte tanto.
La tua lotta non è vincente,
non dà garanzie di lunga pace
in quanto i mezzi prefigurano i fini…
E allora solleva il pugno,
spezza il fucile e leggi il Libro,
comincia la tua lotta efficace.
L’odio si distrugge con l’amore
e il mondo nuovo si realizza col tempo:
unità, autodeterminazione, autogestione,
comunione, libertà, uguaglianza,
da Damasco a Chicago,
da Belfast a Valparaíso.

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Riflessione giovanile (vent’anni) che prende spunto dalla questione palestinese alla luce delle mie idee nonviolente in erba. Frutto di letture e frequentazioni eterogenee, dagli obiettori di coscienza, ai radical chic, agli ambienti della nuova sinistra e soprattutto di qualche Palestinese, studente a Roma. Un crogiuolo di opinioni, tra le quali la mia, già formata, visto che non è mutata negli aspetti fondamentali, semmai può essersi arricchita l’analisi.
La storia ci insegna chiaramente che il ricorso alle armi è sempre fallimentare; i fautori della guerra portano con se dei principi di distruzione che inevitabilmente si proiettano nella società che andranno a costruire, peraltro costantemente minacciata dagli sconfitti.
La nonviolenza, sebbene lotta dura e duratura, con l’inevitabile e concreta solidarietà internazionale, avrebbe verosimilmente già risolto la questione, che invece non è migliorata e forse, anzi, è peggiorata.
Ciò non assolve, tutt’altro, la Comunità internazionale e soprattutto gli stati più potenti, dagli USA all’Europa, per l’inerzia ipocrita con la quale affrontano questa e altre questioni, per calcolo e sporchi interessi.
La primissima stesura, più esplicita e utopica, conteneva riferimenti all’anarchia e a Cristo, con l’obiettivo di un socialismo umanitario definitivo.
(VI- 30.11 Roma)

DA UNO SGUARDO DI BAMBINA

… Uno sguardo di bambina
ha riempito qualcosa dentro me.
Era là che giocava
con i suoi amici,
poi ha alzato gli occhi
e mi ha guardato dolcemente;
così ho visto la pace,
ho capito il messaggio di Cristo,
il perché devo tornare bambino;
ma non basta che lo diventi io solo,
non basta che lo diventino tanti,
non basta che uno solo non lo sia.
Se un giorno diventeremo tutti bambini
realizzeremo la Libertà.
Nello sguardo di quella bambina c’era amore:
io provo amore per lei,
io amo i bambini,
vorrei essere come loro
e soffro vedendo quanto poco lo sono.
Incontrando un bambino
incontro il giusto
e sorrido al giusto
e il giusto mi sorride
e qualcosa si riempie dentro me. 

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Adolescente, tornavo da scuola, percorrevo l’ultimo tratto di strada verso casa; mi imbattei in un gruppo di bambini che giocavano.
Al mio passaggio una bambina, un angelo bellissimo con gli occhi blu, si fermò e mi guardò sorridente, risposi al sorriso e continuai…
Questo attimo si è fermato nella mia mente e ancora oggi ne serbo memoria.
Qualche tempo dopo scrissi questo brano nel tentativo di descrivere quell’emozione, dandogli un profondo significato di pace.
(VI – 12.12 Roma)